Lettori fissi

25/03/21

Scrivere in bella


 

Scrivere in bella | 2021

 

Forse son caduto dal seggiolone.

 

O forse no. Chissà? Ai tempi lo chiesi a mamma e parenti tutti ma la risposta era sempre: “Non ricordo … non rammento … ma che dici… di sicuro a me neanche per idea … ci stavo attenta io … ma cosa vai a pensare … semmai hai fatto tutto da solo … eri svelto e agile, certo più di ora, e magari cadere e risalire è stato un tutt’uno”.

 

O magari quella volta che si giocava ad indiani e caoboi.

 

Abitavamo la casa bianca in Circonvallazione; quella con le finestre ad oblò in cucina, il tetto piano e l’ingresso di pietra a filaretto. Quel giorno eravamo io e “... il mio amico culo di gomma famoso meccanico”; ambedue innamorati delle avventure di Rin-Tin-Tin e del suo padroncino ne replicavamo le gesta. La trama prevede che il buono, bianco o pellerossa che sia, vince sempre. E quel pomeriggio sotto il Cako mela del giardino il buono era l’altro. Ergo il perfido viene catturato e legato al palo della morte. Per sovra più subisce l’onta della danza del fuoco durante la quale viene pitturato, in faccia e dintorni, col bastone carbonizzato. Risultato? In bianco le successive tre notti e rottura dell’amicizia.

 

O forse quella volta che la maestra di Prima, ero appena arrivato nella nuova scuola di campagna, mi legò per due giorni la gamba sinistra al banco. Pare che mi alzassi di continuo disturbando la classe. Invece ero solo curioso; venivo dalla città; di capire come potessero funzionare due classi; prima e seconda; in una stessa stanza con una sola insegnante. Oppure quando la suora dell’asilo, oggi si direbbe scuola materna, mi costringeva a mangiare la minestra di cavoli. E se insistevo nelle bizze accompagna il perentorio consiglio con un frustino da fantino.

 

Ops. Fermi tutti.

 

O forse dipende dal compagno di scuola che faceva la cresta sulla merenda di metà mattina? Lui veniva da fuori paese; tre chilometri a piedi su strade vicinali con l’acqua e il resto. Tutti i giorni con un gigantesco pezzo di pane e un minuscolo cioccolato dimensioni tre per quattro o simile.  Non so avete presente quelli con la figurina del calciatore attaccata sul davanti. Come sia il nostro era di tre o quattro anni più grande essendo bocciato una volta per ogni anno. Era anche sviluppato in anticipo e a quattordici, ancora in quinta, ne dimostrava magari diciotto per più di un metro e settanta. Barba, baffi e irti peli sulle gambe scoperte dai pantaloni al ginocchio. Verso la fine dell’anno, poco prima degli esami, si prese a male parole con la maestra; una giovanissima insegnante supplente da poco diplomata; e ad un certo punto la sollevò per il fianco e la mise a sedere sulla cattedra. Successe uno scandalo che si risolse solo col ritorno a scuola della maestra titolare e la promozione dello scolaro senza grembiule.

 

Di sicuro tutti i giorni di quell’anno fece i suoi comodi col panino che mi preparava nonna.

 

O forse tutto nasce dall’invidia per come scriveva la bambina del banco davanti. Quella col grembiulino bianco e il fiocco rosa. Mai scomposta e sempre sorridente. In seconda avevamo abbandonato la scrittura con “inchiostro, penna e calamaio” in favore dei moderni ritrovati della tecnologia: penna bic inchiostro nero. E lei col nuovo sistema ci si era subito trovata bene; seguiva le linee del quaderno di ortografia e componeva lettere precise e tutte uguali come quelle dell’abecedario. I temi poi li scriveva direttamente in bella. Noialtri invece… Avrei dovuto magari odiarla e invece era la mia migliore amica.

 

L’anno successivo con l’arrivo della versione a punta fine il divario diventò incolmabile.

 

Comunque sia andata ho sempre avuto una certa difficoltà nel corsivo. Quando non posso fare a meno della velocità di esecuzione la notoria mia brutta grafia si trasforma nella versione a “zampa di gallina” che diventa illeggibile anche per me. A volte mi sento un poco Leonardo; quel barbone che scrive “a specchio”. Solo che lui lo fa scientemente e nel suo scritto c’intende. I dettati i primi anni o gli appunti veloci di lezioni universitarie son stati sempre un dramma.

 

E dire che le maestre ci hanno anche provato a migliorarmi.

 

A seguire alcuni esempi di correttivi: bacchettate sul dorso delle mani, senza colazione, in ginocchio sui ceci dietro la lavagna, a pensare seduto rivolto verso il fondo della classe e robe simili. Dagli undici in avanti ho provato con lo stampatello con cui me la cavo molto meglio. La cosa funziona ma non è veloce. Allora mi affido alla tecnologia frequentando una scuola di dattilografia che poi rilascia regolare diploma. Ma portarsi in giro sulla Vespa una valigetta 15x30x40 di quattro chili non è proprio agevole.

 

Praticità vicino a zero.

 

La soluzione me la son trovata di fronte un giorno del settantotto. La bottega tagliava l’angolo di una viuzza vicino alla stazione. Ero come al solito in ritardo per il treno delle diciannove e quattordici dopo che mi ero attardato per l’ennesima revisione al progetto. Non ero ancora pratico del dedalo di viuzze che fa da corona al Duomo e quindi il tentativo di prendere una scorciatoia, come se fossi stato sotto le pendici del Pratomagno in luoghi conosciuti, si rivelò un boomerang. Ripensandoci adesso, di anni ne son passati quaranta e oltre, suppongo di aver lungamente girato a vuoto in quel quartiere. L’estate sarebbe iniziata da poco e quella settimana ne fu l’avviso con temperature quasi tropicali. Poi ecco il crocicchio: Spada, Sole e Belle Donne. Su quest’ultima un’insegna nero lucido, come il resto dell’ingresso, e oro che recitava: Babele – Boutique d’arte e libri.

 

La verità?

 

Sbirciai appena l’orologio; oggi è desueto ma un tempo tutti o quasi indossavano e usavano l’oggetto per contare il tempo; che raccontò del treno perso. Il prossimo un’ora dopo. Era un caldo birbone anzi meglio quel trivio pareva essere il ricettacolo di tutti i maledetti venti caldi della Piana. Tanto per fare mi avvicinai alla vetrina con l’intento di sbirciar dentro.

 

Poi la porta si apri.

 

Si aprì a favore di una singolare figura maschile in abito di lino bianco sui toni del burro. Tutto in tinta compreso scarpe e cinta. Bianchi anche i lunghi capelli in tono con una curatissima barba tipo hipster e un Panama da vero dandy. Sulla destra un bastone da passeggio con pomello in osso scolpito a levriero mentre l’altra stringeva con leggiadria un piccolo libro con disegnato in copertina un labirinto su fondo rosso. Il formato e le regole grafiche erano le medesime di quelli esposti. Tre soli accessori uscivano dalla regola del bianco totale che il nostro si era imposto.

 

Papillon, pochette e fascia del copricapo in viola tradivano la sua fede calcistica.

 

Insieme a cotanta eleganza usci una brezza invitante che m’invogliò all’ingresso. L’interno è uno scrigno nero lucido con finiture dorate, anzi proprio oro. Sugli scaffali: esposti e distanziati come oggetti d’arte; libri. Subito m’intrigarono alcuni particolari: la carta, il formato e le illustrazioni. La grafica insomma era di livello superiore.

 

Per gli anni dell’università, anche dopo se per questo, quella è stata la mia bottega del bello.

 

E quasi a volerla tutta per me ricordo di non averla condivisa con nessuno. Amici, fratelli o innamorata che fosse. Doveva rimanere mia. Solo mia. Ci passavo almeno una volta alla settimana, di solito a fine pomeriggio, e mi fermavo giusto il tempo per sfogliare gli ultimi arrivi saggiando carta e contenuto con l’occhio esperto del lettore consapevole e interessato. Una goduria per la mente. Ogni tanto poi, le finanze erano limitate, riuscivo anche a portarne uno con me che avviavo in treno seduto sullo strapuntino del vagone di testa. Adesso, dopo tutto questo tempo, è giunto il momento, se interessa ancora a qualcuno, di svelare il segreto: via delle Belle Donne 41/r, Firenze. 

 

Tanto non c’è più.

 

In questo spazio scopro Bodoni e i suoi caratteri, Borges e i suoi labirinti, la semplice eleganza dell’impaginazione, la rivista con l’acronimo dell’editore e molto altro. Tutte cose che mi porto in cuore, alcune anche in biblioteca, e ogni tanto riaffiorano quando mi trovo indegnamente a disegnar marchi, scritte o copertine sul quaderno nero anche lui.

 

Libri insomma.

 

Come quello ricevuto da poco in regalo dal mio amore. Al solito l’oggetto di carta stampata è sempre estremamente gradito. Ancora di più questo che ha a che fare con scrittura e grafica. “Manuale di calligrafia” recita la scritta bodoniana in copertina su fondo rosso mattone. Dentro scritte e alfabeti, inchiostri e pennini e lettere mirabolanti. Tutte giudicate difficili per la mia “zampa di gallina”. Magari me la prendo comoda. Ne leggo un poco e poi ci provo. E dopo se non basta provo ancora. E poi ancora. Da qualche parte ho letto che le cose difficili, e anche le impossibili se volete, si devono provare almeno sette volte prima che riescano.

 

Quindi con calma mi prendo il tempo che ci vuole.

 

Tanto l’obiettivo lo conosco oramai. Sento che è vicino. Molto vicino. Ne vedo in lontananza il grembiule immacolato. Lo punto dal di dietro da una cinquantina d’anni e forse più. Ci manca; fate con me vi prego il gesto del pennino della stilografica, tanto così. Penso positivo e intanto, hai visto mai, mi son procurato un quaderno a righe e una penna bic punta fine. Ti conosco mascherina e non ho timore di …

 

Scrivere in bella.

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