Lettori fissi

Una delle sette



Una delle sette | 2018

Il mese di agosto è tradizionalmente legato ad un periodo di riposo del lavoratore definito anche; in special modo quando son retribuite; come feria, vacanza e simile.  In questo mese di normale la gente si sposta in luoghi freschi e asciutti o umidi e ventosi. Visita città e paesi stranieri. Alcuni tanto lontani che conviene volare e altri tanto sul livello del mare che pare appropriato arrivarci in nave. Altri ancora soggiornano in seconde case tanto vicine ai luoghi di residenza che la sera tornano a dormire a casa dove c’è l’aria condizionata. Il mondo dei vacanzieri è vario assai.

Il nostro numero otto, da alcuni anni, è dedicato ai genitori.

Il babbo mio abita nella casa accosto; vive solo insieme a diversi acciacchi e in questo periodo cerco di stargli vicino. La mamma sua ha residenza in città e villeggia da noi che abitiamo in collina. Si muove poco bene: il giorno vive in soggiorno e la sera sale con fatica le scale per le camere. La casa; che conta oramai quasi un quarto di secolo; è abbastanza fresca per effetto della posizione e di certi accorgimenti tecnico edilizi come: la ventilazione naturale trasversale e verticale, i pacchetti murari, la disposizione di stanze e aperture e quanto altro. Quindi anche noi usciamo poco e male. La vita sociale si riduce a qualche ora per approvvigionare il cibo e alcune passeggiate la mattina presto.  Come passatempo certe volte ci dedichiamo alla casa.

Oggi mi son preso la briga di sistemare gli scaffali dei libri.

In prima battuta mi occupo di quelli che stanno vicino ai divani. A casa nostra le librerie in genere vanno di coppia. Ce ne sono due grandi ai lati della finestra; posizionati sul modello delle guardie svizzere nelle stanze vaticane: simmetrici e bianchi, austeri e imbronciati. Dentro ad una nicchia di bassa profondità ci sono due coppie di tre mensole ciascuna. Queste provengono dalla nostra prima casa e son dipinte di grigio antracite effetto metallo martellato di gran moda dopo la metà degli ottanta. A sinistra della finestra ce ne sono ancora due. Stretti ed alti come “ … le colonne dell’amor.” Bianchi anche loro.

Sopra ai contenitori in alto ci stanno foto e vasi e ninnoli e nannoli.

Procedo con metodo anche se in maniera assolutamente casuale. Comincio con alcune mensole e poi passo ad uno scaffale a colonna. Sposto i libri e gli oggetti a terra e spruzzo il prodotto. Passo la carta e asciugo. Ripongo in maniera sempre diversa e, presuppongo, più simpatica. Passo al prossimo ripiano. Poi salgo sullo scaleo e sistemo il cappello di chiusura. Passo al prossimo mobile e ripeto la stessa rumba. E ancora. Lascio per ultimo il ripiano in basso dello scaffale grande destro. Cerco qualcosa di preciso. E lo lascio alla fine.

L’obiettivo del pomeriggio di lavoro è in realtà un libro.

Sono anni che non lo sfoglio. Rammento di averlo comprato, con lo sconto del venti per il fatto che la mia promessa era socia del Touring, nella primavera dell’ottantasette. Stavamo progettando le vacanze dopo matrimonio. Avevamo passato l’inverno a soppesare tutta una serie di possibili mete. Saltammo a piè pari tutto il sud est asiatico e robe collegate. Lo stesso trattamento fu ricevuto dalla penisola araba e viciniori. L’Africa pareva troppo vicina e in Europa ci si pole andare in qualunque momento. Rimaneva il continente dei canguri e l’America. Quella del nord con le sue città fantasmagoriche, in realtà la preferita, fu autoesclusa dalle nostre finanze. Saltammo di netto il sud e ci trovammo con la meta scelta.

“Messico e nuvole, la faccia triste dell’America …” cantava nel ‘70  Jannacci.

E io con lui. L’ho trovato. Corrisponde a quanto ricordavo sia  il titolo che la foto di copertina. È nascosto tra i nostri libri dei viaggi. Quando non esisteva Internet e si progettavano i viaggi con atlanti e stradari, libri e guide. Si passavano serate a ragionare con gli amici su campeggi e traghetti, orari ed itinerari.

Cerco un immagine che ho in testa da ieri sera.

Eravamo a cena in formazione tipo di quattro più la nonna di città. La sera prima della partenza dei ragazzi. Uno per Zurigo ad un festival di musica tecno e l’altra per la Giordania e zone limitrofe. Si ragiona e si discute sulle rispettive destinazioni. I vacanzieri ne magnificano le bellezze, le architetture e il paesaggio. Poi la ragazza pronuncia le cinque lettere di Petra e a noi nati nel secolo scorso appare il finale del terzo di “Indiana” con la facciata del tempio scavata nella roccia rossa che sfuma nel rosa e il canyon e i cavalli al galoppo e 007 che sorride sornione. In tutto questo mentre che dura tre secondi e poco più il ragazzo arma la tastiera e spara una ricerca in rete.

“Petra è una delle meraviglie del mondo moderno … “ –  esclama saccente.

Ormai è lanciato e snocciola le info reperite in rete. Eccole in fila: “… Allora …. ce ne sono altre sei e sono stati scelte tra settantasette proposte all’inizio del secolo in occasione delle Olimpiadi. Ci son voluti sette anni ancora e poi è uscita la classifica. Eccola come la propone Wikipedia: Petra, Giordania; Grande Muraglia, Cina; Colosseo, Italia; Chichén Itzá, Messico; Machu Picchu, Perù; Taj Mahal, India; Cristo Redentore, Brasile.”

L’immagine, ci scommetto un quaderno “blek”, è nel volume che ho in mano.

Sfoglio veloce che la ricordo circa ad un terzo delle trecento pagine. E la trovo a pagina novantacinque in basso. Formato rettangolare allungato. Una bella foto a colori con lo sfondo della foresta, delle nuvole e del cielo blu come se fosse dipinto. È la numero cinquantacinque del capitolo. La didascalia è dettagliata. Conviene riportarla par pari: “55. La piramide di Kukulkan, detta anche -el Castillo- (il Castello) a Chichén Itzà. In lingua maya, Kukulkan significa –serpente piumato-, e il nome deriva dalle due colonne in forma di serpenti all’ingresso del tempio che sorge sulla sommità della piramide stessa, in obbedienza ai canoni dell’architettura tolteca”. È la stessa che abbiamo visitato anni trentuno or sono.

Non sapevo che fosse una delle sette

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