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Con il sorriso sulle labbra, Cartolina 1958 |
Artigiano | 2015 -17
Il babbo ha un
Cane. Si chiama Umbro e nasce come incrocio tra due razze: il padre Golden
retriever e la mamma Pastore tedesco. Il risultato è un animale simpatico con
il corpo e la testa della mamma mentre le orecchie e la coda son del babbo. È
arrivato al sessantuno di via Cicogna circa dodici mesi fa per rimpiazzare Jago
che ci aveva lasciato alla fine dell’estate scorsa. Da diversi anni in casa del
babbo i cani vanno di coppia e di regola non compatibili a prima vista. Da
piccino ricordo cani da caccia per uccelli che stavano; insieme a polli,
conigli e piccioni; dentro un capanno di muratura in angolo all’orto.
I nomi in fila
man mano che uno sostituiva l’altro deceduto.
Ricordo bene gli
ultimi di quel capanno: Ringo il babbo e Patty la figlia. Quando la femmina; un
Pointer inglese bianco a chiazze nere; comincia ad avere una decina d’anni e al
babbo è andata via la scellerata passione per la caccia gli viene affiancato un
piccolo cane lupo. L’allora fidanzata del terzo di noi arriva il giorno
dell’Immacolata con una scatola di cartone abbastanza capiente da nascondere un
piccolo bastardo frutto dell’incrocio tra mamma lupa e babbo di passaggio.
Il tipo viene
battezzato Campione dal piccolo di noi quattro figli.
Sono i primi
anni ottanta e l’animale conquista facilmente casa nostra. Riesce a farsi
benvolere da tutti; anche dalla gattina randagia che la prima volta gli ha
soffiato in faccia la sua rabbia per vedersi surclassata nelle attenzioni. Ha
un muso gioioso e simpatico che si fa apprezzare dalla famiglia e dagli amici
che ci vengono a trovare nei primi mesi. Certe volte ho il sospetto che
avrebbero conquistato anche il cuore dei nonni paterni; di regola poco inclini
al sorriso; se non fossero al Camposanto da una decina d’anni. A quel tempo la
casa, soprattutto durante il fine settimana, funzionava a pieno regime con: due
genitori, quattro figli maschi, tre fidanzate, un cane, un gatto, un gallo,
otto galline, sei piccioni e Campione. Il meticcio era di pelo corto nero
focato rosso-bruno e saltellava indisturbato per tutte le stanze. Crescendo
cominciò ad essere conteso tra il fratello piccolo e le fidanzate dei grandi
che reclamavano la sua compagnia. E di sicuro il buon Dio aveva compensato la
sua mancanza di pedigree con la spiccata intelligenza che manifestava in tutte
le occasioni.
Ci ha
accompagnato in cima al Pratomagno e ha campeggiato alla Feniglia.
Una volta è
anche venuto per funghi ma li calpestava come infoiato forse per via che aveva
letto che certi fanno male. Si è trovato meglio con la vendemmia visto che
abbrancava direttamente i grappoli dalle viti e sputava poi gli acini.
Per il resto
ricordo un fine pasto domenicale. Un desinare di un mezzogiorno di giugno con
la morosa del più vecchio che compie gli anni e se ne viene accompagnata dal
mitico Bongo di Giorgio di Scandicci.
Lasciate che vi
racconti del dolce.
Trattasi di una
piramide a pianta circolare di irresistibili bignè mignon ripieni di crema
chantilly, abbracciati e ricoperti di un fiume di crema e guarniti con riccioli
di panna soffice e bianchissima. Una bomba anche per il vostro raccontatore di
cani che al tempo non mangiava dolci ma anzi bruciava venti bionde al giorno.
Ma il Bongo è senza rivali e ci pareva giusto un assaggio anche per l’amico in
attesa sotto la tavola. Fatte quindi le porzioni per i nove commensali ne
lasciamo una decima nel contenitore circolare di rigida plastica trasparente.
La festeggiata prende il vassoio e l’appoggia per terra nelle vicinanze
dell’animale. In un lampo lampante Campione si impossessa del piatto. Ci mette
dentro il muso e si pappa in un baleno il contenuto. Si lecca i baffi e non
contento ci caccia dentro un piede giusto al centro. Facendo perno sull’arto ci
gira intorno e lecca il bordo.
Lo pulisce così
bene che pare passato in lavastoviglie: …
et voilà.
Campione è stato
longevo. Molto. Se n’è andato nel paradiso degli animali la mattina del
quindici agosto millenovecentonovantacinque. Fu seppellito nel campo dei Noci.
Vicino al terzo della quinta fila partendo da sinistra rispetto al fosso del
grande Salice bianco che noi da ragazzi si conosceva come “Vinco”. Ricordo che fu fatta una specie di processione
improvvisata e totalmente laica. Fu issato sul cassone del trattore e
accompagnato in fondo alla valle sotto casa. Il giorno avanti era piovuto e la
terra era soffice. Preparare la tomba e tumulare fu operazione semplice e
veloce. E poi uno dei bambini, in barba alla scelta profana degli adulti,
chiese la croce che fu composta da rami Noce legati con un flessibile di
Salice.
Tredici mesi
prima della sua dipartita arrivò un cane di razza gigante.
Tutto nero e di
pelo liscio e raso. Un cucciolo di Alano battezzato Orazio dal (di noi) esperto
di cani che l’aveva acquistato e si era ripromesso di accudirlo, lavarlo,
stirarlo eccetera. L’animale, crescendo, è diventato un gigante; grande, grosso
e alto che fa paura; ma rimasto fedele al nome che rimanda subito al manzo
fidanzato di Clarabella che abita la fattoria di nonna Papera appena fuori “Paperopoli”. Era insomma di una
giovialità unica tanto che i ragazzi ci giocavano continuamente e gli facevano
i dispetti più perfidi che tralascio qui di raccontare. Appena prima del
duemila ad Orazio fu affiancato Pippo; un Barboncino nero che abitava al piano
di sopra. Era arrivato insieme alla moglie dell’ultimo di noi e se ne andò,
senza troppo clamore, quando i due si separarono alcuni anni dopo. All’Alano,
che intanto cominciava il lento declino verso la vecchiaia, fu dedicata una
targa appositamente disegnata e serigrafata su lastra di acciaio smaltato. Il
disegno portava il profilo del cane con la scritta “Attenti al cane” quasi a
voler intimorire eventuali malintenzionati che di sicuro non avrebbero temuto
l’animale se l’avessero avuto davanti.
E un bel giorno
arrivò il compagno.
Arrivò un
Pastore tedesco con certificato di nascita e tutto il resto. Il nome non è mai
troppo piaciuto ai ragazzi ma anche questo arrivava con il fratello cinofilo
che divorava notizie e libri sul tema. Jago era il suo nome ed era veramente
superbo. Un cane lupo dolcissimo e affettuoso che ci fatto compagnia per una
decina e più anni. Si perché anche Orazio infine se ne andò per una brutta
malattia che fu tentata invano di curare. Non riusciva quasi più ad alzarsi e
ci lasciò un fine pomeriggio di novembre davanti all’uscio di casa. Uno
strazio.
Anche lui fu
seppellito in valle.
Intanto Jago era
cresciuto e anche a lui fu affiancato un compagno. Questo arrivò in regalo
dalla nuova compagna del di noi separato. Il Barboncino bianco che risponde al
nome di Golia sta in casa da almeno tremilaseicentocinquanta giorni ed è stato
amico del Cane lupo “legittimo” (ndr
come dice il babbo) ed è amico di quello “illegittimo”.
Golia è rimasto quando il suo proprietario se n’è andato. È rimasto a far
compagnia alla casa e soprattutto ai genitori che si son trovati da soli dopo
che anche l’ultimo figlio è partito.
Il Barboncino è
un po’ leader e molto merda.
È riuscito a
metter sotto Jago che, specialmente negli ultimi anni, si è fatto sottomettere
per chissà quale inghippo psicologico che il Freud dei cani magari saprebbe
spiegare. La volta che, causa operazione del babbo, sono stati messi a pensione
sono successe di tutti i colori tanto che si son dovuti riportare a casa
nonostante che l’edificio fosse momentaneamente disabitato.
Poi anche Jago è
volato in cielo.
Ce l’ha portato
il contenuto di una siringa della veterinaria. E subito dopo è stato
convenientemente cremato. Ciao Jago. Golia è restato solo visto che anche la
mamma se n’era andata alcuni anni prima. La richiesta del babbo era per un
altro cane che, dopo alcuni timidi tentativi “politically correct” con visite al canile municipale, puntualmente
arriva per mano del fratello amico degli animali. L’ultimo dei quattro se ne
viene un giorno con un batuffolo di peli di tredici giorni. Pare che i
proprietari della cucciolata avessero consigliato di battezzarlo Dado ma il
nome è stato subito bocciato dal nuovo padrone ottantunenne. Il giorno dopo la
venuta dell’ospite se n’è uscito con: “… A me non piace Dado … è tanto tempo che
voglio decidere io il nome del mio cane … finora l’han sempre deciso altri: …
ragazzi …. fidanzate o che so io. Basta. Ricordo un canino che ho frequentato
quando avevo dieci anni ed andavo a badare i maiali dal Foggi. Era un cane da
pagliaio legato alla catena lunga con cui giocavo appena ero libero dal
servizio di guardiano dei suini. E si chiamava Umbro come si chiamerà questo
qui”.
E Umbro sia.
Il tipo è
incredibile. Oltre alle normali azioni che compiono tutti gli animali domestici
e che qui non è interessante raccontare tiene due comportamenti singolari che
si sono notati durante l’estate e persistono adesso che siamo in autunno
inoltrato. In ordine di apparizione: uno) scava delle grandi buche e tira fuori
dei pezzi di terracotta che accumula secondo certe sue regole che assomigliano
ad un muro di mattoni; due) dalla catasta della legna sceglie certi tronchetti
abbastanza squadrati e li mordicchia finemente quasi a pomiciare un asse di
legno. Ora io non ho idea se siano vere le teorie e gli studi che parlano di
somiglianze caratteriali tra cane e proprietario ma di sicuro Umbro ci crede.
Non so come l’abbia scoperto ma il babbo tra i dieci e i dodici ha lavorato
tutti i pomeriggi da un falegname a strofinare e dipingere carri. E poi dai
dodici ai sessantadue ha costruito muri e case e strade e tetti.
Umbro: il cane
artigiano.
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