Lettori fissi

08/07/21

La scappata

La scappata | 2021 Il sedici del quarto si decisero a cercarlo. Se n’era andato verso la fine dell’estate precedente con famiglia, animali ed altro; mobili e memorabilia, oggetti e aggeggi i più vari compreso la Lancia Aurelia B24 del sessantadue. Accatastò personalmente tutto in un capace container e via per mare verso sud. Si era dato alla chetichella senza lasciar contatti o indirizzi. Solo un biglietto senza firma ad ognuno degli amici. Stesso cartoncino burro e medesima frase vergata a mano. “Non cercatemi”. E cosi fecero. I successivi mesi scorsero lenti senza vedersi o cercarsi quasi che il desiderio dell’amico fosse valevole anche per loro. Non a caso erano il gruppo più longevo della storia. Uniti e solidali da quasi sessant’anni ma alla bisogna, sui versi di un vecchio detto: “Ognun per sé e Dio per tutti”. Solo Caterino si ostinava a cercarlo. Un breve messaggio al solito indirizzo di posta; peraltro senza nessuna risposta; una volta al mese: “Insomma ci è dato di sapere dove ti sei cacciato?”. Così se n’andarono le stagioni del freddo e della nebbia. Poi è giunse improvvisa la bella e con quella la voglia di vedersi diventò impellente. Anzi un torrente in piena. Tanto per la prima; contravvenendo ad una norma non scritta anche se acclarata; si son cercati lo stesso giorno d’inizio primavera. Incontrati poi il successivo dando inizio alla rumba delle ricerche. Che devo dire furono assai brevi. Già per la fine del mese avevano una ben chiara idea di dove fosse e cosa stesse facendo il fuggitivo. Semplicemente stava in vacanza in Sicilia. Viaggiava come una trottola da un luogo all’altro: castelli e spiagge, città e paesi, templi greci e ville romane. Visite private e pubbliche. In perenne movimento quasi che sentisse l’urgenza di far cose e vedere gente come un settantacinquenne qualsiasi che, prima di lasciar questa valle di lacrime, vuole visitarla tutta ma proprio tutta con spostamenti contorti e senza ragione apparente. E se Pollicino lasciava molliche ad ogni svolta il nostro Michele smatassava rocchetti virtuali, che il web diligentemente memorizzava, disegnando un labirinto grande come la regione. Usava esclusivamente la mitica spider bianca de “Il sorpasso”. E per questo lo tracciarono con facilità. Prima sulla rete tramite post, articoli e video e poi con la vecchia chiamata vocale. La nera cornetta di bachelite, che risaliva ai tempi della guerra, funzionava ancora. Era stata lasciata in eredità da Brunino detto “il biondo” quando se n’era andato sbattendo la porta. Il numero telefonico che composero raccontava di un imprecisato punto dell’entroterra catanese. La telefonata fu breve e sintetica. L’onere, per estrazione della pagliuzza più corta, toccò a Ronaldo. “Scendiamo domani; non scappare”. La risposta fu invece poco più lunga e articolata. “Fermi tutti. va bene per domani ma adesso sentite bene che c’è una grande novità; Ho trovato un posto semplicemente fantastico. Non chiedetemi niente. Domattina all’alba facciamo un WA video al numero che sapete e vi sarà tutto chiaro”. E così fecero. Dopo la diretta s’imbarcarono per il breve viaggio. In volo fino alle pendici del vulcano e poi sul Van a trazione elettrica fittato per l’occasione. Carletto alla guida e gli altri sul posteriore. Il vano di carico, nonostante si fossero imposti di viaggiar snelli e leggeri, era interamente occupato da strumenti ed altre diavolerie. Poco prima del tramonto parcheggiarono fuori del recinto. Varcarono la porta del cimitero monumentale della città della ceramica e si persero per viali e vialetti alberati. La vista del grande porticato l’indirizzò al posto dell’appuntamento. Naturalmente il viaggio aereo era servito ad assorbire tutte le informazioni sul luogo compreso le ultime vicende che avevano portato alla definizione del singolare spazio di pietra che li avrebbe accolti nei prossimi minuti. L’esterno per la verità era un fitto bosco di vaga forma ottagonale. E come una “selva oscura” non presentava accessi agevoli se non modesti pertugi che si perdevano ed intersecavano con la fitta vegetazione. Ne provarono uno e vi s’avventurarono. Occorsero pochi passi per accedere, come per magia, al cortile circolare. Era tutto di pietra spezzata con ciottoli di diverse pezzature sia per terra che in elevato. Tutto il sistema, dalla forma di una specie di imbuto troncato, era costruito con gabbionate metalliche gradonate verso l’alto per diversi metri. E sui gradini sculture di ceramica bianca. Per la precisione trecento trenta tre e molto diverse le une le altre; per forma, dimensioni e tipologia. C’erano teste, maschere, pupazzi e quanto altro accumunate solo da colore e finitura. Lucidissima. Sul primo gradino a sinistra entrando c’era il cantante. Adesso si erano proprio riuniti. E anche se in quattro assommavano a più di trecento eccoli qui; splendidi e splendenti come il primo giorno. “Signore e signori: le pietre rotolanti”. Fischi, boati e applausi scaturirono dagli interstizi delle pietre che li circondavano. Era il solito trucco ad effetto dell’amico. L’altro; lui ne preparava sempre due oramai era acclarato; scivolò sulla corda assicurata ad un chiodo d’arrampicata dieci metri più in alto. E atterrò con un balzo proprio al centro dell’emiciclo. A tutta prima pensarono al solito sconosciuto buontempone che si intrufola per qualche momento di notorietà. Poi realizzarono che il loro viaggio era stato segretamente organizzato in fretta e furia e il tipo era vestito come un pirata e anzi era proprio un filibustiere. Somigliava vagamente a Giovanni detto “il passero”; quello della saga. Anzi era proprio “iddu”. Stavano assorbendo il dialetto? Che senza troppe cerimonie raccontò della scena che aveva architettato nei mesi scorsi. Il fatto che il fuggiasco avesse scelto, tra tutti i possibili buoni rifugi, questi luoghi aveva semplificato la progettazione dell’evento. Che in buona sostanza trattava di un concerto in diffusione interstellare. “Come agli inizi, voi quattro e basta. Senza diavolerie elettroniche e luci di base. Suono sporco e via. Stones contro tutti. Che ve ne pare”? Gli astanti non ebbero neanche il tempo di ribattere. “Ops che imbecille. Scordavo: sarete truccati da perfetti pirati. Per i costumi non c’è problema. Ho preso in prestito il camper della produzione del sesto che va in lavorazione il prossimo mese laggiù nella baia”. Ed essendo ormai sicuro di averli in pugno continuò: “In risposta sono ammesse solo tre lettere e la prima inizia con y”. Un abbraccio e una bottiglia di Nero d’Avola sancirono l’accordo. Non suonavano insieme da più di un anno. La pandemia aveva fatto strage di molti dei loro amici e sodali. Ma la voglia era tanta. Profittarono del mese della fioritura per rimettersi in forma. Fisica e soprattutto mentale. Alimentazione mediterranea, niente droghe e super alcolici. Risultato: quindici anni di meno. Finalmente, dopo preparativi tecnologici e soprattutto mediatici, il luogo fu pronto. Gli strumenti piazzati e accordati. La regia multimediale ben nascosta nelle contigue cripte sotterranee. I musici lavati e stirati e rimessi a nuovo quasi come ai bei tempi. I costumi anche. E venne il giorno, anzi la sera appena prima del tramonto. Il piccolo cortile circolare, di sette di raggio, è occupato con discrezione da suonatori e strumenti. Le trecento trenta tre video camere sono piazzate su altrettanti droni che al momento giusto si alzeranno a fare il loro mestiere di trasmettere immagini. I fili e tutto il resto son collegati. Mancano tre minuti al collegamento quando l’inventore di tutto l’ambaradan se n’esce con : “Amici, solo un ultima cosa, resta stabilito che nel finale attacco lo spinotto e suono con voi”. Non ci furono risposte ma solo quattro risate all’unisono. Puntuale l’evento iniziò. Fu naturalmente splendido, secco e corposo ad un tempo. Puro blues dei tempi andati mescolato al rock delle origini e frullato da cinquant’anni di palco. Poco meno di “una favola”. I droni si alzarono e più volte volteggiarono come calabroni impazziti trasmettendo immagini potenti e tecnicamente perfette. Bah. che credete? Va bene il suono grezzo ma siamo “le Pietre” Alla fine, come tutte le cose belle, il concerto si avviò al termine. Tre minuti alle ventiquattro. Il nostro eroe entrò da un pertugio del muro e apparì magicamente sulla scena. Collegò la chitarra e attaccò. Uno dei riff più conosciuti di sempre. Il pezzo giusto per la fine dello show. 3’38”. Questa è la durata della versione originale. Quella notte arrivarono a 14’26”. Quello fu il tempo impiegato dal Passero bucaniere a convincere gli altri quattro a fare quello che fecero. Profittò dell’esecuzione allungata per parlare ad ognuno di loro. “Allora. Verso al fine del pezzo, vi avverto io che mi son messo d’accordo con la regia, fate come me: sganciate gli strumenti e lanciatevi verso il muro scalettato. I droni saranno in volo inquadrando le stelle e anche le luci si smorzeranno pian piano. Ecco. Al mio cenno via. Su per i gradoni fino alla fine della muraglia. Scavalcate e nascondetevi dentro il fogliame della siepe e dopo via come il vento. Sparpagliamoci tra le tombe, scompariamo”. Facciamo “la scappata”.

1 commento:

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