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89nat, 2017 |
Olio pepe e sale | 2000
Il pranzo era terminato.
I commensali
conversavano amabilmente facendo il chilo. Una bottiglia di grappa si svuotava
lentamente passando di mano in mano. Il mangiare era stato [come sempre quando
tutta la famiglia si riuniva] superbo e abbondante. La massaia era stata all’altezza
della sua fama. Per antipasto una vassoiata di crostini neri [fegatini di pollo
e milza], salumi nostrali e giardiniera. Pastina in brodo abbondante e calda.
Non si butta il pollo che si mangia insieme al bollito di manzo e la salsa
verde.
E poi ?
E poi stufato
[alla sangiovannese]. Una pentola in coccio da chili cinque piena fino all’orlo
del fumante intingolo di carne lungamente cotta [almeno cinque o sei ore] e
fortemente speziata. L’incontro inconsueto ma armonioso di droghe anomale come
chiodo di garofano, noce moscata, cannella e … [basta così che altrimenti svelo
la ricetta custodita gelosamente dalla mamma], con il vero muscolo di manzo
giovane tirato a dovere con il brodo corposo della zampa. Roba da stomaci
forti. Un esperienza indimenticabile anche se non adatta ai palati delicati dei
gastronomi odierni della cucina novella.
Un piatto etnico
che ha origini lontane e affonda le sue radici nella storia del paese da cui
trae l’appellativo cognome. E’ legato alla leggenda di un miracolo, alla
costruzione di una basilica e alle necessità nutrizionali di moltitudini di
pellegrini. Pare infatti che un giorno gli arrosti finirono e non fosse
disponibile un Gesù in grado di operare moltiplicazioni commestibili. Allora si
fece ricorso a tutto quanto era disponibile [avanzi, frattaglie, verdure …]
stufando i componenti entro capaci pentoloni e aggiustando di spezie la
brodaglia.
Almeno così si
dice.
Il rosso chianti
delle vicine colline serve alla necessaria lubrificazione delle mandibole mentre
il pane cotto a legna accompagna la scarpetta nell’intingolo. Frutta di
stagione e diti alla crema. Secchi biscottini con le mandorle ammorbiditi nel
vinsanto.
Basta che sono
satollo.
Era il periodo
di carnevale e la piccola Giulia [tra]vestita da luna iniziò il gioco
dell’orologio [Tre giri del tavolo per scaldarsi i muscoli e pugno sulla spalla
del prescelto. Segue l’immancabile rito della penitenza con il classico
ritornello: dire … fare … baciare … lettera e testamento]. Ho vinto io – fece
Giulia rivolta al babbo- … Penitenza. … Fare. Tutte le bambine in coro: “… devi fare il bravo tutto il
pomeriggio”.
Gli schiamazzi e
i gridolini canzonatori distolsero il bambino dal gioco di batman contro due
facce. Il piccolino aveva fame avendo
spiluzzicato solo due crostini e una fetta di prosciutto.
“Ho fame … ho
fame … ho fame …” -fece il bimbo - avvicinandosi
alla tavola ancora apparecchiata. Il centro era occupato da uno strano oggetto
in legno scuro. Quattro gambe e un piano. Sui lati lunghi erano appese quattro
eleganti ampolle in cristallo con tappi in argento.
Il babbo affettò
il pane e lo dispose sul piatto. Sale quanto basta e un filo d’olio. La merenda
era pronta. Guido stese il braccio con il palmo della mano rivolto verso il
pavimento. Tutti piazzarono il dito indice sotto la manina.
“Olio, pepe e sale … chi c’è sotto ci rimane!”
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