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Rinfresco, 2014


7,5x15 | 2017       

- L’ha presa? – s’informa il guardiano uno rivolgendosi al due.

- Certo. L’ho visto bene mentre faceva il movimento del braccino morto veloce come il fulmine. Ha cercato di fare il fenomeno ma l’ho veduto uguale. E se volevo lo beccavo pure. - fa il due sorridendo sotto il baffo sagomato come quello dell’omino della birra.
- E con questa di stamani sono trentadue. Dall’inizio dell’anno ne sono andate via almeno dodicimilatrecento e spiccioli. Ci si potrebbe pavimentare un quartiere di centoventi metri quadrati e ne avanzano per il garage – replica il primo.
- E già – interviene il secondo  - il signor amministratore delegato ha davvero avuto una bella pensata. Con questa storia del vintage si disfa delle rimanenze senza passare dalle discariche controllate e i visitatori se ne vanno via soddisfatti portandosi via un pezzo della vecchia casa che hanno abitato in gioventù. – chiude. In realtà baffino non era in grado di articolare tutti quei ragionamenti.

Si limitò ad emettere un grugnito e pari e patta.

Intanto il terzo incomodo, che sarei io e che ha sentito tutto, se la ride alla grande facendo il conto delle due che ha preso prima e che i custodi non possono aver visto per il fatto che era l’unico nella stanza.

Mi ci sono introdotto di volata appena sceso dal pullman.

I cinquanta altri architetti si son soffermati a vedere, estasiati e un pochino invidiosi, la grande scultura che occupa interamente la rotonda di accesso alla fabbrica. La Nuvola di ceramica dell’archi star giapponese KC è veramente imponente. Frastagliata e sinuosa si riflette nello specchio d’acqua che la circonda e che a sua volta riflette il cielo. Non male. Se la guardi da lontano, facciamo trenta o quaranta metri, gli assomiglia veramente.

A una nuvola intendo.

Sono da poco passate le dieci di una domenica mattina di primavera. L’aria è calda ed avrei bisogno di una bella gazzosa fredda. Di quelle gassate a bestia degli anni sessanta. Quelle che vendeva Elio, il bottegaio del paese, che mentre stappava il tappo a corona faceva, sempre e immancabilmente: - eccola qua … servito bene. -. Ma in quel posto non c’erano neanche i distributori automatici.

Forse che dopo ci davano da bere?

Per intanto esco per ultimo dalla stanza delle mattonelle in gres rosso formato sette e mezzo per quindici spessore uno. Misure tutte in centimetri. Le tesserine stanno ben allineate e disposte in ordine dentro una lunga libreria a giorno di disegno rettangolare e finitura laccata colore bianco burro. Lo scaffale sta dentro una grande stanza. La stanza sta al piano terreno di un grande casale ristrutturato che, per miracolo, si è salvato, dai molteplici ampliamenti della manifattura. Il casellario è posizionato circa al centro del locale. Disassato rispetto all’ingresso di modo che il visitatore è costretto a passarci in andata e in ritorno.

Alle pareti del locale, superficie centocinquanta ed oltre, sono appesi centoquarantaquattro quadri montati secondo una geometria a scacchiera.

Sono in realtà mattonelle venti per venti in ceramica decorata con motivi geometrici o floreali. Si tratta della produzione artigianale della ditta che stiamo visitando prima che diventasse fabbrica e puntasse alla grande produzione. Se le decorazioni appartengono all’immediato dopoguerra le mattonelline, rosso scuro quasi mattone, sono le prime produzioni in serie. Dure e resistenti a molti agenti atmosferici e non. Magari non belle a livello estetico ma di sicuro antigraffio e gelo. A sentimento è roba dei primi del sessanta in produzione almeno fino alla metà dei settanta.

Forse anche di più.

Con questi prodotti il Distretto della ceramica di Sassuolo, stretto tra le provincie di Modena e Reggio, ha pavimentato gran parte di garage e balconi d’Italia e di mezza Europa. E adesso ne ho tre. Subito dopo il furto della terza mi son ritirato nel bagno e le ho riunite dentro lo zaino grigio topo che mi accompagna da alcuni mesi ogni volta che esco di casa. Che piova o nevichi o anche in presenza di sole a catinelle è sempre con me. Come un amico fedele quasi come un piccolo animale. Se dovessi pensarci in quei termini lo chiamerei Campione e sarebbe un cucciolo di cane meticcio; femmina di pastore tedesco incrociato con uno di passaggio; d’un paio di mesi.

E infatti questo è il suo nome.

Dello zaino voglio significare. È piccolo ma capiente il giusto e comunque è per me bastevole. Ci sono due tasche chiuse da altrettante cerniere a zip. Sul davanti c’è la prima e più piccola. In questa trovano posto: lapis e gomma, tre o quattro penne, di cui una almeno è sempre una Roller Hi-Tecpoint V5 nero Pilot, oltre a borsellino porta spiccioli in pelle con apertura a vasistas, coltello multiuso grigio topo anche lui; brutta imitazione della versione in dotazione all’esercito svizzero di cui peraltro non copia né il colore e neanche il logo. La seconda tasca è molto più ampia. L’apertura è proprio sulla sommità del sacchetto. All’interno, in ordine sparso, ci sono: portadocumenti in pelle, telefono mobile Apple iPhone 4 con custodia di protezione in silicone trasparente di produzione orientale e costo euro due, porta assegni in finta pelle regalo della banca, spina con filo e adattatore per ricarica batteria del telefono, chiavi casa studio e auto con relativi portachiavi, portasigarette in alluminio da venti con scritta “Marlboro - il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno” con dentro compresse di Cardioaspirin da 100 mg e riproduzione fotostatica del frontale della confezione con sotto tutto questo un blister di compresse salvavita ditta sconosciuta da ingerire alla bisogna, fazzoletti di carta avviati, cappello verde militare con tesa sul fronte che secondo alcuni puzza di comunista cubano ma invece serve al portatore come protezione di pelle estremamente delicata, occhiali da sole ditta Persol in uso alla mamma quando era giovane protetti da un portaocchiali di pari età colore verde smeraldo finitura pitone taroccato, timbro professionale portatile, occhiali da lettura con struttura in finta tartaruga di disegno moderno e custodia anche, penna correttiva a liquido bianco coprente a volte chiamato bianchetto, metro a nastro metallico da metri due modello “mec” produzione anni sessanta, agenda annuale di piccolo formato colore nero fumo di Londra in plastica tipo pelle di pitone, taccuino da viaggio a pagine bianche formato A5 quando aperto con copertina plastificata colore nero assoluto e logo stampato in bassorilievo con filo cerca pagina ed elastico di chiusura. Ricordo che quando fu realizzato tenemmo a mente alcuni modelli di una nota azienda che ne produce di notevoli. In altre parole copiammo a senza ritegno Da alcuni anno uso il quadernetto per disegni e altre amenità.

Questi sono gli oggetti che il saccapane accoglie di normale come anche oggi.

Uso da molti anni il sistema dello zaino al posto della canonica borsa da lavoro per architetti. Mi pare più pratico e almeno per me lo è di sicuro. Nel corso del tempo mi è capitato di infilarci: mela o pera per la colazione di metà mattina al posto del caffè della macchinetta che non riesco a mandar giù, romanzi tascabili di solito della collana Sellerio editore di Palermo, mazzo di carte da quaranta per briscola scopa e ventuno, trottola in legno trovata per terra davanti alla Stazione, pratiche di lavoro formati vari che quando non ci stanno vengono piegate in due o quattro, panino con la frittata preparata in casa la mattina presto e altro che non conviene ricordare.

Ops scordavo.

Sempre di regola e nella tasca grande ho tutto l’occorrente per il disegno tecnico e artistico in situazioni di emergenza. Nel senso che all’occorrenza si pole usare il materiale che sta dentro l’astuccio verde militare. Li dentro trovo: coppia di squadre mignon a trenta e quarantacinque gradi in plastica trasparente celestina, righello centimetri dieci di pari materiale e finitura, set di lapis con mine 2h 3h 5h hb e appunta lapis, porta mine con ricambi adeguati, compasso da lapis non preciso ma insomma a volte ha fatto comodo, pastelli sei colori, gomma bianca, acquarelli da viaggio con pennello smontabile, penna  a sfera modello Bic inchiostro nero.

Ma torniamo alle mattonelle.

Dopo che sono state accomodate dentro la sacca ho dovuto, lungamente, usare il bagno per usi privati. Di sicuro non ho digerito quella maledetta pizza della sera prima. L’utilizzo si à protratto per una decina di minuti almeno. E quando sono uscito nel corridoio ho trovato tutti i compagni di viaggio in piacevole pausa. Certi si son buttati su bevande calde, dolci, pasticcini alla crema e varie. Altri si stanno impegnando a demolire un alberello di pane e grissini da cui pendono, come grandi foglie,fette di prosciutto e cubetti di melone in guisa di frutti. Intorno all’arbusto c’è un laghetto di lambrusco frizzante. Li accanto c’erano, ma sono terminate mannaggia, alcune torte salate tra cui il mitico erbasssone (pronuncia come leggi e mentre leggi pensa a Vasco). Alcuni altri bisbocciano con birra e hamburger. E come poteva mancare il superbo gnocco fritto? Ecco la padella dove cuoce insieme a bocconcini di verdura. Una leccornia da leccarsi i baffi. E infatti il cuoco dei fritti è proprio l’omino coi baffi della birra.

A questo punto il cerchio si chiude.

Mi avvicino di soppiatto, rasentando il muro di vecchi mattoni, al banco dei  rinfreschi. Il bar, lo so, è aperto e serve alcolici e altre bevande compreso quella minerale francese che fa tanto chic in certi ambienti snob. Ma a me, con tutta sincerità interessa altro. Silvia, con gli altri professionisti, si è fiondata sulle pizzette per tutti i gusti e ci beve sopra un bel bicchiere di Fanta. A me tocca mettermi in fila davanti al bar e aspettare diligentemente il turno. Che arriva dopo, li ho contati a mente, trentatre secondi secchi.

Adesso tocca a me.

Guardo il guardiano uno adesso cameriere vestito da barman. Piglio aria e soffio fuori la frase. In perfetto italiano gli parlo: - Buongiorno signore per favore un bel bicchiere freddissimo di spuma bionda -.

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