Lettori fissi

24/09/20


Perché | 2003

 

Premessa

 Il testo è la sceneggiatura a più mani di un Corto realizzato durante il Seminario di scrittura e regia tenuto da F. Welz  a Terranuova B.ni nel 2003. Ci ha onorato della partecipazione Carlo Monni di Champs sur le Bisence.

 

 

SCENA 1

Terranuova B.ni. Negozio di giocattoli. Interno giorno

Dettaglio ravvicinato di una cesta di palloni, tutti diversi tra i quali uno con stampato il mappamondo. Entra in campo la mano di un bambino, Giovanni, indeciso su quale scegliere. Ne tasta più di uno, ne saggia la consistenza, e alla fine ne sceglie uno, ovviamente quello più in basso nella cesta e questo provoca la caduta di almeno un paio di palloni sul pavimento. Felice della scelta, mostra il pallone al nonno ed esclama:

 

Giovanni

E’ come quello di Luca!

 

Il nonno, bonario, acconsente, e mentre sta pagando dice:

 

Nonno

Ti deve bastare per almeno un mese

 

Giovanni annuisce.

 

Giovanni

Si va al muro?

 

Si apprestano ad uscire.

 

Stacco.

 

 

SCENA 2

Giardino, nelle vicinanze delle mura e di una panchina. Esterno primo pomeriggio.

Su di una panchina, seduto a cavalcioni,  c’è un uomo vestito in modo dimesso che si è apparecchiato un pezzo della panchina stessa con una tovaglia ripiegata più volte, un piatto di plastica, una bottiglia di vetro trasparente con del vino rosso; insomma mangia come se fosse a casa. Il nonno si siede su di un’altra panchina e tira fuori dalla tasca un giornale spiegazzato (La Nazione). Il nipote sorpreso:

 

Giovanni

Che hai fatto nonno, l’hai preso al bar?

 

Nonno

La nazione non si compra, si ruba…Gioca gioca..

 

Il bambino sembra indeciso sul da farsi, tira un calcio incerto alla palla che va a rotolare vicino alle gambe dell’uomo che sta mangiando. Timidamente Giovanni si avvicina, l’uomo gli fa un sorriso e con un piccolo calcio gli restituisce la palla. Giovanni si allontana e, continuando a dare di sottecchi sguardi all’uomo che sta ancora mangiando si va a risedere vicino al nonno con la palla sotto al braccio. Chiede sottovoce al nonno:

 

Giovanni

Perché quel signore mangia così?

 

Il nonno non capisce.

 

Nonno

Così come?

 

Giovanni

Così, apparecchiato sulla panchina!

Nonno

Non avrà avuto il tempo di tornare a casa.

 

Dopo una pausa, continua.

 

Nonno

O forse a casa una tavola non ce l’ha!

 

L’uomo, come se sapesse che stanno parlando di lui, alza il bicchiere di vino prima di portarlo alla bocca.

 

Giovanni

Ma è di fuori?

 

Nonno

Si, se gl’ha bevuto… gioca, gioca…

 

Giovanni, saltando a pie’ pari dalla panchina, torna a giocare. Lancia il pallone contro al muro di pietre che altro non è che una parte delle mura che circondano Terranuova. Dopo un po’ si stufa a giocare da solo e richiama da lontano il nonno, tutto intento nella lettura.

 

Giovanni

Giochi nonno?

Nonno

Non ti sto’ dietro, sono vecchio, mi manca il fiato.

 

Il bambino torna vicino alla panchina e si siede sul pallone continuando a guardare il muro. Il nonno, con lieve tono di rimprovero.

 

Nonno

Vieni via, che così scoppia!

 

Giovanni torna verso il muro, lo tocca lo accarezza e lo gratta, guarda verso l’alto e ne calcola l’altezza. Torna di nuovo verso il nonno.

 

Giovanni

Perché c’è il muro?

Nonno

C’era tutto intorno al paese.

Giovanni

Lo so, ma a che serve?

Nonno

Per difendersi.

Giovanni

Da chi?

 

Nonno

Dai nemici…

Giovanni

Perché, abbiamo nemici qui in paese?

Nonno

No, ma quando fu costruito ce n’erano.

 

 

Il bambino tira una pallonata, il pallone si impenna e scavalca il muro.

 

Giovanni

Bella difesa! Sai che ci vuole a scavalcarlo?

 

 

Si alzano per andare a recuperare il pallone.

 

Nonno

Allora così alto bastava… non c’erano gli aerei, gli elicotteri ed i missili…

 

Stacco.

 

SCENA 3

Terranuova B.ni. Mura del paese.  In corrispondenza di una torre.

Giovanni ed il nonno passano camminando lungo le mura in corrispondenza della torre angolare. Giovanni la percorre tutta con lo sguardo, fino in alto, poi puntiglioso chiede al nonno:

 

Giovanni

Perché c’è questa torre?

Nonno

Per difendersi…

 

Giovanni (con tono enfatico)

Ancora dai nemici?

 

Nonno (con sufficienza)

Si, per avvistarli prima che ti arrivino in casa…

 

Giovanni si infervora mimando la scena.

 

Giovanni

E che facevano, gli tiravano l’olio bollente… le palle di fuoco?

 

Il nonno lo frena

 

Nonno

Oppure bastava chiudere le porte a chiavistello.

 

Ed il ponte levatoio?

 

 

Il nonno lascia cadere il discorso.

 

Stacco.

 

SCENA 4

Terranuova B.ni. Piazza dell’Autostazione. Dietro le mura. Esterno pomeriggio.

Giovanni e il nonno entrano nella piazza e Giovanni si stacca dal nonno e si dirige correndo verso il pallone che è finito alla base di un albero. Il nonno si è fermato a guardare il nipote. Giovanni torna correndo ed insieme al nonno si dirige verso l’autostazione. Giovanni è un po’ deluso.

 

 

 

Detto questo spinge il bambino sul predellino e sale con lui sull’autobus. Ci sono una quindicina di persone. Tra queste c’è una ragazza, sui trent’anni, che sembra animata da un furore incontenibile, un dissidio interiore che non riesce a frenare. Si morde le labbra, scuote la testa, qualche lacrima sgorga.

 

Stacco

 

 

SCENA 5

Strada tra Terranuova Bracciolini e Montevarchi. Interno/Esterno.

Mentre il paesaggio valdarnese scorre dietro ai finestrini, nonno e nipote si sono messi nell’ultima fila: Giovanni inginocchiato guarda fuori dal finestrone posteriore. Ad un certo punto si siede a fianco del nonno, proprio mentre questi riprende il discorso.

 

 

 

 

Giovanni, leggermente impaurito, dice a mezzavoce

 

 

Il nonno, come a cacciare un pensiero, guarda fuori dal finestrino.

 

 

II nonno si rivolta verso il bambino, scuotendo la testa con aria grave

 

 

 

Giovanni deglutisce spaventato e stringe il pallone quasi a proteggerlo. Il pullman entra sotto un cavalcavia ed il momentaneo cambiamento di luce lo spaventa ancora di più.

 

Dopo qualche secondo Giovanni riformula una domanda timidamente.

 

 

Il nonno paziente.

 

 

 

Il nonno esita.

 

 

Stacco

 

 

SCENA 6

Montevarchi. Piazza Vittorio Veneto. Davanti alle Logge. Esterno pomeriggio.

La ragazza “disperata” della scena precedente è tra le prime a scendere dall’autobus. Subito dietro Giovanni ed il nonno. Seguiamo la ragazza mentre passando dietro l’autobus attraversa la strada, allontanandosi dalle logge. Arriva dall’altro lato della strada, e si ferma con una brusca frenata, un’auto sportiva. Un ragazzo, di circa trent’anni,  scende e si avvicina velocemente alla ragazza e la chiama strattonandola con voce alterata.

 

 

Detto questo la ragazza scappa di nuovo verso le logge. Christian la segue e le loro voci sono adesso amplificate dalla risonanza delle logge.

 

 

Strattonandola violentemente la butta dentro l’auto senza più dire nulla.

 

Serena recalcitra, cercando di svincolarsi.

 

 

Ma ormai Christian ha preso il sopravvento, richiude violentemente la porta dalla parte di Serena e riparte sgommando. Torniamo ad inquadrare il nonno e Giovanni che sono rimasti interdetti ad assistere la scena ammutoliti.

 

Stacco

 

 

SCENA 7

Montevarchi. Vicolo del campanile. Da piazza XX Settembre a piazza Varchi.

Dopo qualche secondo di silenzio, Giovanni riprende con le sue domande.

 

 

Sbucano su piazza Varchi.

 

Stacco

 

 

SCENA 8

Montevarchi. Bar di fronte alla Collegiata.

Giovanni ed il nonno sono seduti ad uno dei tavolini tondi del bar e sorseggiano ciascuno la loro bibita: il bimbo una Coca cola ed il nonno una spuma. Tirando fuori il giornale di tasca:

 

 

Detto questo si immerge di nuovo nella lettura. Il bambino sbuffa e si mette a guardarsi intorno. C’è una coppietta di adolescenti seduta sugli scalini delle logge di fronte che sta sbaciucchiandosi e scambiandosi tenerezze. Senza che il nonno se ne accorga ad un certo punto Giovanni si alza e si avvicina alla coppia titubante, e guarda la coppia con un po’ troppa insistenza fino a che lui il ragazzo si sente osservato, si volta verso il bambino. Giovanni, intimidito dallo sguardo si dirige con una piccola corsettina verso la chiesa. Poi con una rapida deviazione si introduce dentro al portone della Canonica.

 

 

SCENA 9

Montevarchi. Museo della Collegiata. Interno pomeriggio inoltrato.

Giovanni penetra con curiosità negli ambienti del museo sotto lo sguardo distratto del bigliettaio. Guarda tutto intorno a sé con curiosità, tocca tutto, a cominciare dalle terracotte tra cui il lungo corteo del conte Guido Guerra. Indugia con lo sguardo sulle schiere di soldati in armi. Passa in rassegna anche il tempietto robbiano vero e proprio, tastando con i polpastrelli la differenza tra i vari materiali e colori.

 

Stacco.

 

 

SCENA 10

Montevarchi. Piazza Varchi. Bar davanti alla Collegiata. Esterno pomeriggio inoltrato.

Giovanni è sulla soglia della canonica. Con una corsettina torna verso il tavolo del nonno che si accorge del suo allontanamento solo quando lui riappare.

 

 

Giovanni non risponde ed ha pronta un’altra domanda

 

 

Il nonno comincia a spazientirsi un po’.

 

 

 

 

 

Il nonno a questo punto perde la pazienza, si alza, piazza i soldi sul tavolino e avviandosi dice

 

 

Il nonno si ferma nella sua camminata come a pensarci e, dopo una pausa, dice

 

 

Il nonno si avvia. Giovanni, uscendo dalla piazza comincia a palleggiare. Passano davanti ai due adolescenti che in questo momento sono intenti in un bacio appassionato. Giovanni li guarda con curiosità. I due escono dalla piazza imboccando via Roma.

 

 

SCENA 11

Montevarchi. Via Roma. Esterno pomeriggio inoltrato.

Il nonno e il bambino stanno camminando nel via vai pomeridiano. Giovanni ha ancora qualche domanda.

 

Giovanni smette di fare domande facendo un’espressione di disgusto.

 

 

SCENA 12

Montevarchi, Chiostro di Cennano. Esterno tardo pomeriggio.

Nonno e nipote percorrono uno dei bracci del chiostro. Venendo incontro da un altro braccio arrivano tre bambini che si avvicinano festosamente a Giovanni perché gli hanno visto il pallone in mano. Il nonno, che sembrava cercare un pretesto per lasciare il nipote

 

 

I quattro con agilità saltano il muricciolo che divide i bracci del chiostro dal cortile e cominciano a giocare, soprattutto Giovanni, con foga ed energia ritrovata, a pallone.

Il nonno caracollando sale al museo paleontologico.

 

Stacco

 

SCENA 13

Montevarchi. Sala del museo Paleontologico. Interno tardo pomeriggio.

Carla, la mamma di Giovanni, è l’addetta alla biglietteria del museo. Appena vede suo padre entrare.

 

 

 

 

 

 

E la figlia (un po’ scostante)

 

 

 

Stacco

 

 

SCENA 14

Montevarchi. Chiostro di Cennano. Esterno tardo pomeriggio.

Giovanni tira la palla oltre il muretto, poi lo salta e correndo con il pallone sotto il braccio sale velocemente la scala dopo aver salutato gli amici.

 

Stacco

 

SCENA 15

Montevarchi. Museo Paleontologico. Interno tardo pomeriggio.

Carla ed il babbo sono in un momento di sospensione del loro dialogo. Vedono arrivare il bambino e con un gesto, come a dire “se ne parla dopo”, accolgono Giovanni.

 

 

Giovanni si allontana dal nonno e dalla mamma e si avvicina all’espositore dello scheletro del mammuth. L’ambiente è tutto circondato da vecchie bacheche lignee piene di teschi, denti giganteschi, fossili, corna di cervo. Giovanni guarda tutto un po’ annoiato. Approfittando dell’allontanamento del figlio, Carla riprende a parlare con il babbo.

 

 

 

 

SCENA 16

Montevarchi. Museo Paleontologico. Interno tardo pomeriggio.

Giovanni è di fronte allo scheletro del mammuth. Richiama dal fondo della sala l’attenzione del nonno.

 

 

Il nonno si avvicina, ed anche Carla. Ma Carla comincia a spengere a gradazione bacheca per bacheca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

18/09/20

SI è Siena

 


SI è Siena | 2005

 

Siena di tre cose è piena.

 

‘Sti pensieri si affastellano in testa al viaggiatore che percorre, intorno alle cinque dopo mangiato, la Esettantasei che unisce i due mari dello stivale. E’ una serata fredda. Forse la più fredda di questo mese dedicato ai regali, alle riflessioni e ai pensieri. E allora un regalo, una riflessione e un pensiero.

“Chissà se il telefonino della tre che ho preso alla Silvia sarà gradito”.

“Chissà se sarà una bischerata presentarsi insieme a tre semplici bottiglie di vino rosso non griffato  con l’etichetta disegnata apposta e incartate con la repubblica del mese scorso”.

“Chissà se mi ricordo la strada”.

 

La strada è facile dicono loro.

 

“Esci alla prima per la città. Non prendere per il mare e neanche per la città del giglio. Trovi un vialone e vai tutto dritto. Tu non svoltare mai fino ad una rotonda grande. Una rotondona. Mezzo giro e ancora dritto e poi ti ricordi certo perchè ci sei già stato altre volte”. È facile. E infatti mi perdo. Nonostante la tecnologia digitale e il telefonino satellitare. Mi perdo. Chiedo informazioni telefoniche per (vediamo se indovinate) tre volte e finalmente ci sono. Baci e abbracci e poi un poco di seghe mentali che ci si fanno sempre ogni volta. E’un po’ rito. Come gli ebrei che si facevano lavare i piedi dal  padrone di casa prima di cena. Noi ci fa un po’ di robe della mente. E poi via verso le mura costruite quando il paese era forte e faceva un mazzo tanto anche agli abitanti del fiume di Dante

 

Durante il viaggio mi metto zitto e rifletto che Siena di tre cose è piena.

 

Tre come il numero perfetto. Tre come la trinità cristiana. Tre come la triade cinese. Tre come numero primo anche se è il secondo. E tre viene ancora dopo l’uno nella serie di Fibonacci. Tre come i fratelli Marx. Tre come gli  Emerson Lake & Palmer. Tre come gli Experience meglio conosciuti come il gruppo di Hendrix. Tre come la Formula tre legata a Battisti. Tre come Aldo Giovanni e Giacomo. Tre come il trio Medusa. Tre come il mio numero preferito da piccino. Poi ho cambiato in quattro come i Beatles e adesso vado per il cinque come i primi Stones.

Ma le riflessioni finiscono nel parcheggio sotto terra davanti all’università di Adolfo. Siamo dentro la cinta. Una strada in salita. Poi una piazzolina con davanti un vecchio edificio spettacolare. Ancora strade in salita. Tortuose come il carattere degli abitatori della città. L’ultima via è tutta diritta. Si spara a  fittone verso la chiesa a strisce bianco e verde. In piazza c’è un misero alberello di natale. Ignobile come la tradizione dell’albero. Mica siamo del nord.

 

Noi.

 

Noi siamo nel mezzo del mare nostro e se proprio dobbiamo ragionare di nascita eccetera. Buttiamoci perdindirindina sul presepio. Fortunatamente si scansa l’albero e ci si fionda a pesce dentro l’atrio del Pellegrinaio dove ci sono delle dipinture su fresco che da sole valgono la visita. Siamo in Santa Maria della Scala. Nell’atrio ci sono poche persone infreddolite.

Una di queste ci accoglie con: “… prego … signori … biglietti prego”. Io rimango spiazzato. Avevo notizie che stavamo per fare una visita, come si dice, a gratis ma faccio buon viso a cattivo gioco e metto mano al denaro. Poi per fortuna tutto rientra. Il tipo mica era il bigliettaio ma anzi un nostro compagno di viaggio. Un sessantenne con gli anni portati bene e battezzato col cognome di un difensore dell’Internazionale dei primi dell’ottanta. Anzi poi mi raccontano che di anni ne ha ottanta e passa. Accipicchiolina.

 

Ma ora basta.

 

E l’ora della visita all’esposizione. Il titolo racconta del nascere in quei territori e non mi pare il caso di aggiungere altro perché questa novella racconta altro. Magari due robe le metto in fila. Tipo l’allestimento che, non per piaggeria, mi pare buono tendente in su. Indovinato il colore delle pareti. Ottima la grafica con le scritte giganti in cima ai muri di ogni sezione. Mi ha incuriosito la sala dei biberon e terrorizzato quella dei forcipi. La visita è finita gli amici se ne vanno. Se ne vanno a cena in un posto li vicino. Un posto che ha a che fare con i preti e con l’ultimo boccone.

 

Buoni il posto, il mangiare e la compagnia. Yes.

 

La pagina sta per finire e io di  solito scrivo sempre novelle di una faccia o poco più. La maestra di lettere alle medie mi chiamava Pipino il breve perché al momento del tema in classe duravo una fatica bestia a svoltare (con le parole si intende) il primo foglio protocollo. E visto che la pagina è in fondo è l’ora di chiudere il pezzo per la stampa. Prima però un ricordo (mio) dei primi anni settanta.

Ricordo che le prime volte che mi capitava di andare al mare con gli amici si faceva la gara delle targhe. E mi colpì molto un adesivo sopra ad una centoventisette Bluette.

 

Era di forma ellittica.

Tutto bianco con una scritta rossa al centro che faceva pressappoco così: “Sièsiena”. Ecco allora Siena che di tre cose è piena.

 

Amici 3.         

 

10/09/20

Ritorno a casa

 



Ritorno a casa | 1999

 

La ruota dell’automobile si infilò nella buca della strada.

 

Il sobbalzo e la scossa destarono dal torpore l’occupante del grande sedile posteriore che risentito apostrofò l’autista della lussuosa limousine colore fumo di Londra. … ATTENTO  BATTISTA … CHE SUCCEDE?. Niente Signore solo una maledetta buca nel mezzo della strada. Scusi ma il pullman qui davanti mi ha distratto; ha messo la freccia ed è entrato e quindi non l’ho proprio vista [ndr. La buca]. Mi scusi di nuovo. Così parlò il conducente sorridendo mentalmente e ricordando una vecchia pellicola in bianco e nero del grande UGO [ndr. Tognazzi da Cremona] che aveva gustato la sera prima alla rassegna di cinema dei Fori Imperiali. … Buca … buca con acqua recitava la celebre battuta del Federale [ndr. Titolo del film] alla guida dell’autarchica motocicletta a tre posti ; due come una normale motocicletta e il terzo sul carrozzino laterale; mentre trasportava il prigioniero politico [ndr. con la barba, il cappello, la borsa di pelle logora e il vestito sgualcito] detto il professore.

 

Ma la storia continua.

 

La macchina viaggia lenta in fila dietro all’autobus di linea [ndr. Chianciano – Cetona e ritorno] e finalmente giunge in prossimità del paese; della Rocca in cima alla collina e delle case, cucite una all’altra,  che si dipanano sulle curve di livello fino al piano. Pare che ruzzolino [ndr. le case] fino alla grande piazza dal disegno tardo rinascimentale che misura passi trecentosedici per cinquantasette.

Il serpente meccanizzato, sempre in fila dietro l’automezzo pubblico, accende all’unisono le frecce e si immette dentro l’invaso rettangolare denominato, per chissà quale motivo, [ndr. Il motivo è semplice mio caro scrittore. Dipende senza dubbio dall’Unità d’Italia quando in tutto lo stivale si rinominarono gli spazi pubblici a perenne ricordo dei grandi uomini del Paese. – nds. Ho capito correttore. Ma ti domando: dove è la statua, il busto, il mezzobusto, la nicchia che visualizza quanto dici ? – ndr. Boh] piazza Giuseppe Garibaldi.

 

Ma la storia continua.

 

Una sorpresa attende il nostro eroe che ritorna a casa dopo tanto tempo speso a girare il mondo e a portare il verbo (tutto personale e suo) del colore e dei tessuti, del disegno e della forma, dello stile [ndr. stile con la esse maiuscola… somaro] e del fatto in Italia.

Un grande lampione in ghisa fa da perno all’arco di cerchio che il pullman compie prima di fermarsi a vomitare i passeggeri e ingoiarne altri che attendono sotto una semplice tettoia in legno vicino alla chiesa di Michele Arcangelo (santo e protettore dei bambini). Altre automobili fanno tappo all’ingresso della nostra [ndr. la macchina del nostro personaggio misterioso]. Allora ESSO,  spazientito di tutto questo tempo perso, richiede la fermata del mezzo e scende in piazza. … VADO A PIEDI BATTISTA … CI VEDIAMO ALLA VILLA … AVVERTI LA PIA CHE OGGI VOGLIO STARE LEGGERO CHE DOPO PRANZO HO UN MEETING CON I GIAPPONESI … Si incammina lungo il marciapiede lastricato con l’antico travertino delle cave di Rapolano e nota subito che qualcosa è cambiato dall’ultima sua visita. Forse molto è cambiato. Il centro della piazza, prima occupato dalle auto, è ritmato da campi quadrati di pietra grigia con ricorsi in travertino. Un interessante pavimento in ghiaia e cemento color terra di Siena … DOVE HO GIA’ VISTO QUALCOSA DI SIMILE … mormora  sottovoce … ASPETTA … ORA RICORDO. A FIRENZE DAVANTI A PALAZZO PITTI … attende lo scorrimento delle auto dei residenti e forse spera [ndr. il pavimento] di essere alleggerito dal peso delle quattroruote e calpestato solo dalla gente. I gentili ricorsi bianchi si allungano fino a  toccare il vecchio lastricato dove passeggia un fiume di persone vestite a festa. … CHISSA’ CHE ORA SARANNO … pensa il nostro maledicendo la propria abitudine di non portare mai [ndr. non è di moda e lui è la moda] in nessuna occasione l’oggetto per segnare il tempo. … SCUSI SIGNORE … CHE ORE SONO? ... domanda al primo che incontra. La fortuna [ndr. nostra] vuole che l’interpellato sia un simpatico anziano che gira sempre con una borsetta in pelle con dentro la bottiglia del vino e che evidentemente, viste le condizioni traballanti della sua andatura, lo beve anche. … Io non lo saprei … sa SIGNORE … non so neanche leggere … dice l’anziano … mostrando il polso sinistro privo dei segni del cinturino … ma se arriva in fondo alla piazza c’è la meridiana. … LA MERIDIANA … CHE MERIDIANA … Quella che hanno rimesso [ndr. restaurato] da poche giorni … Quella in cima  [ndr. sul fronte alto] alla Torre dei Carabinieri …  

 

Ma la storia continua.

 

Il NOSTRO si incammina verso il fondo dell’invaso deciso a  vedere l’orologio solare e subito nota e sente, soprattutto sente, le note di una nota allegra fanfara stonate [ndr. sarebbe suonate ma tant’è] dalla banda locale.

Si avvicina verso la fontana ottagonale, che spesso ha notato non zampillare quando si affaccia dalle finestre del salone della villa, e verso la musica.

La meridiana è là.

Proprio dove aveva detto il simpatico vecchietto. Si tratta di un semplice disco di pietra bianca con inciso le ore in caratteri romani. Un piccolo gnomone in bronzo segna il passar del tempo e, in qualche modo conclude, la composizione dello spazio pubblico. Per chi legge il racconto diciamo che l’oggetto segna le ore dodici in perfetta sincronia con i dodici tocchi delle campane di mezzogiorno della vicina chiesa.

Egli [ndr. sempre il nostro] ha il vago sospetto, vista la marea di gente in piazza, che una festa di paese sia in pieno svolgimento. … FESTA … INAUGURAZIONE … CHE ALTRO … CHISSA’.

Un palchetto in legno addobbato con i drappi colorati  dello stemma cittadino attende il primo cittadino che adornato con il nastro tricolore della repubblica italiana sale le scalette e si piazza davanti al microfono.

Cittadini … inizia il sindaco … è con grande piacere … eccetera , eccetera.

 

Ma la storia continua.

 

Siamo ormai vicino a casa. La villa è lì sulla destra della “fontana in pietra con largo piatto rotondo a coppa in alto e tazza geometrica in basso” e di fronte  ai vecchi lavatoi con le sei fontanelle. Si sofferma a sedere sulle panche in travertino e si bagna appena le dita affusolate per detergersi le gocce di sudore che la piccola passeggiata sotto il sole di un luglio di inizio millennio ha prodotto su un fisico non avvezzo a camminare insieme alla gente comune. Le sei piccole bocche delle sei piccole teste di leone in bronzo zampillano sulle vasche e invitano alla navigazione la barchetta di carta del piccolo Guido che con periglio si sporge sull’acqua. Attento nini … fa la mamma di Guido … una distinta signora tutta firmata [ndr. gonna arancione, camicetta trasparente, scarpe con il tacco a spillo, borsetta in tinta eccetera] La bionda e giovanile signora si avvicina al figliolo che intanto ha affondato la barchetta di carta e piange copiosamente sulle spalle del signore padrone della villa di fronte alle fontine. Un semplice occhiata basta a riconoscere il noto personaggio dello star system [nds. Si dice così?] e subito è tutto un inchino e un complimento … Ooooh … ma è lei … mi scusi signor … (omissis) … Guido vieni subito qui!… Lascia stare il SIGNORE. Cattivo! Quante volte ti ricordo di non importunare le persone … Sa … è un bambino … continua la signora rivolgendosi all’azzimato nostro eroe e allungando il braccio per un sano ceffone. … MA NO. LASCI STARE MIA BELLA SIGNORA … NON E’ NIENTE. COSA VUOLE CHE SIA PER UN VESTITO. PIUTTOSTO E' TARDI E DEVO ANDARE … LA SALUTO … alzandosi e troncando  il tentativo di aggancio della bionda.

 

Ma la storia è alla fine.

 

Ci alziamo dalla panca insieme a LUI e ci incamminiamo verso l’ingresso. In attesa, ormai da tredici minuti, tutta la servitù schierata. Luigi il maggiordomo, Pia la cuoca, Mario il giardiniere e buon ultimo Battista l’autista. Rapido saluto e via verso il patio ombreggiato sul retro… LUIGI UN TELEFONO PER FAVORE…ANZI MI COMPONGA IL NUMERO DELLA TIZIANA A ROMA… Arriva il portatile e la comunicazione telefonica con la nota giornalista del tigi nazionale. Il nostro bravo stilista di fama internazionale occasionalmente abitante della villa che affaccia sulla piazza principale di Cetona inizia così l’ultima frase che chiude il nostro breve racconto: …

 

CARISSIMA TIZIANA.. COME STAI?… IO ?… BENE … BENE … SENTI A DOPO I SALUTI … ORA TI DEVO CHIEDERE IL FAVORE DI UN SERVIZIO SULLA NUOVA PIAZZA DI CETONA …

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La scappata | 2021 Il sedici del quarto si decisero a cercarlo. Se n’era andato verso la fine dell’estate precedente con famiglia, animal...