Lettori fissi

18/06/21

Green phone

Green phone | 2021 La prima volta ci son arrivato impacchettato. Protetto da una bella scatola di cartone con sopra stampate alcune mie immagini da più lati. Sul davanti c’era pure scritto a mano il nome e il cognome dell’abbonato. Ero stato prelevato dal quarto piano di un grande scaffale confinato in una gigantesca sala piena zeppa di altri miei simili. Tutti dello stesso, tristissimo, colore grigio tortora, con il disco a dieci numeri, il cartoncino per il numero e la cornetta appoggiata sopra al corpo. Ops non mi son presentato. “Siemens S62, conosciuto come bi-grigio, edizione IX, codice 235711FI”. La scocca di moderno materiale termoplastico mi fa presupporre che ci sarò ancora, non so dove ma sarò in pista, quando voi sarete impacchettati sotto terra. Son sceso dalla Panda bianca, con la scritta “Sip” rossa sulla portiera, sottobraccio al tecnico che mi deve collegare alla spina tripolare. L’operaio non deve essere un’aquila visto che appena messo piede a terra avvia la tiritera dell’indirizzo: “Firenze, via Pagnini n. 1, suonare”. Il primo campanello lo sbaglia e non va meglio col secondo, solo al terzo c’acchiappa. Come sia all’ora del thè sono piazzato e funzionate. La suoneria è la medesima degli altri miei consimili. Estremamente democratica ed uguale per tutti: “Drinnng Drinnng”. Dopo la prova audio con la centrale operativa l’esperto se ne va senza salutare mentre io, anche perché non so dove altro andare, rimango. Nella stanza d’ingresso, sopra alla mensola dell’unica nicchia. Quella appena a sinistra sopra l’interruttore. Appena si chiude la porta il padron di casa mi sistema per le feste. “Considerato la destinazione della casa per i prossimi anni ed onde evitare problemi e discussioni -si si … pronuncia a voce alta proprio queste parole- ora ti regolo le chiamate con questo lucchettino appena arrivato”. E mi caccia dentro lo zero un freddo cilindro di ottone che stabilizza con la chiave. Dopo di ché spenge la luce e mi lascia in penombra. Vivo in pausa per tutto l’agosto dell’ottantuno. Poi la casa si anima. Ne giungono cinque. Le dita di una mano per altrettanti studenti che arrivano alla spicciolata tra settembre e la fine dell’anno. Due per ognuna delle due camere grandi più uno nello stanzino accanto all’ingresso. Li sento muoversi e li vedo parlare soprattutto quando abitano la minuscola cucina che nasconde, accanto al frigo, la porticina che accede alla vera chicca dell’abitazione. Un giardino, finto all’italiana, nel cortile di un isolato ottocentesco. Rammento che lo usarono lungamente e ripetutamente durante tutta la successiva primavera. Anzi avevano preso lo sfizio di bandire cena e festino a seguire per ogni superamento di esame. Il desinare variava sempre le portate ma mai il primo piatto che sempre inesorabilmente era Risotto alla salsiccia. Questo sempre accompagnato dal cartello scritto durante la prima volta: “il riso abbonda nella bocca degli stolti”. Grasse risate, foto ricordo e dichiarata invidia dei condomini. Poi una sera verso la fine di giugno succedono due fatti: gli occupanti riescono ad adattare un filo di ferro al meccanismo del lucchetto che mi blocca in uscita le chiamate e uno degli ospiti arriva con una prolunga telefonica di metri quindici. Questo significa che sono libero di telefonare e che finalmente vedo il cielo. Goduria totale. Fino all’undici del mese successivo quando la combriccola organizza il festino in occasione della finale spagnola. A Madrid gli azzurri si giocano la coppa mentre a Firenze mi si giocano a Murino. Vince chi copre più figurine dei calciatori durante il tempo concesso. Sono vinto da l’interista che subito mi abbraccia e mi giura eterno amore. Dopo cena ci godiamo la partita. A seguire la quale saliamo, siamo in tredici, sulle due “erre quattro” d’ordinanza a scorrazzare per la città. La notte è lunga ma alla fine spunta il sole e viene l’ora del ritorno al giardino. Qualcuno propone, sospetto di sapere chi sia, l’ultimo bicchiere della staffa. E mentre il liquore travasa di bocca in bocca il mio possessore abbranca una bomboletta da graffitista e sadicamente esclama. “M’è sempre stata sulle palle la cornetta color tortora”. “Agitare e non mescolare …” – parafrasando la conosciuta affermazione di 007 – “… montare il beccuccio, orientarlo e Ssssst Ssssst” - ripetuto più volte. L’ugello fa il suo mestiere e spande il colore in maniera uniforme. La triste cornetta diventa brillante e verde. Son felice e alla moda e anzi magari son io che anticipo i tempi. Un vero Green phone

Nessun commento:

Posta un commento

La scappata

La scappata | 2021 Il sedici del quarto si decisero a cercarlo. Se n’era andato verso la fine dell’estate precedente con famiglia, animal...