Lettori fissi

23/04/20

La compagnia



La compagnia | 2005

Si stava facendo tardi.



Tardissimo.

Come al solito il gruppo era stato all’altezza della situazione e degli impegni. Ma sempre e perennemente in ritardo. Arnolfo stava ancora disegnando e cambiando; di nuovo; i disegni delle facciate nel mentre che Leonardo montava il modello in cipresso scala uno a duecento. Meno male che c’era Caterina che; impavida e sicura; sfornava a tutto spiano dettagli di panche e pavimenti, cornicioni e lesene, luminarie e frontoni. E poi lo Scheggia che riusciva a far girare il deposito sottoterra delle carrozze. Inoltre devo fare un plauso ai ragazzi collaboratori che stavolta erano stati scelti proprio bene.

Al bacio direi.

Ma ora bando alle chiacchiere che c’è da confezionare il pacco del progetto finito e rappresentato. Le idee se ne stanno ormai ferme e fissate sui fogli. Riga e squadra e compasso. Inchiostro di china per le linee e carboncino per le sfumature su bella carta pergamena tirata a mano. La compagnia aveva ormai partecipato a molti concorsi. E in tutti c’era l’usanza di consegnare i disegni arrotolati e fissati ai bordi con bolli di ceralacca.

La novità di questo era la mostra .

Il bando di gara prevedeva infatti l’esposizione dei progetti e dei modelli sotto la Loggia de’ Lanzi perché il popolo tutto potesse partecipare alla scelta di quello migliore e più appropriato al luogo. E allora c’era bisogno di disegni fissati su assi di pioppo maschiettate. La colla era stata preparata fortunatamente la sera prima.

Ora bisognava preparare il pacco.

Il maestro chiamò gli allievi occupati alle solite finiture dell’ultima ora: “… ragazzi basta. Quello che s’è fatto s’è fatto … ‘gniamo che l’ora della consegna si avvicina.” E Arnolfo: “… aspetta un minuto che cambio ‘sta riga e cancello quest’altra”. E il capogruppo: “… te tu sei sempre il solito Di Cambio. Sempre in ritardo. Sempre a finire all’ultimo tuffo. Basta che ora si deve fare il pacco e correre a consegnare. Ora si incolla”. E ancora “… e tu Caterina l’ hai comprata la carta da pacchi?” E lei: “… si maestro e del tipo che volevi tu. Quella marroncino chiara. E poi ho preso anche del cartone spesso per proteggere gli angoli delle tavole”. “Brava …” – fece il capoccia nel mentre che strappava da sotto le mani di Arnolfo la tavola delle vedute prospettiche – e poi: “… e tu Scheggia comincia a distendere la colla sulle tavole mentre Leonardo incolla i disegni”. Il gruppo si mise velocemente all’opera e in quattro e quattr’otto incollò le tavole, sistemò i fogli con lo scritto, appoggiò il modello e preparò il pacco.

Ora mancava da scrivere il destinatario e, in basso a sinistra, il motto scelto dalla compagnia.

L’operazione richiedeva mano ferma e bella calligrafia e allora il compito fu affidato a all’allievo con il pinzetto, quello basso e simpatico, che adempì celermente alla bisogna. Il pacco era pronto. Adesso c’era da schizzare fuori dalla bottega e recarsi al monastero del frate nel palazzo d’angolo accanto a quello Vecchio. L’allievo con la barba, quello alto e forte, si offrì volontario insieme alla ragazza con gli occhiali che viene dall’Oriente: “… si prende il cavallo o il calesse”? “Macché cavallo, quale calesse …” – rispose il capogruppo – “… ci vò a piedi e ci vado da solo che questi ultimi minuti mi servono per riflettere e meditare su quanto si è prodotto.” Gli astanti; interdetti; fecero il segno universale del … vaaaa bene … e mestamente chinarono il capo all’ordine perentorio del capo.

In realtà il nostro eroe non aveva bisogno di star solo per pensare sul progetto che ben conosceva.

In verità voleva fare quattro passi a piedi per smaltire i postumi della cena, con abbondanti libagioni, della sera prima. C’era stata proprio ieri sera; il giorno prima del solstizio d’estate; la festa per la copertura dell’ultima sua opera. C’erano tutti: i committenti, le autorità e gli operai. Muratori e scalpellini; fabbri e marmisti; falegnami e pittori, lattonieri e fornaciai; tecnici e dirigenti. Si era inaugurata la Cupola: “Struttura sì grande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire con (la) sua ombra tutti e’ popoli toscani”. Il peposo alla fornacina l’aveva fatta da padrone insieme al rosso delle vicine colline di Fiesole. Poi per finire si erano messi a chiacchierare di politica e dell’ultima consultazione popolare, in compagnia di cantucci e vinsanto, fin oltre la mezzanotte.

E subito dopo ad aiutare i ragazzi giù alla bottega per finire il progetto.

Loro se n’erano andati a dormire alle quattro del mattino e lui si era disteso, a cercar riposo, sopra alla panca d’abete dell’ingresso per alcune ore sul far del giorno. Ma era stata dura: un continuo rivoltarsi, a cercare la giusta posizione, fino all’arrivo degli allievi. E ancora si sentiva alquanto aggravato nonostante i quattro passi all’ombra dei vicoli intorno alla Cattedrale della Vergine del fiore.

Il pacco era pesante e continuava a scivolargli dalle mani.

Meno male che Caterina aveva pensato agli angoli di cartone. Ma adesso era vicino alla meta. Svoltò in fretta l’angolo e imbucò il portone di quercia del monastero di fra’ Guittone d’Arezzo. Salì a due a due i gradini della scala di pietra serena e, trafelato, si trovò di fronte alla porta della consegna. E nel mentre che apriva l’uscio il  batacchio della campana di bronzo della Badia si mosse una sola volta.

Dong! Le una dopo mezzogiorno.

Preciso entro il tempo massimo concesso dal bando. Messere Filippo Brunelleschi; architettore della compagnia; consegnò il pacco.

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