Lettori fissi

Norcino

Tre sassi a colori, 2014



Norcino | 2015

Alcuni mesi fa mi son imbarcato nell’ennesimo concorso di architettura.

Se mi giro indietro a contare quelli cui ho partecipato non bastano le dita di una mano moltiplicata per dieci. Anzi forse occorrono anche le dita di due piedi. Se provo a metterli in ordine temporale il primo è un veterano di almeno trent’anni  mentre l’ultimo porta la data degli ultimi mesi dell’anno passato.

Mi piacciono la contesa, la battaglia per le idee, il confronto di progetti diversi.

Sono innamorato del progetto di concorso e tutte le volte vorrei lanciare sfida e proporre un singolar tenzone al primo arrivato. Questo significa due cose: che sono innamorato di Brancaleone da Norcia con i suoi strampalati duelli al primo sangue e che spesso il primo premio lo vedo passare da lontano. Durante lo srotolamento di questo tipo di progetti s’incontrano e si conoscono diversi personaggi

Si fanno nuove conoscenze e a volte nascono grandi amicizie.

Partecipando al Concorso per il recupero del campo di concentramento di Fossoli ho avuto modo di conoscere quello che è poi diventato un amico. Il gruppo era composto di una mezza dozzina di persone le più diverse che lavorarono, per un paio di mesi, in luoghi molto distanti tra di loro. Poi ci riunimmo per ventiquattrore di fila confinati dentro uno spazio comune. Il ricordo indelebile che mi è rimasto è focalizzato sopra alle ultime ore dell’ultima notte del progetto.

Provo a raccontarle in breve.

Siamo nei locali al piano terreno dello studio di Corso Italia al numero cinquanta. Il pomeriggio è stato occupato dal disegno degli alberi e degli argini. All’ora di cena stavano disegnando canali e scoli e ruderi. Durante il giornale radio eravamo intenti a tracciare ombre e parcheggi. Tutto a china e tutto a puntini e tratteggi su carta lucida novanta grammi. Poi verso le dieci pm arrivano le pizze con tre Moretti gelate. E dopo mangiato via per fotomontaggi e prospettive e assonometrie.

Una notte intera a disegnare.

Il buon Giovanni si cimenta nell’odiosa relazione tecnica che di solito gli architetti odiano. Lui no. A lui piace scrivere e lo fa bene. Ci mette del suo fin verso le tre. Dopo di che digita il punto di fine e accende la stampante ad aghi collegata al Macintosh 128K con il monitor da nove pollici. Affidiamo ai quattro fogli che vomita l’aggeggio elettronico il destino del progetto e ci rituffiamo sopra agli “Azero” per gli ultimi ritocchi.

Lui no.

Si avvicina alla stanza buia dello studio per ricevere clienti alla ricerca di piani per riposare le stanche membra. Dentro il locale, lo so per certo, c’è un comodo divano letto di buon disegno e chiunque ne avrebbe di sicuro approfittato. Lui no. Lui accosta di testa, specchiandole, due sedie Kartell col piano bucherellato di plastica colore bianco burro. Anzi ne prende una terza e la incastra nel mezzo tra le due. Poi le scosta leggermente una a una. Alla fine la brandina improvvisata, che in verità ha più le dimensioni di un pancaccio da carcere, misura quaranta per centocinquanta compreso i due vuoti di quindici centimetri e i tre piani bucati.

Una bomba del fai da te.

Il nostro eroe, centottanta e anche di più, ci si accartoccia sopra e si raggomitola in posizione fetale. E senza neanche contare pecore saltellanti si addormenta di schianto del sonno dei giusti. E se devo giustificare un perché poi il nostro progetto si piazzò al primo posto rendo merito a quel letto improvvisato e al di lui creatore che mi onora ancora della sua amicizia dopo così tanti anni. Mentre di molti dei partecipanti a quel progetto ho perso le tracce con lui ci si scrive lettere e cartoline e a volte ci trova per un desinare. Nonostante ci dividano una paio di cento di chilometri il mese scorso ci siamo trovati in trattoria con diversi altri amici e un par di maestri.

È stato bello.

Il gruppo dell’ultimo concorso si è formato l’estate scorsa in occasione del progetto per una casa d’accoglienza per bambini con malattie croniche da costruire a Catania. La gara non è andata troppo bene anzi meglio neanche parlarne. Si è comunque formato un gruppo.  Il penultimo si chiamava “Cip” ed era composta di quattro figuri che hanno operato, con alterne vicende, per una decina d’anni partecipando a numerose gare. Anche quest’ultimo, sempre di quattro persone formato, si è battezzato con tanto di acronimo che mescola lettere e numeri.

Ma questo non ci interessa.

Interessa raccontare l’ultima gara. Ne abbiamo cominciato a parlare a novembre con l’intenzione di fare il grosso del progetto in occasione delle feste di fine anno. Il tema tratta del concorso per la ricostruzione di un bivacco alpino in Forcella Marmarole provincia di Belluno. Quota sul livello del mare: metri duemiladuecentosessantuno. “C’è tempo a sufficienza per pensare di fare un buon lavoro e produrre un bell’oggetto in quell’ambiente così particolare” … questi sono all’ingrosso i pensieri degli elementi del gruppo. E infatti ognuno si cimenta con un idea precisa del ricovero. Talmente precisa che non riesce a combaciare con le altre. E nel frattempo è passata l’Epifania che tutte le feste le porta via. Ci siamo incontrati ancora un par di volte e convenuto sulle difficoltà di terminare il progetto.

Insomma una resa senza condizioni.

Ma la rinuncia mi ha lasciato un amarezza infinita. Questo progetto lo voglio finire. E lo finisco durante la notte. Ho disegnato tre sassi di ceramica e lamiera e legno e vetro. Li ho piazzati a cavallo della forcella leggermente rialzati per essere visibili quando la neve si alza fino a due metri. Ho un quaderno nero degli appunti pieno di disegnini sette e mezzo per quindici. Ho diversi fogli ventuno per ventinove e sette con disegni a colori. Ho alcuni schemi tecnici in formato elettronico. Ho in testa un modello fatto di argilla che possa fungere da base per fotomontaggi.

Il testo non mi fa paura. Tanto basta.

Mi ci vogliono sei notti insonni ma infine il progetto è finito. La scadenza per la consegna è stasera a mezzanotte. Ora entro la quale il pacco con disegni, testi e copie in formato elettronico, deve pervenire a destinazione. Ma questo non mi preoccupa. Nella mia testa il piccione viaggiatore è partito ieri e di sicuro arriva in tempo.

La notte scorsa l’ho passata a riordinar pensieri e scrivere queste note.

Stamani, appena sorge il sole, vado a trovare il babbo.

Ci vestiamo alla bisogna e insieme andiamo a salare il maiale.

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