Lettori fissi

Cidi



Cidi, 2010


Cidi | 2010

Per cinque anni mi è capitato di insegnare al Disegno Industriale di Calenzano vicino a Firenze. Ho tenuto corsi di allestimento e di portfolio dal duemila e cinque per cinque anni. L’ultimo esame stimo che lo firmerò  alle dieci e cinquanta cinque minuti di mercoledì dieci del secondo mese di questo anno. E alle undici stappo la bottiglia.

Agli studenti, gente tra ventuno e ventiquattro anni, ho raccontato di vetro, di vino e anche di olio; di progetto e rappresentazione; di fotografia e programmi di fotoritocco; di tavola e di mangiare; di grafica e impaginazione; di grandi esposizioni e di fiere; di spazi minimi e di loft; di mostre e di musei; di architetti e di designer; di artigiani e di materiali; di artisti e disegnatori; di oggetti e istallazioni.

E anche un pochino di me. Del mio lavoro e del mestiere alla ricerca della “… la via dei sentieri che si biforcano”. In ‘sto percorso mi hanno aiutato diversi esperti della disciplina; molti amici; oltre ad alcuni amministratori pubblici e direttori commerciali. Li voglio citare per nome e in ordine, ma non tutti, alfabetico.

Tre prima di tutto. Stefano, Alessandro e Gianluca. E poi Bruno, Francesco, Gianni, Irene, Lidia, Massimo, Paola, Pierluigi, Raffaele, Sandro, Sergio, Stefania e Tania. E se qualcuno mi è scappato me ne dolgo. Da tutti ho imparato qualcosa. Da molti ho imparato molto.

E anche i ventenni; futuri disegnatori per l’industria; mi hanno imparato. Nei corsi si ragionava (del + e del -) e si facevano progetti. Si son fatti anche alcuni modesti viaggi di studio. Il primo a veder delle rovine dove avrebbe dovuto sorgere un piccolo museo del territorio che si occupava di olivi e di olio. Il secondo a scoprire una cantina per il vino e un locale per la mescita del succo dell’uva. Il terzo, che ognuno ha fatto per conto proprio, ad allestire una modesta mostra dei lavori degli studenti che si erano occupati del liquido per la bruschetta.  Se ne doveva fare un quarto verso una città del nord a veder la triennale e il suo museo del design. Se c’era tempo si pensava di capitare a visitar lo studio-museo del grande Achille. Ma le adesioni erano talmente limitate che si contavano a malapena sulle dita della mano sinistra dello zio Ugo. E lo zio ne aveva tre; di dita intendo; visto che una taglierina elettronica se ne era portate via due. La quarta gita è finita a ramengo. Peggio per voi cari studenti se mi leggete. Non sapete quello che vi siete persi.

Ma torniamo a bomba e all’università. Agli esami si richiedevano; asseconda del tema dato: disegni a mano e plastici, modelli virtuali e viste assonometriche, scritti e novelle, piante e sezioni e le immancabili vedute foto realistiche volgarmente, secondo me, denominate rendering. Il lavoro era stampato in fogli formato A3 impaginati in sequenza. I ragazzi dovevano produrre e lasciare in pegno all’esaminatore anche un compact disk con dentro tutti i file del lavoro. I tondi hanno tutti la medesima dimensione, forma e capacità. Diametro centoventi millimetri per uno virgola due di spessore, circolare con foro al centro di quindici millimetri e capienza di settecento megabyte per ottanta minuti registrabili. Sopra ci son riportate la velocità di registrazione e il nome del produttore oltre ad altre informazioni che qui non serve segnalare. Molti stanno dentro una specie di cofanetto apribile e trasparente di centimetri quattordici virgola zero due per dodici virgola cinque spessore zero virgola cinque. Alcuni sono stati consegnati dentro a buste di pivuci quadrate di metri zero virgola dodici e cinque spessore non misurato.

Altri ancora, e questo ricordo che mi faceva incupire, ignudi come mamma sony li sforna. Sopra veniva scritto, con pennarello indelebile, i dati del corso e dello scolaro e anche qui c’erano i soliti furbi che ricorrevano a frasi tipo “…mi scuso professore ma ho dimenticato a casa la penna indelebile”. Ci sono state anche alcune faccine di bronzo con frasi di siffatta impostazione “ … non ho parole … il pici mi si è rotto all’improvviso e non ho potuto masterizzare … lo porto alla prossima sessione … giuro … parola di giovane marmotta”.

Peggio per loro che di sicuro non partecipano alla novella. I produttori dei dischi compatti; per distinguersi gli uni dagli altri; non potendo agire sulla forma e sulle dimensioni (normalizzate) si sono sbizzarriti con decori e colori sul davanti dell’oggetto. Il di dietro invece è uguale per tutti e per tutti neutro con superficie riflettente. Una sorta di democrazia tecnologica imposta di sicuro dal grande fratello della “tennica”. Rossi a strisce nere, viola melanzana, bianco latte, nero assoluto, blu marine con onde corallo, verde mela, arancio arancia, giallo banana e via e via.

E siccome i giorni passati ho ripulito il mio archivio mi è venuto in mano tutto questo materiale. Quando si fanno pulizie si butta, di regola, il superfluo e l’ingombrante. Anche io mi regolo in siffatto modo. Via la maggior parte delle stampe; tengo solo i disegni migliori e quelli a mano. Via tutte le buste e i contenitori. Mi restano solo i dischi. Li controllo uno per uno aprendoli dal computer. Come immaginavo una parte son vuoti oppure non apribili con i normali programmi. I furboni, circa quindici, si meritano gli anatemi dell’insegnante mentre le loro ruote rotolano nel cestino.

Eliminati i cattivi restano i buoni. Ne conto centocinquantacinque. Ci voglio fare una scritta. La realizzo sopra al pannello di multistrato arancione; autoprodotto nel novantanove insieme ad altri tre; che sta a destra per chi entra nella stanza che funge da studio. Dal pannello elimino tutte le carte e gli appunti che si sono accumulati nel corso degli anni. Recupero solo le puntine di vari colori, forma e dimensioni. Mi faccio un’idea di quello che voglio scrivere e lo progetto sopra un post-it giallino. Disegno tanti tondi con la pilot nera spessore zero cinque.

Settanta sono sufficienti. Conto i compatti fino alla cifra che mi occorre. Ne restano ottantacinque e non li voglio proprio perdere. Allora li riunisco in una pila cilindrica alta dieci centimetri e due millimetri di diametro conosciuto con un foro al centro. Nel buco ci passo uno spago da cucina; quello per l’arista al forno; lungo cinquantacinquemila decimillimetri. Riunisco le due estremità del filo e le lego a un fiocco. Appendo questo specie di bracciale sintetico e naturale alla mensola del pannello arancione gemello a quello dell’installazione. Accatasto le puntine, salvate poc’anzi, dentro la scatolina di legno ramino con la chiusura scorrevole che di solito ospita la stilografica regalata dal mio amore quando discussi la tesi venticinque anni or sono.

Ora son pronto per fare lo scrittore.

Alterno, secondo il progetto, dischi colorati con altri neutri. Afferro il disco con la mano sinistra e la puntina con la destra. Dispongo il tondo sul pannello e infilo la punta, passando dentro il foro, nel legno a fermarlo. Il prossimo accanto in tangenza. E via e via. Per settanta volte. Fatto. Mi allontano di passi cinque e osservo la composizione. La scritta si legge agevolmente.

Son contento. Arrostisco la bionda e ci bevo sopra il caffè mentre la digitale, in modalità autoscatto, fa il suo mestiere e acquisisce immagini.

E poi a casa dalla famiglia.

I problemi; per quella che consideravo un’opera d’arte; cominciano i giorni appresso appena qualcuno entra nella stanza.

Tutti immancabilmente notato l’istallazione e osservano per un momento i settanta dischi appuntati. E tutti altrettanto fatalmente se ne escono con la classica battuta “… che roba è?”. E io con le orecchie che toccano terra “… è una scritta”. E loro “… si, ma che c’è scritto?”. E io con i lobi che puliscono il pavimento “… ma che non si legge?”. E loro sempre più serafici “… veramente no … non ci leggo niente”. E io sogghignante e finalmente soddisfatto “… ma allora comprati gli occhiali che ne hai proprio bisogno”. E termino con due lettere in fila “… Cidi”.

Nessun commento:

Posta un commento

La scappata

La scappata | 2021 Il sedici del quarto si decisero a cercarlo. Se n’era andato verso la fine dell’estate precedente con famiglia, animal...