Lettori fissi

26/11/20

Chiacchiere in San Frediano

 

Chiacchiere in San Frediano | 1996

Il rione di Sanfrediano è “di là d’Arno”,

è quel grosso mucchio di case tra

la riva sinistra del fiume, la chiesa del Carmine

e le pendici di Bellosguardo; ...

Le case sono antiche per le loro pietre,

e più per il   loro squallore; formano, l’una a

ridosso dell’altra, un immenso isolato, qua e là

interrotto dall’apertura delle strade, con gli

improvvisi, incredibili respiri del lungofiume e

delle piazze, ...

VASCO PRATOLINI

Le ragazze di San Frediano

 

Si ritrovarono in un caldo primo pomeriggio decembrino su una panchina del lungarno di Santa Rosa: il pensionato, l’abitante, il giovane e l’architetto. Non si conoscevano ma li accumunava il medesimo amore per Firenze e la sua arte. Fecero amicizia ragionando di Masaccio, Masolino e dei loro splendidi affreschi della vicina cappella del Carmine. L’architetto aveva però un problema che lo assillava ormai da diversi giorni. Partecipava al concorso per il recupero della vicina zona dell’ex gasometro e cullava la fantasia con il leggero fruscio del fiume e con la vista della sua parte in ferro emergente. Espose i suoi dubbi, propositi e sensazioni ai suoi nuovi amici che, presi da sacro furore, cominciarono, tutti insieme, a parlare sovrapponendosi l’uno all’altro con idee, suggerimenti e pensieri in forma caotica.

Rimettendo a posto quello che dissero, come se fossero dialoghi ordinati, verrebbe fuori quello che segue.

 

IL PENSIONATO (l’uomo della terza età)

Son quasi undici anni che frequento il centro anziani, importante istituzione per noi, e ho diverse cose da raccontarti, caro amico. Ne ho sentite e viste di tutti i colori su questa area. Certamente se ne è molto parlato, ma mai niente fatto. Come direbbe il mio amico Bartali: ...qui, gli è tutto sbagliato, ... gli è tutto da rifare. Se non fosse per l’opera di volontariato svolta da qui cari giovani del centro di solidarietà qui andrebbe tutto a ramengo. Avremmo bisogno di un posto per poter passeggiare, chiacchierare, passare la giornata, senza dover per forza  venire qui sul fiume. Noi siamo vecchi, non abbiamo le gambe buone. Avremmo bisogno di più spazio dove poter organizzare attività di supporto a carattere sociale e ludico. Quegli edifici, così vuoti, così mezzi distrutti, che peccato.

 

L’ABITANTE (l’uomo della strada)

Abito in via Pisana dal millenovecento cinquantotto. Questa zona la conosco come le mie tasche. Ho visto funzionare il gasometro, gran bella struttura. E quando si alzava la cupola, che lavoro! Ma adesso? Certamente anch’io ne ho sentite di tutti i colori su interventi da realizzare e poi mai cominciati. Da comune abitante devo ringraziare il lavoro svolto dall’associazione di volontariato che, mi pare, si chiami centro di solidarietà. Caro architetto qui non si tratta, solo, di ripristinare un edificio o tirar su due pareti. Il problema vero è la delinquenza e la criminalità che, ormai da tempo, serpeggiano all’interno del cortile. Noi, come abitanti e come genitori, siamo molto preoccupati.

 

IL GIOVANE (il tossicodipendente, l’uomo della speranza)

Io è solo un anno e mezzo che vivo qui, vengo dall’Isolotto, e devo tutto al Centro e al suo mentore: Don Stinghi.  E’ lui che ci aiuta e conforta nel nostro calvario. Noi viviamo in quella palazzina laggiù, vedi? Comoda e confortevole ed anche carina, ma ci serve qualcosa di più. Noi siamo ragazzi con mille problemi e cercare di reinserirsi nella società non è facile, per niente. Solo dopo un certo tempo forse riusciamo a vincere questa nostra lotta. Ma durante al fase di riabilitazione vogliamo avere la possibilità di fare qualcosa di costruttivo e di impostare il nostro futuro. Studiare, lavorare, organizzare. Qui ci sarebbero gli spazi. Affianco a noi ci sono degli edifici abbandonati che si potrebbero usare per fare tante cose. E il gasometro, è molto grande, potremmo adoprarlo.

 

L’ARCHITETTO (l’uomo del mattone)

Cari amici vi ho ascoltato con grande attenzione. Voglio cogliere gli spunti del luogo e muovermi sopra diversi piani di intervento collegati da un intrigato percorso di fili arrugginiti e luccicanti, emozioni e logica, disegno e manualità. Cerco l’appropriazione sensitiva ed emozionale, oltre che logica, del sito rileggendo, in chiave contemporanea, tutte le emergenze fisiche (muri, tetti, alberi e acqua) ed emotive (odori, umori, silenzi e materiali) del luogo stesso.

 

Vi ruberò certe idee e farò un progetto così.

 

Innanzi tutto voglio recuperare nella sua interezza l’ex gasometro, senza minimamente modificarne l’aspetto interno ed esterno. Disporrò per una completa ripulitura del paramento lapideo esterno per farlo risplendere nel tempo. Orienterò la riqualificazione interna del contenitore in direttrici ortogonali: nord-sud, est-ovest, ossia medesime al centro di Firenze. E così anche i quattro accessi, che mi permetteranno di dare luce ed aria agli ambienti e di poter usufruire con sicurezza e tranquillità degli spazi. In questo enorme cilindro collocherò tre palestre: una grande per i giochi di squadra e due piccole per attività a corpo libero. Tutto interrato ed agibile anche da persone disabili. Nella parte fuori terra realizzerò un ampio spazio, una sorta di sala delle feste del quartiere, per concerti, teatro, riunioni, cinema.  Voglio inoltre che le persone possano viverla questa struttura, sentirla propria, quindi troverò il modo per poter salire sulla copertura e li passeggiare, leggere, sostare, ammirare in lontananza la porta di S. Frediano o assaporare l’ebrezza del fiume che risuona non lontano. Libererò la muratura esterna da tutte quelle fatiscenze che oggi non permettono di ammirare questo cilindro lapideo in tutta la sua completezza e al tempo stesso lo circonderò di verde, come gli antichi mausolei, per consegnarlo solennemente al ventunesimo secolo. Si accederà all’interno attraverso dei pontili che lo collegheranno al resto dell’intorno. Voglio un contenitore multi funzionale per tutto il quartiere, simbolo di un’avviata riqualificazione urbana.

Recupererò tutti gli edifici in grave stato di abbandono nel massimo rispetto di questo luogo destrutturato, ma di grande potenzialità. Caro giovane amico è lì che sistemerò i nuovi spazi per te e tutti coloro che fanno parte del centro di solidarietà. Avrete aule per studiare, biblioteche per leggere, laboratori per lavorare e imparare un mestiere, sale per svagarsi, ambulatori per curarsi - il corpo e la mente - ed anche piccoli appartamenti dove poter riacquistare la vostra indipendenza. Tutti gli edifici ristrutturati manterranno il loro attuale aspetto esteriore fatto da tetti in laterizio, intonaco sui paramenti e infissi in legno. E quello nuovo che intendo realizzare presenterà facciate rivestite di bel materiale lapideo fiorentino coronate da uno snello cornicione in pietra locale. I fabbricati saranno tra loro collegati da una passerella pedonale coperta in ferro e vetro, in quota, per poter meglio dirigersi da un fabbricato all’altro, in segno di spiccata funzionalità e ricerca di socializzazione. Un intervento di micro urbanistica sul modello del cinquecentesco corridoio vasariano.

Ci sarà inoltre un accenno di portico attorno al gasometro, sul proseguimento della tettoia capriata esistente. Il suo disegno in relazione con il grande cilindro assumerà la medesima funzione del portico nei cortili conventuali e quindi diverrà luogo di passeggio, di svago, di lettura e riflessione. Tutto supportato da una piccola piazzetta dove una statua (della speranza) vi osserverà dall’alto. Una città nella città. Vicoli stretti che si aprono in ampi spazi con nuovi e continui scorci.

Caro pensionato ristrutturerò anche la vostra palazzina, rendendola più confortevole con l’inserimento di un’ ascensore, servizi e un piccolo bar prospicente il portico.

E tu abitante del quartiere avrai la possibilità di usufruire di tutto quanto, di poter sostare nell’area. Un’oasi, circondata dalle auto e dallo smog, ma al tempo stesso luogo per rilassarsi e per poter scambiare due parole.

Per realizzare la permeabilità con l’esterno e quindi ricucire il lotto con il contesto, ripristinerò l’ingresso da via Pisana ed anche gli accessi dal lungarno di Santa Rosa e da via dell’Anconella. Per il conforto del pedone pavimenterò l’intera zona compreso gli accessi. L’ideale sono pietre che vengono dai dintorni, dal bacino attorno a Firenze, pietre antiche come il macigno. Nella zona del Gasometro poserò un ammattonato in laterizio alternato a ricorsi di pietra ad evidenziare la maglia del portico e nel tragitto tra i due ingressi disporrò un pavimento in pietra macigno. E così anche negli accessi, riproposizione dei selciati delle pubbliche vie, i quali resero le città toscane rinomate fin dall’antico.

Il mio progetto sarà comprensivo anche di alcune opere riqualificanti il quartiere di S. Frediano. Piazza di Verzaia sarà completamente pedonalizzata e pavimentata con semplici lastre in macigno con le singole pietre a spina simmetrica, in modo che appariranno di due toni, (che varieranno secondo l’angolo visuale). Un angolo della stessa sarà occupato da una statua (di San Frediano).

Dove adesso siam seduti, voglio che i fiorentini tornino con grande gioia a vivere questa parte di lungofiume, forse l’unica, eccetto le Cascine, dove la natura con essenze vegetali adulte (pioppi, platani e tigli) lambisce l’acqua. Il mio intervento qui sarà minimale e di grande rispetto per la morfologia di quest’area. Quindi mi limiterò ad una semplice riorganizzazione del verde attrezzato e del percorso pedonale. Sarà questa la zona verde di supporto al parco delle Cascine per attività sportive all’aperto.

Lungofiume realizzerò due percorsi, a quote differenti in terra battuta, per passeggiare e sostare dal ponte Vespucci al ponte alla Vittoria e quindi permettere ai fiorentini di vivere, più da vicino, quel figlio naturale che è l’Arno. Riporterò la gente a divertirsi sul fiume, dove una chiatta in legno fungerà da luogo per ballare, fare concerti, sfilate, sostare e, perchè no, accarezzare la superficie dell’acqua e imbarcarsi su piccole barchette.

Al fiume si accederà direttamente con un collegamento verticale a doppia spirale, molto suggestivo e panoramico nelle vicinanze del torrino di Santa Rosa. Una piazzetta perimetrata con un muro fessurato in più punti e pavimentata in laterizio, darà vita ad un ampio spazio all’aperto.

Cari amici a questo punto tutto è pronto per quel sogno che tutti noi, amanti della città, culliamo con nostalgia: camminare sulle mura, viverle, sentirle proprie. Quindi una passerella sulle mura che colleghi la porta di San Frediano, con annesso ristorante panoramico, con il torrino di Santa Rosa e da lì, in un battibaleno, saremo sul fiume. Un segno forte, di grande unione sociale e un percorso urbano inconsueto e affascinante.

Ed infine proprio lì sotto le mura, nel giardinetto di lungarno di Santa Rosa, sistemerò una struttura prefabbricata multifunzionale adibita a parcheggio e, nella parte superiore, a piazza urbana dove, durante la bella stagione si potrà fare di tutto, dal cinema al teatro, dalla musica alle sfilate, dalle mostre al mercato rionale.

Spero un giorno di realizzare le cose che vi ho esposto, per il momento mi accontento di sognarle.


19/11/20

Interviste improbabili: 3 domande a Paul Renner

 


Interviste improbabili: 3 domande a Paul Renner | 2019

 

Bauhaus compie cent’anni. In ogni dove se ne ricercano influenze ed emergenze sul vivere contemporaneo. Ecco una testimonianza dell’epoca.

 

D Prego si racconti.

R Son figlio del XIX° e della Germania. Ho studiato pittura e insegnato grafica, pubblicità e tipografia presso la …

 

D Staatliches Bauhaus – interrompendo -  suppongo.

R Suppone male caro signore. Si vede che non è molto informato nonostante quell’aggeggio piatto e nero che tiene in mano e usa con frequenza. Sarò anziano ma la memoria è fluida. Rammento bene quel periodo. Dopo la guerra mi vogliono insegnante in alcune scuole professionali. Scelgo quella che, all’epoca, sembrava la migliore ed è comunque quella dove girano voci, pettegolezzi e idee. Un giorno qualcuno racconta che a Weimar un architetto ha promosso un modello di insegnamento del tutto nuovo. Intrigato dalla notizia ci passo l’intera estate del ventiquattro e da quel momento ne condivido gran parte della filosofia estetica e metodi d’insegnamento. In autunno incontro uno studente brillante, di cui non rammento nome e neanche aspetto - sarò rincitrullito? - , che si diploma disegnando un nuovo carattere da stampa. Li per li non pare niente di speciale e il ragazzo viene liquidato con un bel “massimo dei voti e lode” e ciao. Se ne torna, al paesello in Foresta nera, a stampare manifesti e volantini nella tipografia di famiglia senza lasciare coordinate. Insomma se ne perdono le tracce per sempre.  Alla fine del semestre successivo, come faccio di normale perché non si sa mai …, con la mente sgombra e le antenne professionali ben dritte  rivedo il materiale degli studenti compreso quello del foresto. Apro il faldone e …

 

D La prego non interrompa l’emozione.

R Ehi … aspirante giornalista. Cosa crede? Mica siamo al cine! Che emozione e turbamento. Stiamo sul pezzo se permette. Senza fronzoli e altre storie. Dentro la cartella c’è il progetto che conosco; buono ma non eccezionale. La sorpresa è sul fondo svoltando l’ultimo pacchetto che contiene disegni mai visti. Semplici schizzi, con schemi e figure geometriche di riferimento, ma potenti. Evidentemente erano stati scartati anche dall’autore.  Wunderbar – esclamai alla stanza vuota -   loro si che meritano la mia attenzione”. Quindi ho lavorato, migliorandoli notevolmente, sugli scarabocchi per alcuni anni a seguire. Il risultato è un carattere secco, senza grazie o fronzoli dove l’influenza del Bauhaus è evidente così come lo sono le regole geometriche di base. Son rifuggito da qualunque vezzo stilistico fidando solo nella ragione. Il principio fondante è chiaramente il razionalismo che andava forte al periodo. Ricorda di certo lo slogan “la forma segue la funzione” che ha cibato i pensieri di schiere di studenti, designer e architetti dalla terra alla luna. Fin’oggi.

 

D Bene rimane solo da presentare il font.

R E no caro il mio intervistatore. Si era detto tre domande.

12/11/20

Antefatti e architettura

 


Antefatti e architettura | 1996


… (omissis)


Il luogo del progetto è a Firenze in Piazza dell’unità italiana.


La piazza si scopre uscendo dalla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella e imboccando via dè Panzani. Si tratta, come gran parte dei luoghi della città, di un grande spiazzo, ricco di memorie storiche stratificate ai margini della Firenze romana, di forma trapezoidale irregolare tangente alla stessa via dé Panzani con il lato est della chiesa di Santa Maria Novella e  delimitato sui restanti tre lati da edifici di varie epoche e dimensioni: Palazzo dé Cerretani, Hotel Majestic e Hotel Baglioni. Dalla facciata principale dell’edificio in progetto si dipartono due strette strade; via S. Antonino e via del Melarancio; che conducono verso il Mercato centrale, le Cappelle Medicee e la chiesa di San Lorenzo. Circa al centro della piazza , spostato verso via dé Panzani, si erge uno sgraziato obelisco ottocentesco  in pietra mentre le auto la invadono su tutti i lati.


Le prime notizie del luogo risalgono al tredicesimo secolo allorquando  il 20 Dicembre 1244 il podestà Bernardino di Rolando Rosso, udito  il parere del consiglio e su domanda del frate Pietro da Verona, cede  la piazza stessa affinché  “... ci possa  predicare secondo la sua volontà.”


Così la piazza, veramente uno spiazzo di terreno incolto , nei pressi del convento di Santa Maria Novella ove lo stesso frate era ospite,   ai margini della città  e nelle vicinanze degli orti dei vari ordini mendicanti, assume il ruolo di importante luogo urbano. Nel corso della sua storia  vi si terranno prediche e riunioni, mercati  e celebrazioni. 


Qui si riunisce il popolo per assistere alle prediche del frate contro i Patarini che lacerano la Chiesa fiorentina.


E’ questo il luogo scelto dal cardinale Latino Malabranca , nel 1279, come sede di riunione e concordia per pacificare le parti politiche dei Guelfi e dei Ghibellini. Per questa solenne cerimonia la piazza , su cui ancora si apre l’ingresso della chiesa di Santa Maria Novella,  è ricoperta da una tenda di drappi colorati. Ai lati, alti pergami di legno accolgono vescovi e prelati, podestà e capitani, consiglieri e priori delle arti. L’alto prelato invita tutte le parti alla concordia e , come racconta in Villani, “... fece baciare in bocca i sindachi ordinati per li Guelfi e per li Ghibellini, pace facendo con grande allegrezza per tutti i cittadini “.


Di li a poco, però, lo stesso cardinale Malabranca pose la prima pietra della nuova, grande, chiesa domenicana di Santa Maria Novella progettata dai due frati architetti Sisto da Firenze e Ristoro da Campi. Essi rivolsero a mezzogiorno la facciata che prima orientava a levante sulla piazza in questione. Così dinanzi alla nuova chiesa, sul finire del duecento sorse la nuova grandissima piazza mentre lo spiazzo prese il nome di Piazza vecchia.


Da allora non vi si tennero ne prediche ne pacificazioni ma si utilizzo l’invaso, sino alle soglie del seicento, come luogo di mercati ; degli ortaggi e della paglia prima, del fieno e in seguito  del carbone.


Nel frattempo, intorno agli ultimi decenni del cinquecento, sul lato a settentrione si edificò Palazzo Cerretani ; attuale sede della direzione  compartimentale delle ferrovie dello stato. Inizialmente di proprietà dei Lagoberti l’edificio, dal 1650, fu acquistato dal senatore Giovanni de Cerretani che ordinò la facciata aprendo la loggia a metà della stessa e facendo decorare, con stucchi e pitture, il salone d’onore.


Verso la metà del settecento, all’angolo  con via del Melarancio ; l’origine del nome pare derivare dai frutti , deliziosi e profumati provenienti dalla Persia,  piantumati nel giardino, annesso al palazzo di proprietà della famiglia dei Gaddi, fiancheggiato dal tracciato della strada; si costruì il Teatro della Piazza vecchia o degli Accademici che, successivamente allo spostamento della capitale da Firenze a Roma sul finire dell’ottocento si trasformò in privata abitazione.


Il palazzo che ospita l’attuale Hotel Baglioni prende forma intorno alla seconda metà dell’ottocento  come palazzo Corega  in sostituzione di antiche abitazioni.

I cinque anni in cui la città fu ordinata capitale lasciarono, sul luogo, come unico segnale l’obelisco in pietra che battezzò la piazza con l’attuale denominazione di piazza dell’unità italiana.


Il vecchio Hotel Majestic nasce invece nel 1926 probabilmente ristrutturando , accorpando, ampliando e dotando di nuove facciate alcuni edifici di tre o quattro piani. Le scarse documentazioni esistenti ci raccontano di un dignitoso edificio di cinque piani, in stile ottocentesco, affacciato sulla piazza come il fondale di un palcoscenico con la parte a destra leggermente piegata, rispetto al filo facciata,  ad orientarsi su via del Melarancio  in modo da creare  l’effetto chiusura  di un prospetto  altrimenti sfuggente. La facciata tripartita, la parte basamentale a intonaco bugnato, le cornice marcapiani, le mostre alle finestre e i balconi ai piani nobili a segnare gli ingressi evidenziano e rimarcano la simmetria della facciata  e la fanno appartenere alla piazza ed alla città. Così la piazza, di forma irregolare  ma sostanzialmente chiusa su tutti i lati, contribuisce a creare lo scenario urbano.


Successivamente, intorno agli anni trenta del nostro secolo,  con la costruzione della Stazione ferroviaria di Michelucci e  con il completamento dell’allargamento stradale di  via Valfonda si giunge all’attuale sistema degli spazi in cui la predominanza viene assunta dal vuoto intorno alla stazione stessa mentre la piazza si riduce ad un grande slargo con al centro l’obelisco.

Quindi, come raccontano  Paoletti e Carniani nelle cronache del periodo,  la notte fra il tre e il quattro novembre  “ Ignari di quanto sarebbe di li a poco accaduto, la maggior parte dei fiorentini se ne va a letto, lasciandosi cullare dal ticchettio dell’acqua scrosciante, e si addormenta.” Alle due e trenta del mattino del quattro, superato l’argine, acqua irrompe alla Nave a Rovezzano. E’ l’inizio della tragica alluvione del millenovecentosessantasei.


Nel frattempo il cambio di proprietà innesca il meccanismo della sostituzione e sul finire degli anni sessanta si progetta e si costruisce, su disegno degli architetti Bartoli e Sanità,  l’attuale edificio. 


La costruzione si sviluppa intorno ad una corte centrale rettangolare, occupata al piano terra ed al primo dal salone principale degli uffici della banca, sulla cui copertura prospettano le facciate interne  dell’albergo. Il lato est del fabbricato su via S. Antonino ingloba un edificio settecentesco del quale si conserva la  facciata originaria. Con l’eccetto di una piccola porzione sul lato di via del Melarancio, nella quale sono  posizionati l’ingresso e la ricezione dell’hotel, il piano terreno ed il primo dell’edificio sono interamente occupati dagli uffici e dal salone al pubblico della Banca popolare di Novara, proprietaria dell’intera costruzione . A partire dal secondo e per quattro piani si sviluppano gli ambienti dell’albergo che comprende una sessantina  di stanze , tra singole e doppie, oltre ai servizi. Il ristorante si posiziona al primo piano con affaccio sulla corte interna mentre i piani interrati sono destinati al parcheggio, con accesso dalla piazza, al caveau della banca ed ai locali tecnici.

La scelta architettonica di rottura con la tradizione dei  palazzi fiorentini è ben evidente nella facciata principale dove scompaiono quelle sottili ed eleganti soluzioni che collaborano alla creazione di uno spazio finito e concluso. La base dell’edificio è scavata , così come l’angolo su via S. Antonino,  a creare un falso portico aggettante sul filo stradale. Tutta la composizione è incentrata sulla  verticalità con le fasce in pietra  , i sottili pilastri in cemento aggettanti, e le aperture a feritoia. Non sono riconoscibili gli ingressi principali e , in generale, il progetto non appartiene al luogo non rispettandone i principi insediativi, il filo stradale e il dialogo con l’intorno. 


Tenendo a mente questo complesso e intrecciato quadro di riferimento storico, i lavori qui esposti ricercano, con soluzioni diverse, la risposta alla necessità di ricucitura del tessuto urbano. Si rifanno alle fondamenta della città cercando , attraverso la lettura storico critica, cercano di fisicizzare lo spirito del luogo stesso.  Ambiscono a coglierne lo spirito più profondo e si muovono su diversi piani di intervento collegati da un intrigato  percorso di fili arrugginiti e luccicanti, emozioni e logica, disegno e manualità. Percorrono la difficile strada di progettare per la città  cercando quindi l’appropriazione sensitiva ed emozionale oltre che logica  del sito  e rileggono , in chiave contemporanea, tutte quelle emergenze fisiche ed emotive - colori - odori - silenzi e materiali - proprie del  contesto. Il momento fondamentale dell’architettura, come scrive Norberg-Schulz,  è quindi  quello di comprendere la  “vocazione del luogo”   e il suo spirito più nascosto, ricercarne il sedime e impostare il nuovo con appropriate soluzioni dimensionali e materiche, di rapporto tra le parti ed il tutto, di adesione al progetto per la città e non contro la città.  Infatti , come sostiene Adolfo Natalini  “ i luoghi della città storica hanno uno spessore fortissimo. Sono stratificazioni di memorie orientate, sono nodi di relazioni, sono (o dovrebbero essere) scenari di vita civile. I luoghi della città storica sono luoghi complessi: a volte ce ne sfugge il senso per la nostra scarsa adesione alla città o per gli innumerevoli disturbi che ne rendono difficile la lettura.  Il genius loci ( o più semplicemente il contesto)  richiede la sensibilità del rabdomante ( o più semplicemente, un analisi approfondita in direzioni diverse) . Non basta leggere la città, bisogna  ‘sentire’ la città con l’intenzione di recuperarne il senso.”


Il punto di riferimento  principale è stata l’architettura della città storica europea , i suoi modelli ne hanno rappresentato l’esercizio didattico.  Il tema è stato affrontato con rigore  ed aderenza alla reale situazione del costruire. Si sono abbandonati i faraonici progetti degli anni settanta confidando sulla necessità  didattica del progetto e sulle migliori  regole vitruviane unite a quelle dei trattatisti rinascimentali. Le analisi critiche ed emotive sulla città , la comprensione, anche emozionale, del luogo, le lezioni di architettura di Durand, le opere di Muzio , gli scritti e gli edifici di  Kahn, l’uso sapiente dei materiali di Scarpa e di altri grandi architetti ci sono state di guida e conforto. L’ostinato esercizio didattico del disegno e della manualità ci ha orientato nella tortuosa strada del ‘fare architettura’. Il movimento, obbligato ma imprevedibile, del cavallo nel gioco degli scacchi ci ha permesso di avventurarsi nell’intrigato percorso progettuale. Dall’impianto distributivo e funzionale alle prime ipotesi volumetriche;  dal confronto delle soluzioni di facciata all’ uso dei materiali e delle tecniche costruttive; dallo studio strutturale alle vedute; dalle soluzioni tipologiche alle sezioni; dal disegno ai modelli  in un continuo  gioco di rimandi : dal dettaglio all’insieme, dall’edificio  al suo intorno, dall’architettura alla città. Questo esercizio ci ha , con gran sudore, permesso di scegliere la strada diritta  o tortuosa oppure , in alcuni casi, di ripercorrerla a ritroso, fino a  trovare  come diceva Borges “ la via dei sentieri che si biforcano” , riannodarne i fili  e trovare il progetto in quel luogo e per quel luogo con un approccio ogni volta esclusivo e aderente alla città.  “ Michelangiolo trovava la statua nel blocco di marmo. La scultura come arte del togliere il superfluo. Forse - come sostiene Adolfo Natalini -  l’architettura è già nei luoghi: dobbiamo solo ritrovarla.”


I progetti di seguito riportati cercano di ritrovare l’architettura; si ancorano al passato e cercano i segni di un nuovo futuro.


In generale si ricollegano alla grande tradizione del palazzo fiorentino che è servito di modello alla costruzione della città fino a tutto l’ottocento e ai primi decenni di questo secolo. L’uso del cortile o corte interna, in molti casi ad uso pubblico, lo studio delle specifiche tipologie e delle distribuzioni interne, la conoscenza puntuale del luogo e l’attenta scelta dei materiali sono stati gli elementi comuni della ricerca.


Credendo che l’architettura è l’arte dei scoperta dei luoghi ambiremmo a che questi lavori venissero letti  e compresi con il necessario spirito critico ed emotivo e ci piace concludere con le parole di Louis Kahn, un grande architetto. “ La prima volta che sono stato a Pisa, mi sono diretto verso la piazza. Nell’avvicinarmi, vedendo in distanza uno scorcio del campanile, ne fui così appagato che mi fermai di colpo ed entrai in un negozio a comprare una brutta giacca inglese. Non osando entrare nella piazza deviai per altre strade girandoci attorno, ma senza mai arrivarci. Il giorno dopo andai dritto al campanile, ne toccai il marmo, e quello del duomo e del battistero.


L’indomani entrai coraggiosamente negli edifici.”


05/11/20

E poi

 

E poi | 2004

 

Ne ho viste di storie che voi umani non potete immaginare.

 

Sono nata cento e passa anni fa e da allora ne son successe di cose. Il mio tempo è segnato dagli anelli concentrici che si aggiungono anno per anno al mio centro. Ogni anno mi fortifico un po’ di più. Da fragile e piccola che ero son diventata forte e adulta. Penso quindi sono. Sono l’albero fuori le mura. Un seme disperso nel vento mi ha fatto atterrare qui dove ho messo radici e attinto la linfa dal fossato che scorreva appena fuori il muro di pietra. Il muro, come tutte le cose costruite da voi umani, è poi crollato. Incidente; incuria, lo scorrere del tempo o che so io.

 

Ma è crollato.

 

E poi è stata la volta della Porta che segnava il limite tra il dentro e il fuori. In nome del progresso ho visto gli operai montare i ponteggi di legno e smontare pietra a pietra la porta che, devo dire, mi era diventata amica. Certe notti d’estate parlavamo per ore e ci raccontavamo a vicenda i fatti del giorno. Quanti carri erano transitati e che merci portavano: botti di vino, sacchi di frumento, fasci di fascine. Io per parte mia raccontavo degli uccelli che si erano posati sui miei rami e delle storie che mi narravano oppure, certe volte, dei loro piccoli che mi lasciavano da badare. Raccontavo anche a voi il lento scorrere delle stagioni. In autunno perdevo le mie grandi foglie e d’inverno mi addormentavo. In primavera arrivavano le rondini a svegliarmi. Le miei gemme diventavano grosse e gonfie di vita e sbocciavano in grandi fiori bianchi che mi coloravano la chioma. Durante l’estate la mia ombra vi serviva per ripararvi dal sole e la sera i fidanzati si appoggiavano al mio tronco per sussurrarsi parole di amore eterno.

 

Quante ne ho viste.

 

E poi ricordo ancora come fosse oggi di quella volta che la Beatrice sorprese il Dante che amoreggiava con l’Italia. Quante ingiurie uscirono dalla sua bocca. Ancora divento rossa al ricordo. Con il Cassero invece non parlavo. Troppo austero. Si credeva importante perché di origini nobili. La famiglia che l’aveva costruito veniva da Firenze e anche loro erano molto riservati. Veramente delle persone scorbutiche. Ma tutto passa. Il tempo fa giustizia. E poi un giorno costruirono uno spiazzo intitolato al Popolo e ci misero una tettoia. Ci si svolgeva il mercato dei polli e devo dire che anche loro mi facevano la loro bella compagnia starnazzandomi intorno. I pennuti erano tanti ma cambiavano continuamente e allora non ricordo il nome di nessuno di essi.

 

E poi un certo punto mi ricordo che arrivarono gli agrimensori con i loro strani strumenti ottici che poggiano su tre piedi. I geometri cominciarono a misurare e tirare corde: angoli e raccordi; ellissi e paline. Costruirono la piazza che fu battezzata a ricordare una grande battaglia in posti lontani. Usarono il mio tronco per far centro al disegno del quadrilatero e  da allora mi sono sentita un po’ più importante. Quegli anni furono importanti. Il paese cresceva e si abbelliva. Furono sistemate le case intorno a me e altre se ne aggiunsero di nuove. E poi piantarono un filare di tigli che ho visto crescere come dei nipoti e con cui ho scambiato notizie e impressioni per alcuni decenni anche se non c’è stato mai un grande rapporto vista la diversità della specie. Insieme alla costruzione della piazza furono piantati i sei abetoni che mi circondano e mi fanno compagnia anche se, devo dire, in verità il loro linguaggio di montagna è troppo semplice per una cittadina come me.

 

E poi insieme agli alberi arrivò lui.

 

Il mio amore: Giuseppe. In verità era solo un bronzo e neanche tutto intero. Un bel busto in bronzo luccicante con cui parlavo per ore. Mi raccontava di quando era tutto intero e girava per la penisola a infiammare la gente con i suoi discorsi rivoluzionari. E poi ho visto costruire il colonnato in pietra li davanti che è stato coperto e pavimentato. Ma la sua forma e soprattutto i suoi vuoti disperdevano le parole portate dal vento e non riuscivamo a comunicare.

 

E poi qualcuno di voi, forse un podestà, ebbe la brillante idea di sostituire il mio Giuseppe con una copia in travertino e di buttare al fiume il mio amato che iniziò  ad arrugginire e, irrimediabilmente, smise di parlarmi. E poi ricordo quel villino d’angolo con la torretta circolare. Tutto stucchi e cornici che pareva un gigolò. Non sono mai riuscita a scambiare più di due parole: “… buongiorno e buonasera …” ; si dava certe arie e si credeva chissà che. Adesso è tutto sbrecciato e sotto il tetto della torretta ci piove anche.

 

E poi un giorno arrivarono gli uomini in nero.

 

Vestivano con camicie e fez e portavano bastoni. Mi ricordo di quello grosso con la barba e il petto villoso che guidava il camion. Una sera parcheggiarono vicino alle logge e si nascosero all’ombra delle colonne. Si mostrarono appena giunse il Giovanni che tornava da una riunione sindacale. Lo fecero nero di botte e rosso di sangue che mancò poco non rendesse l’anima.

 

E poi ancora, circa vent’anni dopo, la piazza fu occupata da altri uomini con le uniformi grigioverdi; con l’elmetto in testa e il mitra a spalla. Parlavano una lingua straniera e avevano un’aria truce e arrabbiata. Era tutto in gridare ordini gutturali: “… schnell … achtung … partigiani banditi  … dieci di voi per uno di noi ….” Erano alla ricerca dei fiancheggiatori dei ribelli che stavano nelle montagne li vicino. Ho saputo dopo che gli stranieri furono cacciati dagli stessi ribelli che vestivano in borghese ma si riconoscevano per il fazzoletto rosso che portavano al collo.

 

E poi un giorno; ricordo che era primavera inoltrata; le strade intorno alla piazza furono percorse da una folla festante che accompagnava un plotone di soldati; anche loro in grigioverde e anche loro armati; che biascicavano strani pezzi di gomma e lanciavano sassi marroni. I bambini in festa li raccattavano da terra e masticavano beati tutto quel ben di Dio. I liberatori sorridevano blaterando: “… hello boys … hello girls … come on …” tendendo le mani dai carri armati con la stella bianca. Dai discorsi della gente si capiva che era finita una brutta guerra e le aspettative erano molteplici. Si ragionava del re e della repubblica e di un paese da ricostruire. Il paese fu ricostruito più bello e splendente di prima. Le strade furono lastricate con una strana pasta nera che induriva quasi subito. Asfalto mi pare si chiamasse e la gente ci camminava sopra tutta contenta.

 

E poi ancora la piazza cominciò ad essere invasa tutti i giorni dalle automobili. C’è ne erano di piccole e di grandi; di rosse e di nere; di gialle e di verdi ma tutte vomitavano buon cibo. E poi ancora i figli dei costruttori decisero che era giunta l’ora di protestare contro i padri e inscenarono cortei e manifestazioni contro i governanti con lo slogan: “… la fantasia al potere …” Striscioni e bandiere per anni colorarono la piazza. E poi ho visto la piazza abbandonata dalla gente del luogo per rinchiudersi in casa davanti alla scatola che emette suoni, luci e colori. E poi ancora la piazza è tornata ad essere abitata da genti che vengono da altri paesi ed hanno la pelle meno pallida della vostra e un idioma a me sconosciuto. La piazza è ritornata a vivere e le mie fronde ombreggiano i loro appuntamenti.

 

E poi … .

 

E poi basta che mi preme raccontarvi un fatto sentito l’altro ieri. Alcuni giovani con carte e macchine fotografiche si presentano sotto i miei rami e si siedono sui massi dell’aiuola a discutere. La femmina inizia: “… ho letto le risposte ai quesiti e pare che gli alberi non siano troppo importanti. Secondo me si può pensare di levarli tutti dalle scatole …” Dai discorsi successivi capisco che si tratta di un gruppo che, come altri visti nei giorni passati, è chiamato a ridisegnare la piazza che mi sta intorno. Evidentemente ragionano delle possibilità progettuali e della griglia di idee entro le quali si può muovere la loro proposta.

 

Io cerco di parlargli e far sentire la mia voce.

 

Ma sono ormai vecchia e le miei flebili parole, sussurrate nel vento, si disperdono nel sottofondo di rumori della piazza che è ormai usata come una grande rotatoria per le auto che la hanno definitivamente occupata. E poi non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. La ragazza pare stia prendendo il sopravvento sui ragionamenti di quello pelato che sostiene che: “… forse, viste le caratteristiche del luogo … eccetera … si potrebbe pensare di non sradicare gli alberi ma integrarli nel progetto …”. Parole … parole … parole …; penso io; che lasciano il tempo che trovano. Ma improvvisamente quello magrolino con gli occhiali a fondo di bicchiere e il farfallino se ne esce con :”… ragazzi … zitti tutti … che mi sta venendo un’idea in diretta e ora provo a raccontarvela …” E attacca: “Le analisi le abbiamo fatte. Le somme le abbiamo tirate. Il disegno dello spazio è abbozzato. Adesso ci manca solo la mossa che faccia girare il progetto che provo a raccontare tutto d’un fiato così come mi viene. Le strade per prime: quelle esterne al recinto storico sono finite ad asfalto e servono per la circolazione delle macchine mentre quelle dentro l’ovale sono in pietra. La grande fontana circolare in pietra bianca è piazzata sugli incroci degli assi principali. Qui si orientano le auto e qui si è orientato il progetto. Le sue direttrici segnano e rendono evidenti gli elementi principali: il busto del Mazzini ri-collocato in sintonia con la piazzetta a cui da il nome; il grande porticato con la sosta degli autobus; le fondamenta della porta e delle mura storiche; la vasca con le sedute, la fontina  e l’abbeveratoio per i polli in bronzo sul bordo della piazza ; il doppio filare di tigli lungo la strada; il gruppo di alberi in metallo con la piazzetta davanti al Cassero. E poi la grande curva bianca su cui siedono le luci e le panche e la griglia di pietra che ordina la piazza. Ma adesso sentite la mossa. Eccola. E poi si potrebbe lasciare l’alberone che sta nel mezzo e trasformarlo in un segnale urbano. Ci si mette sotto una base per sedere e delle luci che illuminano sotto e intorno. Si potano i rami e lo si rimette a nuovo. Ecco il nuovo abitatore della piazza: la magnolia.”

 

E io; che mi chiamo Lia e di cognome faccio Magno: speriamo!

 

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