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Il cippo

Il cippo misurato, 2010


Il cippo | 2010 - 17

La 7ponti è una strada bellissima.

Un tempo era la + trafficata via che collegava Fiesole/Firenze con Arezzo. Alcuni storici la vendono come strada tracciata dagli Etruschi ma chissà se lo è. Comunque sia quando i Romani si pappano tutta l’Etruria per prima cosa la chiamano per nome e cognome: ”Cassia Vetus” per distinguerla dalla parallela “Cassia Adriana” che corre sulle opposte colline del Chianti, alla sinistra della valle dell’Arno. Era la strada più sicura per evitare il fondovalle insicuro e spesso impaludato. Al tempo delle scuole elementari le maestre  ci raccontavano che il grande condottiero Federico 2° ( … o forse era il 1°? … ndr) dalla Barbarossa ci passava regolarmente con i suoi eserciti. Questa è una diceria che non ho mai controllato e manco mi interessa farlo adesso. La via si snoda sotto i piedi del Pratomagno; intorno alla quota di trecento metri sul livello del mare; in riva destra del fiume che battezza la valle dove son nato: Valdarno superiore per distinguerlo dall’inferiore che si trova verso Pisa. La carrozzabile affetta, come un coltello dalla lama affilata, i campi di olivi e le vigne e i terrazzamenti e i paesi che attraversa. La 7ponti deriva il suo nome; probabilmente nel corso del Medioevo; dai numerosi ponti che attraversa. Anche se di sicuro non sono 7 ma molti di più. Alcuni sostengono; e io con loro; che ‘sta denominazione derivi dalle 7 arcate del ponte romanico disegnato come sfondo al volto della Monna Lisa.

La 7ponti l’ho percorsa tante, ma tante, volte.

Provo a contarle con grande approssimazione. Al tempo delle scuole superiori pigliavo una corriera che partiva da Reggello verso Arezzo. A me toccava in sorte di salirci sopra in un posto denominato “il Bruco”. Cinque anni per nove mesi per trenta giorni fanno 1350 raddoppiate per due, per via del ritorno a casa, e quindi 2700. Ci levo; ad occhio; le feste, le ricorrenze, le celebrazioni, le solennità, gli scioperi, le malattie e via e via scendo a 2000. E poi le altre volte che ci son passato. In motorino, in vespa, con l’automobile, con il furgone, in bicicletta e alla pedona e una volta anche con un piccolo deltaplano. Facciamo altre novecentonovantanove. Fanno 2999.

L’ultima; e fanno 3000; alcuni giorni fa.

In tutti questi viaggi mi son sempre domandato cosa fosse e cosa rappresentasse quel cippo che si trova a circa mezza strada tra San Giustino in Valdarno e Castiglion Fibocchi. E ieri l’ho chiesto al babbo. Da quando la mamma non è più tra noi ho l’abitudine di passare a trovarlo almeno un paio di volte al giorno. E ci facciamo delle gran chiacchierate sui tempi andati. Si ragiona di tutto. Soprattutto su di loro due e sulle rispettive famiglie. Mi serve tornare indietro nel tempo per cercare di ricostruire le storie dei nostri modesti congiunti.

Una storia che di sicuro nessuno scriverà sui libri ma che non voglio perdere.

La voglio tenere a mente per raccontarla ai miei figli e poi anche ai nipoti. E qualcuna di queste la voglio anche scrivere. Mi pare una specie di terapia di gruppo anche se siamo solo in due e non mi pare che ci sia lo psicologo e manco il lettino. Noi lo facciamo soprattutto la mattina presto, appena albeggia, su due sedie accanto alla finestra di camera sua. Il nostro modello sono i “racconti sul canto del fuoco” che usavano nelle nostre campagne prima che qualche genio inventasse la scatola delle immagini. Di solito io domando e lui racconta. Il babbo è un bravo raccontatore di storie e io, per parte mia, sono un discreto ascoltatore.

E ieri gli ho domandato se aveva notizie di ‘sto cippo.

E lui mi racconta la storia. La riporta come l’ha ascoltata dal prete di San Giustino quando lavorava, come manovale, alla costruzione; pochi anni dopo il passaggio del fronte; di una casa del paese. “Ascolta bene nini (… ho passato da poco i cinquanta e ancora mi chiama nini … ndr) … ascolta. Erano i primi giorni di luglio del quarantaquattro e il babbo della tua nonna materna era stato al mulino lungo il torrente Agna a macinare quel poco di grano che aveva raccolto quell’anno nel podere li vicino. Qualche giorno prima un gruppo di partigiani era sceso in paese per rifornirsi di roba da mangiare che stava depositata dentro un fondo. L’azione era stata rapida e veloce. La porta del magazzino era stata lasciata aperta perché anche il popolo potesse approfittarne alla bisogna. Sulla via del ritorno alla base in Pratomagno il gruppo incrociò, per caso, una pattuglia di tedeschi. Un paio di questi furono uccisi e per rappresaglia il comando tedesco del posto fece fucilare alcuni civili nei pressi della villa La Grotta. Si era in tempo di guerra e il sangue chiama sangue. Alcune notti dopo un camion cisterna pieno di benzina esplose lungo la via tra San Giustino e Castiglioni. Lo scoppio mandò al creatore altri quattro soldati. Pensando che l’azione fosse da attribuire ai partigiani ( … in realtà a piazzare la mina sulla strada fu una pattuglia di commandos alleati, paracadutati dietro le linee nemiche, impegnati in azioni di sabotaggio … ndr) la reazione fu ancora più dura. Un poco sul modello: uno di noi e dieci di voi; furono prelevati trentadue civili; tutti maschi. Tra questi c’era anche il prete del paese. E il nonno della tu’ mamma ebbe la sfortuna di incrociare il camion che li trasportava verso la morte. Ora nini prova a immaginare la scena. Il furgone si ferma sul ciglio della strada. Dalla cabina scende il tenente. Gira intorno al veicolo. L’azione si svolge al rallentatore. Il tedesco incrocia lo sguardo del carrettiere e poi gira la testa verso il gruppo dei morituri. Ha scelto. Fa scendere l’uomo di chiesa e ordina la salita dell’omino con il carretto. Il sacerdote non ci sta. Si dibatte e non vuole scendere. Si rende conto di mandare a morte un suo parrocchiano e offre la sua vita. Ma quel giorno in quel luogo non ci sono Santi né Eroi. Oramai l’ordine è partito. Due soldati fanno lo scambio. Un contadino per un dicitore di messa. L’autocarro riparte verso Arezzo. Saranno due o tre chilometri fuori del paese. Un ponte scavalca il borro Oreno. La strada fa un curvone a novanta gradi. Due viottoli si lanciano verso un bosco di querce. Lo svincolo consente la fermata del veicolo. Quello è il posto della carneficina. I trentadue scendono, sono costretti a mettersi in fila indiana e si avviano verso il bosco. Il corteo funebre si ferma in uno spiazzo tra gli alberi. Una trentina di italiani contro una decina di tedeschi armati. Nini … indovina un po’ chi ha vinto. Bastano un centinaio di pallottole per terminarli. Solo uno si salvò. Il Piero Sottani si finse morto sotto i corpi dei trentuno fucilati e portò a casa la pelle. Lui stesso mi confermò la storia pochi anni dopo. E solo dopo diversi giorni le donne del paese poterono dar sepoltura a quei corpi. Dopo la fine della guerra fu costruita la colonna con lo spiazzo intorno. Ecco la storia; che conosco; del Cippo e della morte del tuo bisnonno Gironi”.

E oggi; e fanno 3001; sono andato apposta a vedere il cippo.

Ho fatto le foto e anche il rilievo. Il rilevamento è stato eseguito senza metro. L’elemento misuratore è stato il mio corpo di cui conosco bene le misure per averle imparate al tempo degli studi. Mi son bastati passi, palmi, avambracci e poco altro. Il materiale è stato raccolto e sintetizzato in due fogli di carta formato A4. Il primo contiene un disegno a penna acquerellato. Una specie di veduta dalla strada costruita malamente da un disegnatore inesperto e legnoso con sotto un’immagine ( … volutamente … ndr) sfocata di una Madonna con bambino sciupata dalle intemperie e dall’incuria degli uomini. L’altro descrive i rapporti e le proporzioni del cippo e del suo intorno. Una pianta e una vista di fronte fatti a penna in bianco e nero con le ombre, le pietre, l’erba, i muri e il cippo.

La stele è a base quadrata circa cinquanta per cinquanta.

La base siede sopra a un rialzo di due scalini ed è alta un metro e poco +. I quattro lati portano altrettante lapidi di marmo Carrara con scritte incise in caratteri maiuscoli. Le voglio riportare par pari. Di fronte trovo scritto: “ Allineati dall’ira teutonica battente in ritirata sitibonda di rappresaglia il VI luglio MCMXLIV ai colpi di piombo omicida con i dolci nomi di Gesù e di Maria sulle labbra tutti ad un tempo perirono incolpevoli vittime lasciando nello strazio e nel lutto le desolate famiglie”. Sul lato sinistro: “Bacciarini Giuseppe, Bacci Umberto, Barbagli Geremia, Benucci Giuseppe, Biagiotti Adino, Caprilli Giovanni, Caprilli Giovacchino, Caprilli Remo, Corduri Jacopo, Fabbri Achille, Fiacchini Rinaldo, Gironi Antonio, Gori Giovanni, Landi Giuseppe, Landi Emilio”. Sul destro: “Lapini Gino, Lazzerini Enrico, Marchesi Domenico, Mariani Oreste, Michelini Giovanni, Pandolfi Giuseppe, Picchioni Fortunato, Pasqualini Gino, Pasqualini Ugo, Pernici Amaddio, Pratesi Emilio, Sottani Giovanni, Sottani Sabatino, Sottani Santi, Vannelli Serafino”. Sul dietro; sopra ad una croce incisa a subbia; un solo nome: “Ceccherini Camillo”.

Di questa gente ho recuperato gli anni che avevano.

Li riporto nell’ordine di lettura delle lapidi. In questo modo son solo numeri freddi e impersonali. Forse proprio la maniera giusta per i loro ricordo. A sinistra: 64, 44, 55, 68, 31, 45, 42, 17, 44, 17, 44, 66, 67, 75, 43. E poi: 48, 61, 72, 45, 46, 58, 55, 40, 64, 76, 52, 26, 35, 28, 72. Dell’ultimo; quello sopra alla croce incisa; al posto di un numero metto un (?). Se li metto in somma ottengo un numero senza fronzoli: 1500 anni di vita, trentun persone sparite in un attimo. Le quattro lapidi  fanno da base per una colonna a base circolare di trentatre centimetri di diametro. Il tronco è alto tre metri e trenta centimetri. In basso e in alto ci sono le prescritte cornici per snellire il pilastro.

Una piccola croce di ferro arrugginito se ne sta piazzata solitaria lassù in cima.

Il cippo sta al centro di una piazzolina quadrata di metri quadri venticinque circa. Lo spiazzo è contornato, per tre parti, da muri di pietrame assaliti dall’edera e dall’erbacce. Il luogo è rialzato, rispetto alla strada, di tre scalini in pietra scalpellata. Il pavimento, un tempo probabilmente acciottolato coi sassi del vicino fiume, è una bellissima distesa di erba di campo. Sul fondo dello slargo, circa al centro del muro, c’è un tabernacolo. Anche questo in pietra. Con due colonne + due mezze colonne e una trabeazione semicircolare che funge da copertura.

L’opera è veramente modesta.

Probabilmente eseguita da un artigiano del posto. Nella parte in basso c’è incisa una scritta su tre righe. I caratteri sono + ricercati di quelli usati per le quattro facce del cippo. Sono + aggraziati. Assomigliano vagamente, molto vagamente, al Bodoni. Il testo recita: “Regina dei martiri pregate per loro”. Sopra c’è una Madonna con bambino di autore sconosciuto. Le proporzioni sono circa 1 a 2: centimetri dodici e cinque per venticinque . L’alto rilievo è di una pietra sui toni del grigio. Secondo me all’inizio la figura fu dipinta di rosso cinabrese per farla assomigliare alla terracotta. Ma il tempo e l’incuria hanno lavorato sull’immagine. Una parte del colore se n’è andato e il rimanente è virato al rosso sangue. Adesso la figura è come maculata e pezzata. E l’effetto è pure elegante e armonioso. In una banale parola: bello. Ecco: questa è la descrizione del cippo e del suo intorno. Ho deciso. Da adesso in avanti terrò a mente i miei viaggi verso la città della giostra. Di sicuro conterò fino a novantanove.

Cascasse il mondo a 3100 mi rifermo a salutare il nonno della mamma.

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