Lettori fissi

25/06/20

Enrico la talpa



Enrico la talpa | 2006

C’era una volta una talpa che aveva una macchia bianca sul muso.

La talpa è tutta nera e ha quattro zampe. Ha il pelo molto corto e molto fitto. Il suo muso lungo e gli occhi sono talmente nascosti dal pelo che non le permettono di vedere niente. La talpa vive sotto terra nei campi e nei giardini di Volterra ma anche in Europa, Asia e America. I mucchi di terra che fa sono formati dalla terra che butta fuori con le sue zampette. La talpa si nutre di larve, vermi, moscerini e tante altre cose.

Il nostro eroe si chiama Enrico come l’amico del buon Alberto.

Ha fatto il minatore e l’ingegnere e ultimamente si è scoperto archeologo. E nei suoi innumerevoli giri sotto terra a scavar gallerie e pozzi ha tracciato la prima linea rossa di questo progetto.

Grazie Enrico Fiumi.


La talpa fa il suo mestiere: scava.
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18/06/20

Il raduno



Il raduno | 2019

Arrivarono alla spicciolata.

L’appuntamento era “verso il tramonto”, si … si … era proprio scritto così sull’invito. Doveva essere una festa a sorpresa e all’apparenza aveva funzionato datosi che il festeggiato non era ancora arrivato.  Viceversa gli ospiti c’erano proprio tutti. Con i costumi d’ordinanza; trucchi, parrucchi e tutto l’ambaradan del caso. Erano arrivati da tutte le regioni dello stivale; città, paesi e sperdute provincie ai margini della penisola.

Ognuno era giunto al luogo dell’evento con mezzi diversi.

Alcuni con il minibus di linea ed altri con l’auto blu del ministero. Certi, i più taccagni e organizzati, erano arrivati in treno e poi alla stazione avevano fittato un’ape scoperta, tipo quelle che scorrazzano per Ischia. In cinque arrivarono,  con la scusa delle soste per rifornimento del tre ruote, già brilli. Un bel gruppo scelse la strada più comoda, economica ed emozionante: la funivia del monte Faito.

Da 0 a 1100 metri in soli otto minuti: un portento.

Eccoli comunque tutti qui all’uscita della stazione. Il luogo è appena stato riformato dopo un attento intervento di riqualificazione. C’è una bella piazza, esclusivamente pedonale, pavimentata in calcestruzzo drenante con ricorsi geometrici in pietra locale; un grande portico in cemento armato faccia a vista gira a squadra su due lati e accompagna gli escursionisti verso il belvedere mozzafiato che affaccia sul golfo di Napoli e il Vesuvio. Da quassù  par quasi di potergli sfiorare il pennacchio. La parte adibita ai veicoli corre tangente al colonnato, senza mai interferire con altre attività, ed è dotata di parcheggi sufficienti alla bisogna. Lungo il lato del muro di pietra grezza che accompagna l’uscita dalla stazione fa bella mostra di se una lunga vasca in pietra con tanto di seduta , quattro fontanelle ed altrettanti mascheroni di bronzo. Sopra una targa in pietra è dichiarata la provenienza dell’acqua: “Sorgente della Lontra – a. d. 2020”  che si trova pochi metri sopra e risulta ottimamente bevibile. Un piccolo palco di legno, protetto da un bianco pergolato di glicine, accostato all’edificio ospita gli strumenti acustici di una big band. Ma i musici sono stranamente assenti. Di normale sotto la tettoia, che ha un curioso disegno a scatola rovesciata con pilastri centrali stretti e slanciati, ci sono una serie di attività commerciali e artigianali che fanno riferimento al luogo e sono ospitate in banchi di legno a forma di cassapanche con le ruote. Di normale …. ma stasera no.

Stasera è festa e i cassoni stanno a riposo attaccati al soffitto.

Intanto il sole è calato completamente e il buio l’ha vinta sulla luce. Gli invitati transitano sotto ai contenitori conversando amabilmente. I volumi sospesi, mescolati con l’illuminazione del sotto loggia, creano fantastiche ombre che evocano storie e racconti di montagna. La piazza scoperta, certo per scelta dell’organizzazione, è completamente al buio. È serata di luna scura e le stelle cadenti disegnano scie luminose scendendo verso il mare. L’effetto è spettacolare.

Ciò nonostante alcuni ospiti dimostrano chiari segni d’impazienza.

Forse dovuti al fatto che l’ospite d’onore non è ancora arrivato? O magari perché non è ancora stato servito neanche uno spritz? Forse che sia il caso di approfittarne per conoscere qualcuno degli invitati? Votiamo per il sì? Bene. Mi vesto da agente segreto ed indosso la telecamera, in realtà l’ultima diavoleria elettronica che consiste in una spilla con la scritta “smile”, sul risvolto della giacca. Il puntino sopra la “i” nasconde la microcamera.

Aziono il telecomando nella tasca sinistra e …. ciak. Siamo “online”.

Mi muovo con circospezione e intanto l’aggeggio fa il suo mestiere e cattura gli ospiti: Colombina vivace e maliziosa servetta, Beppe Nappa goloso e beffardo, Stenterello pigro e chiacchierone, Rugantino bullo, arrogante e pavido, Brighella attaccabrighe, insolente e dispettoso, Spaventa soldato di ventura ambizioso e sognatore, Tartaglia dottore, goffo, corpulento e balbuziente. Balanzone saccente e cavilloso, Pantalone avaro e lussurioso, Cassandro il rompiscatole degli innamorati, Arlecchino servo astuto e ignorante, Burlamacco forse il più giovane inventore di burle, Gianduja conservatore e ottimista. Tutti seguiti da mogli, fidanzate, amanti, pargoli e animali domestici da gabbia e da guinzaglio.

Manca solo il festeggiato che proprio stasera sorpassa i quattrocento.

Lo sconcerto degli astanti è evidente; son venuti fin quassù per cantare “Happy birthday” all’amico e si trovano a passeggiare al buio con l’unico divertimento di osservar la scia di corpi celesti cadenti. Non c’è traccia di vassoi, cibarie o beveraggi. Ci son solo degli ecologici bicchieri in vetro  da riempire con l’acqua delle fontanelle. Lo stomaco brontola e son ormai le ventidue. Lo certificano i rintocchi delle campane del vicino Santuario di San Michele arcangelo.

Al termine dell’ultimo “dong” il luogo si anima all’improvviso.

Si accendono le luci della piazza, s’illuminano i fianchi del porticato e sulla facciata della stazione compare una scena; un ciclista arranca lungo le rampe della salita. Ha un cappello bianco come anche la camicia e i calzoni larghi. Bianche anche le babbucce con le punte. Solo la maschera è di colore nero con il caratteristico gran naso adunco. Con grande disappunto degli astanti non ha  la pancia d’ordinanza. Anzi; sotto il camicione grondante sudore s’indovina un ventre piatto e s’immagina una tartaruga da frequentatore di palestra. Si muove come un ragazzo di venti piuttosto che un quattro centenario. Ha la pedalata agile di Coppi e la potenza di  Bartali.

Sospetto che la consorte l’abbia messo in riga

Scommetto una cifra che, dopo i bagordi dell’ultimo gran ballo mascherato, l’ha costretto a dieta ferrea oltre all’obbligata frequentazione di palestre e allenatori. D’altra parte è in pensione da alcune centinaia d’anni e deve pur passare il tempo tra un martedì grasso e l’altro. Come sia adesso lo vedo tonico e scattante per gli ultimi tornanti del “Monte delle faggete”.

L’ultima curva, poi la dritta ed è in piazza.

Il traguardo è salutato dalla big band, tutta acustica, che attacca “Summertime”. Alla voce roca del grande Luigi si contrappone quella magica di Ella. E tanto basta.

È arrivato Pulcinella.


Una festa mascherata notturna sulla vetta di un monte. E all’improvviso arriva un ciclista.
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12/06/20

Olé



Olé! | 2020

La donnina dai capelli ramati raccolti a crocchia corre veloce.

Il suono degli zoccoli di legno rimbomba sul selciato sconnesso nel silenzio del borgo. L’ultimo rintocco della campana saluta l’alba marzolina. Son le 6 del 25 e sarebbe, ma lei non se ne cura, anche il suo onomastico. Ha il cervello e i pensieri da un’altra parte: al marito sul Carso e a Narciso che, appena di tre mesi, è volato via l’anno passato.

Ma adesso non ha tempo.

Neanche per i ricordi. Deve ruzzolare per il viottolo degli Olivacci e poi di corsa lungo l’Ascione fino alle Gangherete. Scendere l’erta fino a Terranuova,  scivolare lungo il Ciuffenna e quindi traghettare l’Arno. Per San Giovanni ci sono 8 km e di regola ci si impiega circa 100 minuti. Quella mattina ne bastarono 80.

Anche col bambino di 18 mesi in braccio.

Alvaro sudava di freddo accompagnato da febbre alta, tosse e difficoltà di respirazione. Il giorno prima giocava con gli amici e parlava con la mamma. La sera aveva manifestato i primi cenni con perdite di sangue al naso. Nunzia era sola in casa e la paura della morte ebbe la meglio sul resto. Si vestì alla bell’e meglio e scheggiò verso valle.

Era già successo l’anno prima.

Almeno aveva avuto il conforto di Silvio in licenza dal fronte anche se, davanti al corpicino ancora caldo, il medico, con un tatto encomiabile, aveva sentenziato: “È cara signora … troppo tardi … se magari arrivava prima!”. Stavolta non sarebbe successo: “Questa volta gioco d’anticipo”.

Sgranò il rosario e si appellò a tutti i santi.

Ma non bastò. Anche il secondo se n’andò causa Influenza spagnola. Mio padre perse due fratelli che non ha mai conosciuto e di cui si son persi anche i corpi.

Stamani pensando a loro, alla Spagna e alla bellezza del mondo intero ho rubato due battute:
L) Ginoooo, domani vò in Spagna!
G) Olé!


In viaggio, gravata da un fagottino malato, a piedi la mattina presto.
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05/06/20

Grifondoro



Grifondoro | 2005

L’appuntamento è, come tutti gli anni, per la mezzanotte del trentuno di ottobre. I ragazzini si avviano per le strade del centro tutti truccati da mostri, streghe e mortiammazzati.

E noi si approfitta della festa dei morti per tornar tra i vivi.

I nostri trucchi son reali. Molto reali. Rasentano la realtà anzi sono realtà. Questa notte siamo fatti di carne e ossa, muscoli e sangue. Siamo. Quest’anno ci si trova in piazza. Quella della fontana tonda. Dove la scala del palazzo entra in piazza. Quella dove la chiesa mostra il fianco al comune.

La piazza principale; la più bella.
Ci siamo tutti. Tutte le persone che hanno fatto la città: muratori e scalpellini e contadini e vescovi e artisti e panettieri e fabbri e suore e basta che altrimenti si fa un elenco lungo come il mondo. La festa inizia come sempre in sordina. Ci si trova e si parla del più e del meno; della famiglia e dei figlioli; del tempo e del passatempo; del calcio e delle motogipi. Poi viene servito il rosso delle colline insieme al pane condito con l’olio verde.

Gli animi si scaldano e i musici invitano alle danze.

Quest’anno si balla con l’orchestra del grande Duca che accompagna la voce unica di Ella. Il buon Dio ci ha fatto un regalo veramente grande. Musica calda per questa notte fredda di mezz’autunno.

A tutta randa da ora fino all’alba.

Ci siamo tutti. Da Braccio Fortebraccio signore e despota a Nicola e Giovanni Pisano sommi scultori; dal Perugino grande affrescatore al Luca Signorelli eccelso dipintore. Tutti quanti alla danza intenti. E ci sono anche io vostro raccontatore che per decenza non svelerò chi sia.

E poi ci sono in piazza altre presenze.

Piccoli oggetti. Oggetti in ferro pieno battuto con inserti di travertino e legno. Presenze discrete che non disturbano la solennità del luogo. Oggetti minimi. Minimali direste voi oggi. Manufatti realizzati con amore e rispetto della storia ma che non rinunciano a gridare al loro contemporaneità. Semplici ed efficaci arredi per questo museo a cielo aperto popolato di sassi e pietre; di scanalature e bassorilievi; di sedute e scale; di sculture e animali fantastici.

Per questo salotto cittadino.

E poi in tutti è incisa a fuoco la sagoma dorata di un animale mitologico con il corpo di leone e la testa e le ali d’aquila.

Il Grifone è contento.


La vigilia di Ognissanti  la piazza si anima: le sculture scendono a far festa.
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