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Casa torre, 1993 |
Doglie crescine | 2011
“Stai tranquillo nini … e che vuoi che sia;
saran doglie crescine”.
Con questa frase
mi tranquillizza nonna Annunziata quando mi presento in camera sua alle dieci e
mezzo di sera del tre maggio millenovecentosessantotto. Mi fanno male di brutto
le gambe. Non le ossa o manco le articolazioni ma le nervature dei muscoli. Mi
sento tirare da dentro come se il corpo fosse appeso al soffitto e ad ogni
piede ci fosse un cocomero di quelli grossi e pesanti. Il dolore si concentra
soprattutto sul davanti delle cosce, sui polpacci e dietro le ginocchia. Le
parti colpite sono anche appena un poco gonfie e leggermente arrossate.
E io piango a
fontana.
La mamma e il
babbo sono a cena fuori ed io ho giocato fin a poco fa in camera con Gágá e Bronzico (fratelli di sangue … ndr) a “pirulini”. Questo gioco è un’invenzione tutta nostra.
Almeno così ci
piace pensare.
Si piglia una
camera d’aria da bici. Di quelle nere di caucciù. Talmente usata e riparata che ormai non ne
pole più. Si affetta il tubolare come se fosse un salame spessore centimetri
tre o giù di li. Se ne legano tre in successione. Ecco; l’arma è pronta. Adesso
bisogna pensare ai proiettili. Per le munizioni bastano alcune pagine di “Famiglia cristiana” della settimana
passata e un poco di saliva. Ad ogni soldato toccano tre pagine da fare a
striscioline di larghezza a piacere. E ognuno adopra “off corse” il suo sputo. Ogni striscia di carta è avvolta tante
volte su se stessa e bagnata con l’umore salivare per dare consistenza alla pallottola.
La cartuccia è quasi pronta. Adesso basta piegarla nel mezzo e hai il “pirulino”. Di solito ci diamo dieci
minuti di tempo per preparali.
Dopo di che si
comincia il gioco.
La nostra stanza
è abbastanza grande da accogliere un letto in ogni angolo e avanzar posto nel
mezzo. Il pavimento è di spezzoni di marmo nero montati a opera incerta e
lucidati con la levigatrice da cantiere.
Bellissimo.
Si spenge il
lampadario a soffitto e si accendono le tre lampadine del comodino. Ci si
spoglia della canottiera e la si piazza sopra alla luce in modo da aver il
locale in penombra. E nella semioscurità ci si prepara alla battaglia. C’è chi
si ripara dietro al comodino, chi si prepara una trincea con le lenzuola e il
cuscino, chi si caccia supino sotto il letto e via e via.
“Pronti … attenti … via”.
Il pollice e
l’indice della mano destra sono divaricati a formare una specie di fionda.
L’elastico fatto con i tre pezzi di tubolare è teso tra le due dita. Si carica
l’arma col pezzetto di carta e bang.
Rumori nel buio: aaargh, bum, fshh, grrr,
hahaha, hiii, plook, sbong, scrash, stump, thwipp, woosh, zash e via con la
rumba. La debole luce non aiuta di certo la mira dei contendenti che di rado si
colpiscono. Ma quando succede son dolori.
E stasera è
toccato a me.
E poi per di più
mi son venuti anche questi diavoli di dolori muscolari che non riesco a
sopportare. Meno male che la nonna mi conosce bene. Mi fa accomodare nel mezzo
del lettone e mi massaggia le gambe per tutto il tempo che mi ci vuole a
calmarmi.
Molti anni più
tardi ho scoperto che i sintomi patiti al tempo son definiti dalla scienza
medica come semplici dolori della crescita. Non mi ricordo che questa possa
essere una roba preoccupante. Mi pare che ne soffrano circa un terzo dei
ragazzi dagli otto ai dodici. Alcuni di questi; una percentuale veramente
risibile; possono aver dei dolori particolarmente acuti.
Io appartengo a
questi.
Ho scoperto
anche che lo stesso giorno delle mie prime doglie quattrocento studenti di
Parigi occupavano il cortile della Sorbonne e davano il via al “Maggio francese”.
E sempre il tre
di questo mese mi sono ritornati gli stessi sintomi di allora.
Anche l’ora è la
stessa. Non alle gambe però ma al braccio sinistro. Come se una qualche forza
mi stirasse i muscoli. Il dolorino mi arriva fino al petto dove mi par di
avvertire il peso di un sasso bello grosso. Al momento delle prime fitte son
disteso sul divano. Sopporto stoicamente in silenzio per una mezzora e poi
comunico alla famiglia che mi fa un pochino male il braccio e la spalla
sinistra.
“Che dite? Saran doglie crescine”?
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