Il troncio | 2021
Ieri son tornato
presto.
Alla fine del turno
delle due son salito sveltamente in auto infilando, in apposita fessura
appositamente progettata, la chiave dell’accensione. Mettere in moto e partire
è stato un unico fluido movimento. Ho sorriso sotto i baffetti, che non ho più,
ho regolato il retrovisore e mi son detto “… perdindirindina così conciato
somiglio, poco ma poco, al Pupo cantante del Gelato al limone”. E in
effetti in gioventù alla pizzeria vicino al ponte di Bandella a volte trovavo
delle ragazzine che ci cascavano. Una addirittura mi bollò come “… secondo
me te tu sei il fratello minore oppure un cugino di buon grado”. Il mio “Si
perché?” mi fece guadagnar cento punti e la fidanzatina dell’estate.
La rammento
ancora con struggente affetto.
Il breve tragitto
basta e avanza a rivangar i ricordi di quella stagione. Quindici chilometri per
quattordici minuti. Non male considerando l’attraversamento di due cittadine di
fondo valle a quell’ora densamente trafficate. Parcheggio nel piazzale
ombreggiato dal filare di gelsi e mi cambio. Svesto la tuta blu da
metalmeccanico e mi camuffo da camminatore pomeridiano. Quest’anno l’inizio
della primavera è stato salutato da una splendida settimana con temperature
molto al di sopra della media. Quindi per me, che conosco solo le due stagioni,
comincia l’estate. Ciao alle cose pesanti e benvenuto al cotone: pantaloncini e
maglietta uso mare a strisce bianco e verde, cappello da pescatore e occhiali
anche, borraccia termica piena, crema protezione cinquanta e scarpini aperti
sul fianco.
Per l’aerazione del
piede.
Come le scarpe
di Geox ma con la miglioria del taglio laterale che, devo dire e non perché è
farina del mio sacco, funziona bene assai. Comunque sia son pronto. Chiudo
portiera e il resto e ripongo la chiave nel piccolo zaino che sistemo sulle
spalle. Intanto arriva Umbro il cane del babbo. Abitiamo vicino anzi siamo
confinanti. Lo curo e accudisco quasi tutti i giorni e al genitore, vedovo da
diversi anni, tiene compagnia e sicurezza. Soprattutto durante la notte. Quindi
il meticcio di tre anni, incrocio tra una femmina di Golden retriever e un
Pastore tedesco, è un poco anche mio. Oggi andiamo in esplorazione.
Verso il
Valcello ed oltre.
Per Umbro è la
prima uscita al guinzaglio e vorrei fare un percorso facile. D’altra parte
avrei anche piacere di camminare lungo uno dei sentieri che portano alle case
contadine che, quasi come una corona regale, circondano il paese. Ricordo che
la primavera barra estate del duemilauno mi ci son baloccato tutti i sabati
insieme alle “giovani marmotte”: due figli e due loro cugini in età
preadolescenziale. Da qualche parte ho delle foto di gruppo con cappelli di
penne di tacchino, facce dipinte e bastoni imbracciati come armi per scacciar
serpenti e predatori. Vent’anni meno.
Olè.
Come sia
arriviamo alla fine del discesone in vicinanza all’Ascione. Poco prima
dell’incrocio con la Provinciale ci son due case contadine e quella che un
tempo è stata la cantina della fattoria. Di fronte dall’altra parte della
strada un Gelso solido e solitario aspetta il vecchio lavoratore della terra
che sta finendo i suoi bisogni corporali riposto dietro il rovo di more. La
scena pare troppo bella. Freno il cane e mi siedo sul greppo accanto al
panchetto autocostruito con tronchetti e listelli. La seduta è tutta
stortignaccola e per certo non passerebbe l’esame di “Design uno” in una
qualunque accademia o corso universitario. Tuttavia ha un suo fascino
intrinseco e poi pare costruita tutta solo per incastri senza chiodi o viti o
colla o altre diavolerie tecnologiche contemporanee e non. Solo sega, trapano a
mano, scalpello e martello. E una buona dose di manualità imparata durante lo
scorrere del tempo. Lo domando al costruttore che nel frattempo si è seduto
evidentemente soddisfatto dell’appena fatto. “Certo che l’ho fatto io –
afferma il falegname- … insieme a tutti quanti i mobili che ho in casa –
indica la piccola capanna che prima non avevo neanche notato – e anche
questo”. Mentre in un baleno tira fuori uno stuzzicadenti dalla tasca dei
calzoni a coste tenuti su da una cintura che ha visto tempi migliori.
Lo stecchino è
perfetto e quindi domando dove è stato comprato.
Lui ribatte che
l’ha fatto lui. Anzi durante la bella stagione si mette sotto il Moro e ne
produce due e anche tre al giorno. “Il materiale – mi spiega- viene da
quei tronchetti laggiù – indicando col medio il mucchio di legna
probabilmente proveniente dall’abbattimento di un boschetto – … saranno una
cinquantina di quintali o anche più. Prevedo di potermici baloccare fino a
Settembre”.
L’uomo si
accomoda meglio sul panchetto pronto all’opera.
I tronchi son
tagliati tutti della stessa misura di un metro in lunghezza. Davanti alla
seduta c’è un doppio cavalletto che pare costruito; certo dall’omino; per
accoglierli. Anzi forse lo è. Distesi
sul pianetto a lato dell’uomo, incorniciati su una pelle di daino certo preda
del cacciatore, ci sono tutta una serie di affilatissimi taglienti; dal piccolo
alla mannaia.
E via.
Subito con
l’ascia per sbozzare. Poi la mannaia e vari modelli di roncola per affinare il
lavoro. L’artista procede veloce mentre
le prime gocce di sudore finiscono in terra a far compagnia ai trucioli della
lavorazione. Adesso è la volta di lame più raffinate quasi che fossero attrezzi
per scolpire; pialletto, scalpello e martello, sgorbia e simili; e il premio
finale fosse un David di campagna. Il vecchio artigiano prosegue con buona lena
senza sosta per tutto il pomeriggio. Come spinto da un sacro furore creativo si
mette in stand by solo un paio di volte per tracannare lunghe sorsate da
un fiasco che; a giudicare dall’odore; contiene grappa abusiva distillata in
casa.
Nel frattempo
cerco di riportare a galla una scena simile vista tanti anni fa nella TV in
b/n.
Mi sto
scervellando da un paio d’ore mentre Umbro; prima grato della sosta; mostra
chiari segni di insofferenza e abbaia ad ogni veicolo che transita vicino. Ho
il cervello in fiamme per lo sforzo e sudo anche. Poi d’improvviso eccola.
L’immagine intendo. Anzi meglio non un’immagine ma il file di un video o meglio
di quella che un tempo si conosceva come scenetta: sketch all’inglese:
il varietà del sabato verso la fine dei sessanta. Vianello in veste di
giornalista scopritore di talenti e Tognazzi vestito da scultore montanaro.
Accendo e ri-vedo.
Se interessa cercate in rete: “Tognazzi Vianello il
tronco”, 5’07. Entusiasmante.
Intanto il mio
intagliatore preferito è in dirittura d’arrivo. Il tronchetto, diametro quaranta
di alcune ore fa, è diventato delle dimensioni di un piccolo ramo quasi un
tralcio di vite o se vi garba di ulivo. In terra il mucchio di trucioli
aggredisce le articolazioni dello scalpellino, fin sopra le caviglie e oltre,
che comunque continua imperterrito l’opera di fino che si è promesso di portare
a termine prima del tramonto. Ancora pochi intagli e lo stuzzicadenti è pronto
all’uso. Fatto.
Come la moglie
di Lot resto di sale.
L’oggetto del
dopopranzo, nettatore dentario, spazzino di filini e calletti è usabile alla
bisogna. In difetto delle tre regole fondamentali di igiene dentale domestica:
lavare i denti dopo ogni pasto, lavarseli bene a fondo sotto e sopra e interno,
usare strumenti interdentali specifici; il manufatto è usato giornalmente,
anche se impropriamente, da moltitudini di mangia spaghetti e divora panini. Il
maestro lo gira e lo rimira. Ne studia la perfezione e lo traguarda alla luce
del tramonto. Soddisfatto della scommessa vinta incassa i tre pezzi da
cinquanta che mi ha appena estorto con l’inganno di un corpicino esile e
malridotto.
Io “Caro signore avrei un ultima
curiosità; posso?”
Lui “Certo
fa il nostro eroe. Spari pure a raffica che oramai ho fatti il guadagno della
settimana e posso soddisfare dubbi e domande”.
Io “Ho visto che riesce a intagliare un solo
stecchino da un grande tronco in poco tempo. Capisco, è un lavoro delicato. Ma
che cos’hanno di pregio questi stuzzicadenti?
Lui “Quando
son fatti bene anche se fatti a mano sembrano uguali ai fatti a
macchina.”
Io “La differenza?”
Lui “Il mio, anima del tronco, può servire anche
per sei persone e con buona stagionatura anche per dodici”.
Io “Artigianato
familiare, come nelle belle tradizioni dell’Italia lavoratrice. E vende molti
stuzzicadenti?”
Lui “Nessuno. Costano troppo per
l’italiano che è diventato povero”.
Io “Quindi?”
Lui “Aspetto i gonzi come te e propongo
scommesse”