Lettori fissi

25/02/21

Il troncio

 


Il troncio | 2021

 

Ieri son tornato presto.

 

Alla fine del turno delle due son salito sveltamente in auto infilando, in apposita fessura appositamente progettata, la chiave dell’accensione. Mettere in moto e partire è stato un unico fluido movimento. Ho sorriso sotto i baffetti, che non ho più, ho regolato il retrovisore e mi son detto “… perdindirindina così conciato somiglio, poco ma poco, al Pupo cantante del Gelato al limone”. E in effetti in gioventù alla pizzeria vicino al ponte di Bandella a volte trovavo delle ragazzine che ci cascavano. Una addirittura mi bollò come “… secondo me te tu sei il fratello minore oppure un cugino di buon grado”. Il mio “Si perché?” mi fece guadagnar cento punti e la fidanzatina dell’estate.

 

La rammento ancora con struggente affetto.

 

Il breve tragitto basta e avanza a rivangar i ricordi di quella stagione. Quindici chilometri per quattordici minuti. Non male considerando l’attraversamento di due cittadine di fondo valle a quell’ora densamente trafficate. Parcheggio nel piazzale ombreggiato dal filare di gelsi e mi cambio. Svesto la tuta blu da metalmeccanico e mi camuffo da camminatore pomeridiano. Quest’anno l’inizio della primavera è stato salutato da una splendida settimana con temperature molto al di sopra della media. Quindi per me, che conosco solo le due stagioni, comincia l’estate. Ciao alle cose pesanti e benvenuto al cotone: pantaloncini e maglietta uso mare a strisce bianco e verde, cappello da pescatore e occhiali anche, borraccia termica piena, crema protezione cinquanta e scarpini aperti sul fianco.

 

Per l’aerazione del piede.

 

Come le scarpe di Geox ma con la miglioria del taglio laterale che, devo dire e non perché è farina del mio sacco, funziona bene assai. Comunque sia son pronto. Chiudo portiera e il resto e ripongo la chiave nel piccolo zaino che sistemo sulle spalle. Intanto arriva Umbro il cane del babbo. Abitiamo vicino anzi siamo confinanti. Lo curo e accudisco quasi tutti i giorni e al genitore, vedovo da diversi anni, tiene compagnia e sicurezza. Soprattutto durante la notte. Quindi il meticcio di tre anni, incrocio tra una femmina di Golden retriever e un Pastore tedesco, è un poco anche mio. Oggi andiamo in esplorazione.

 

Verso il Valcello ed oltre.

 

Per Umbro è la prima uscita al guinzaglio e vorrei fare un percorso facile. D’altra parte avrei anche piacere di camminare lungo uno dei sentieri che portano alle case contadine che, quasi come una corona regale, circondano il paese. Ricordo che la primavera barra estate del duemilauno mi ci son baloccato tutti i sabati insieme alle “giovani marmotte”: due figli e due loro cugini in età preadolescenziale. Da qualche parte ho delle foto di gruppo con cappelli di penne di tacchino, facce dipinte e bastoni imbracciati come armi per scacciar serpenti e predatori. Vent’anni meno.

 

Olè.

 

Come sia arriviamo alla fine del discesone in vicinanza all’Ascione. Poco prima dell’incrocio con la Provinciale ci son due case contadine e quella che un tempo è stata la cantina della fattoria. Di fronte dall’altra parte della strada un Gelso solido e solitario aspetta il vecchio lavoratore della terra che sta finendo i suoi bisogni corporali riposto dietro il rovo di more. La scena pare troppo bella. Freno il cane e mi siedo sul greppo accanto al panchetto autocostruito con tronchetti e listelli. La seduta è tutta stortignaccola e per certo non passerebbe l’esame di “Design uno” in una qualunque accademia o corso universitario. Tuttavia ha un suo fascino intrinseco e poi pare costruita tutta solo per incastri senza chiodi o viti o colla o altre diavolerie tecnologiche contemporanee e non. Solo sega, trapano a mano, scalpello e martello. E una buona dose di manualità imparata durante lo scorrere del tempo. Lo domando al costruttore che nel frattempo si è seduto evidentemente soddisfatto dell’appena fatto. “Certo che l’ho fatto io – afferma il falegname- … insieme a tutti quanti i mobili che ho in casa – indica la piccola capanna che prima non avevo neanche notato – e anche questo”. Mentre in un baleno tira fuori uno stuzzicadenti dalla tasca dei calzoni a coste tenuti su da una cintura che ha visto tempi migliori.

 

Lo stecchino è perfetto e quindi domando dove è stato comprato.

 

Lui ribatte che l’ha fatto lui. Anzi durante la bella stagione si mette sotto il Moro e ne produce due e anche tre al giorno. “Il materiale – mi spiega- viene da quei tronchetti laggiù – indicando col medio il mucchio di legna probabilmente proveniente dall’abbattimento di un boschetto – … saranno una cinquantina di quintali o anche più. Prevedo di potermici baloccare fino a Settembre”.

 

L’uomo si accomoda meglio sul panchetto pronto all’opera.

 

I tronchi son tagliati tutti della stessa misura di un metro in lunghezza. Davanti alla seduta c’è un doppio cavalletto che pare costruito; certo dall’omino; per accoglierli. Anzi forse lo è.  Distesi sul pianetto a lato dell’uomo, incorniciati su una pelle di daino certo preda del cacciatore, ci sono tutta una serie di affilatissimi taglienti; dal piccolo alla mannaia.

 

E via.  

 

Subito con l’ascia per sbozzare. Poi la mannaia e vari modelli di roncola per affinare il lavoro. L’artista   procede veloce mentre le prime gocce di sudore finiscono in terra a far compagnia ai trucioli della lavorazione. Adesso è la volta di lame più raffinate quasi che fossero attrezzi per scolpire; pialletto, scalpello e martello, sgorbia e simili; e il premio finale fosse un David di campagna. Il vecchio artigiano prosegue con buona lena senza sosta per tutto il pomeriggio. Come spinto da un sacro furore creativo si mette in stand by solo un paio di volte per tracannare lunghe sorsate da un fiasco che; a giudicare dall’odore; contiene grappa abusiva distillata in casa.

 

Nel frattempo cerco di riportare a galla una scena simile vista tanti anni fa nella TV in b/n.

 

Mi sto scervellando da un paio d’ore mentre Umbro; prima grato della sosta; mostra chiari segni di insofferenza e abbaia ad ogni veicolo che transita vicino. Ho il cervello in fiamme per lo sforzo e sudo anche. Poi d’improvviso eccola. L’immagine intendo. Anzi meglio non un’immagine ma il file di un video o meglio di quella che un tempo si conosceva come scenetta: sketch all’inglese: il varietà del sabato verso la fine dei sessanta. Vianello in veste di giornalista scopritore di talenti e Tognazzi vestito da scultore montanaro. Accendo e ri-vedo.

 

Se interessa cercate in rete: “Tognazzi Vianello il tronco”, 5’07. Entusiasmante.

 

Intanto il mio intagliatore preferito è in dirittura d’arrivo. Il tronchetto, diametro quaranta di alcune ore fa, è diventato delle dimensioni di un piccolo ramo quasi un tralcio di vite o se vi garba di ulivo. In terra il mucchio di trucioli aggredisce le articolazioni dello scalpellino, fin sopra le caviglie e oltre, che comunque continua imperterrito l’opera di fino che si è promesso di portare a termine prima del tramonto. Ancora pochi intagli e lo stuzzicadenti è pronto all’uso. Fatto.

 

Come la moglie di Lot resto di sale.

 

L’oggetto del dopopranzo, nettatore dentario, spazzino di filini e calletti è usabile alla bisogna. In difetto delle tre regole fondamentali di igiene dentale domestica: lavare i denti dopo ogni pasto, lavarseli bene a fondo sotto e sopra e interno, usare strumenti interdentali specifici; il manufatto è usato giornalmente, anche se impropriamente, da moltitudini di mangia spaghetti e divora panini. Il maestro lo gira e lo rimira. Ne studia la perfezione e lo traguarda alla luce del tramonto. Soddisfatto della scommessa vinta incassa i tre pezzi da cinquanta che mi ha appena estorto con l’inganno di un corpicino esile e malridotto.

 

Io            “Caro signore avrei un ultima curiosità; posso?”

Lui          “Certo fa il nostro eroe. Spari pure a raffica che oramai ho fatti il guadagno della settimana e posso soddisfare dubbi e domande”.

Io            “Ho visto che riesce a intagliare un solo stecchino da un grande tronco in poco tempo. Capisco, è un lavoro delicato. Ma che cos’hanno di pregio questi stuzzicadenti?

Lui          “Quando son fatti bene anche se fatti a mano sembrano uguali ai fatti a macchina.”

Io            “La differenza?”

Lui          “Il mio, anima del tronco, può servire anche per sei persone e con buona stagionatura anche per dodici”.

Io            “Artigianato familiare, come nelle belle tradizioni dell’Italia lavoratrice. E vende molti stuzzicadenti?”

Lui          “Nessuno. Costano troppo per l’italiano che è diventato povero”.

Io            “Quindi?”

 

Lui         “Aspetto i gonzi come te e propongo scommesse”

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