Lettori fissi

04/03/21

Divo-c

 


Divo-c | 2021

 

Le case ci abitano.

 

Le stanze pure.

Non si adattano alle nostre esigenze ma piuttosto è vero l'inverso.

Questa è la storia di una di queste.

 

Il locale nasce con la casa, poco meno di trent'anni fa, dall'unione di due dei quattro moduli che generano la planimetria dell'edificio. Quattordici e spiccioli per due è la superficie. Al centro del lato lungo esterno c'è un camino a sporgere in fuori. La geometria racconta di un rettangolo stretto e lungo con una finestra, due porte e tre porte finestre per uscire in giardino. 

 

Neutrale a quello che succede intorno.

 

Con un parallelo politico si potrebbe definire aderente al grande centro anche se nessuno sa mai di cosa si tratta. Comunque sia il locale ha generato molteplici usi e funzioni. É stato stanza di giochi per i figli, luogo per alcuni ritrovi conviviali, cene a sedere o grigliate in piedi e in alcune occasioni si è prestata come base logistica di appoggio per grandi feste campestri. Poi quando i ragazzi son stati motorizzati è diventato un grande ripostiglio per gli avanzi della casa: giochi e mobili, vestiti e scarpe, scatole e scatoloni e quanto altro. All’inizio tutto organizzato secondo il celeberrimo aforisma declinato dal buon B. Franklin: “ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa”. I vecchi mobili furono sistemati a ripostiglio di oggetti e si costruì ex novo un grande scaffale a tutta parete per ordinare vecchi libri e il resto. Poi col passar del tempo l’ordine ha migrato in altri luoghi e il sistema alla rinfusa ha stravinto alla grande.

 

Furono spenti i radiatori e il locale diventò a tutti gli effetti un magazzino,

 

Tanto che ad un certo momento, considerata la presenza al piano di un bagno attrezzato e l’accesso dall’esterno, fu ipotizzata la locazione come monolocale. Ma questo la stanza lo rifiutò appena lo venne a sapere da certe frasi bisbigliate in fase di sopraluogo dei possibili inquilini. E dire che mi ero raccomandato: “… Badate bene di non far capire le vostre intenzioni … fate finta di essere nostri amici e di chiederci in prestito il locale per la festa dei cent’anni di vostra nonna … ve lo lasciamo a buonissimo prezzo … con o senza contratto … ma per piacere … siate volpi”.

 

Ma niente.

 

L’ambiente conosceva i suoi polli e agì di conseguenza. Il giorno dopo la visita la prima avvisaglia: la fossa biologica, meglio il suo contenuto, se n’uscì a spasso per il giardino arrivando a sfiorare la porta. Pochi giorni dopo, lo rammento bene per via che era il venticinque dell’ultimo mese dell’anno, nel pomeriggio si sentì un tonfo tipo “scrash” e a seguire un rumore come di rubinetto aperto a bocca completa. Si era spaccata la tubazione in lavanderia e prima di aver individuato il problema e la valvola di chiusura tutto il piano era in acqua alta per cinque o sei centimetri. Un dramma.

 

Intenti al salvataggio del possibile successe che le luci della stanza si accesero ad effetto discoteca.

 

Solo loro. Nelle altre stanze l’impianto funzionava in regola. Qui no. Come se un qualche imbecille di turno si fosse divertito a spengere e accendere l’interruttore sul modello che usava alle feste in casa di un tempo. “Mistero della scienza e della tecnica oppure una qualche presenza animava il locale?”. Forse era semplicemente volpe lei e baccalà noi.

 

Come sia non si è più ragionato di locazione e simili facezie.

 

Alla fine eccolo qua. Pulito e imbiancato. Tirato a lucido e rinfrescato. Pronto per diventare lo studio tutto fare dell’ attività di un umile architetto di campagna; quasi condotto come i medici di un tempo. Le sistemazioni del nuovo uso sono indolori. Anzi meglio si adattano loro stesse al locale e seguono la distribuzione e gli impianti a suo tempo disegnati per altre funzioni. E del resto è copiato spudoratamente lo scantinato del Mascetti: “Ambiente unico diviso in comparti … mobili come in Giappone”. Pertanto: archivio, biblioteca, lavoro e ricevimento; tutto con i mobili. Tutto scientifico ma con vista campagna per lo spirito e Fico verdino per la merenda.

 

Tutto ordinato.

 

Poi giorni fa l’ultima trasformazione. Una telefonata, anzi meglio un messaggio Whatsapp, avverte che: “… Buongiorno signore … le devo comunicare che; per effetto della sua frequentazione di …. ecc. ecc.; da questo momento si deve considerare in quarantena fino al prossimo tampone che le verrà praticato secondo tempi e modi stabiliti con il messaggio di posta elettronica che le è stato appena inviato.  Seguiranno precise e dettagliate istruzioni. Salute”.

 

Il riferimento alla salute è quello che mi ha fatto infuriare.

 

“Ma come; sconosciuta testina di quiz che non ti firmi neanche mi hai appena comunicato che non posso uscire, devo scegliermi una stanza e starci da solo per quindici giorni o anche di più, devo organizzare un bagno personale, non devo frequentare nessuno e tantopiù le persone in casa e chissà quante altre restrizioni; e chiudi con: Salute? Ma sei di fuori o cosa?”.

 

Come sia. Dopo lo sfogo filosofico mi organizzo.

 

La stanza è quella al piano terra con il bagno limitrofo. Ci son tavoli e matite e blocchi da disegno e libri. Così a sentimento giudico di poterci passare il tempo che vuole. Per dormire agevolo l’ingresso della sdraia da giardino riposta in garage e l’attrezzo a brandina con materasso, coperte e tutto l’occorrente. Giudico l’opera non particolarmente comoda ma questo passa il convento. Faccio un salto ai piani alti per cuscino, infradito uso mare come scendiletto e oggetti da bagno.

 

Per la notte sono operativo.

 

Per le vettovaglie mi affido “Anema e core” al parentame che alloggia ai piani alti. Per l’acqua ho la brocca filtrante, ultimo modello etico e solidale, e per il vino la cantina a tre passi. Come tirabusciò uso il coltellino svizzero che ho sempre nel saccapane mentre per il caffè; cui prevedo ingerire gran quantità; ho trovato una vecchia macchinetta da uno. Dentro lo stesso scatolone, avanzo mai aperto del trasloco dello studio numero undici, scopro la presenza del fornello elettrico, lungamente e inutilmente cercato, che davo oramai scomparso per sempre.

 

Alla fine accedo al servizio di posta.

 

Ai soliti convenevoli, che risparmio. segue la frase: “… in via cautelativa è quindi sottoposto a quarantena preventiva perché sospettosamente sospetto ad aver contratto una qualche forma di Covid”. E io ad alta voce: “Covid … Covid … mumble … mumble … dove ho già sentito questa parola?” E all’improvviso salto in piedi, agguanto lo specchietto retrovisore della Cinquecento elle e l’appoggio sul tavolo. Apro il cassetto, prendo un foglio bianco formato A4 e la penna stilo. Scrivo: “divoc” e lo specchio per leggere “covid”. Il mio amico Sergio di marina di Campo avrebbe di sicuro aperto la discussione con il suo mitico: ”Bestiale”.

 

Intanto il solito messaggio elettronico, questo di Silvia, interrompe questi fugaci pensieri.

 

“Attento che scendo le scale. Ti lascio il vassoio, quello arancio di pvc trasparente che abbiamo preso ad Arzachena, sull’ultimo scalino. Stasera cena anni ottanta: tortellini rosé e insalata russa. Pane integrale una fettina come un velo.  Senza vino che la sera fa tappo. Frutta neanche. Caffè se lo vuoi te lo fai. Controlla che ci sia tutto e casomai avvertimi. Buon appetito. Un bacio” Una vera casa-studio con servizio di pensione completa

 

Alé. Servito e riverito come un Divo-c.

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