Carta | 2005
I miei primi
ricordi sono sfocati.
Un campo di grano
e dei filari di aceri maritati con le viti. Io me ne stavo per conto mio in un
angolo e facevo il segnale di un confine. In primavera mi nascevano bellissimi
fiori bianchi e poi all’inizio dell’estate rifulgevo di rosso. Il sole
picchiava forte e i miei fiori diventavo dolcissimi frutti che adornavano, come
tanti rubini, i capelli delle ragazze del vicino casolare.
Poi un giorno;
ricordo che era ottobre inoltrato; arriva uno di voi armato di aggeggi
taglienti come se dovesse andare in guerra.
Che difesa posso
opporre se non foglie che cadono e rami che infrascano?
La battaglia è
persa in partenza e il mio tronco si separa dalle radici. Divento un misero
pezzo di legno destinato a chissà quali vostri usi. Un pezzo di legno separato
dai miei fratelli. Alcuni di noi vengono ridotti in piccoli pezzetti e
finiscono a riscaldare le vostre serate al canto del fuoco. Altri sono
affettati in forma di assi e mi è arrivata voce che sono incastrati in una
nicchia sopra un acquaio e sopportano il peso dei vostri bicchieri. Quattro di
noi sono stati torniti e ora sono gambe di un tavolo per mangiare. Io sono
rimasto solo. Troppo grosso per essere bruciato; troppo irregolare e
bitorzoluto per essere trasformato in qualcosa per voi utile. Vengo accomodato
in un angolo sotto una tettoia che non si sa mai possa servire.
Vengo scordato e
messo a stagionare per quattro lunghi anni.
Poi un giorno
passa un vecchietto. Un povero vecchio di anni sessantaquattro. Vedovo e senza
figli. Vestito; non per moda; di abiti vintage e anche molto povero. Racconta
che per campare pratica il mestiere del babbo di un tipo nato duemila anni or
sono e mi chiede in cambio di trenta denari. Il padrone della cascina; che il
mese prossimo deve mandare in sposa la figlia maggiore rimasta in stato molto
interessante; coglie al volo l’occasione.
E allora vado in
città.
Mi legano alla
groppa di Bigio il ciuchino e vado a casa del maestro intagliatore. La casa di
costui “… era una stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala. La
mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco
buono e un tavolino rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col
fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una
pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo, che pareva
fuoco davvero.”
Appena in casa
il mio nuovo padrone prese gli attrezzi e si pose a intagliarmi.
Mi costruì due
piedi e due gambe; due mani e due braccia; un bacino e un busto; una testa con
un bel cappello a punta colorato di rosso e ci disegnò sulla fronte due occhi
vispi e furbi. Incise la bocca e fabbricò il naso. Un lungo naso appuntito che
appena fatto cominciò a crescere.
Mi fece
burattino e contento.
Adesso potevo
muovermi e parlare. Roteare le pupille e saltellare. La trasformazione mi
condusse verso nuove e innumerevoli avventure. Conobbi un grillo saggio e una
fata colorata. Un omaccione grande e grosso che dirigeva un circo e due brutti
ceffi che mi raggirarono con la storia di una pentola piena di monete d’oro. Mi
presentarono il gestore di un osteria e un postiglione. Ho giocato insieme ad
una masnada di ragazzi in un paese fantastico e di uno sono diventato molto
amico. Poi ho visto il mare e sono finito in bocca ad una balena.
Ma non voglio
stare qui a tediarvi con avvenimenti lontani e allora abbozzo.
Ad un certo
punto ho deciso di riposarmi da tutto questo gran correre in giro per il mondo
e mi sono fermato. Un bambino mi ha raccolto portato a casa sua. Ho giocato con
lui per lunghi anni. Poi con i suoi figli e ancora con i suoi nipoti e anche i
nipoti dei nipoti. Fino a quattro anni or sono. Quando è comparso in casa
gigirobotdiacciaio. I bambini si sono messi subito a giocare con lui e mi hanno
scaraventato di sotto alla finestra.
Il volo mi ha
distrutto.
Sia nel fisico
che nel morale. Sono finito letteralmente in pezzi. I pezzi sono stati raccolti
da un anima pietosa, gettati sopra un ape, e poi in discarica. Qui ci hanno
separati. Non ho notizia dei piedi e neanche della testa. Nello il fringuello
mi ha raccontato che le braccia e le gambe sono finite dentro un fuoco e adesso
non sono più. Degli altri non so. Io che sono il naso a punta sono poi finito
accatastato in un piazzale vicino ad una costruzione con molte ciminiere che
emettono continuamente sbuffi di fumo bianco.
Qui ho subito
l’ennesima trasformazione della mia carriera.
Sono stato
sfribato e spappolato. Potete solo immaginare il dolore. Poi la mia poltiglia è
stata ancora sminuzzata e impastata insieme all’acqua entro grandi pentole. Poi
ancora grosse lame mi hanno affettato. Affettato e ancora affettato. E poi
impastato con la colla di non so quale animale. E messo sopra un nastro che si
muove. Ho incontrato una pressa gigantesca e ci sono passato sotto. Che male
che mi ha fatto. Ha spremuto l’acqua che mi accompagnava e mi ha fatto secco
secco e lungo lungo. Un rotolo. Ho conosciuto alcune lame che mi hanno tagliato
in tanti pezzi e ridotto così come mi vedete.
Ora faccio parte
di un blocco composto da trecentosessantacinque miei fratelli.
Misura
centimetri sette per quattordici. Colore bianco riciclato con copertina in
brossura colore rosso. La copertina porta inciso un marchio a secco. Siamo
pronti ad accogliere le vostre idee. I vostri appuntamenti e i vostri appunti.
Siamo disponili ai vostri disegni e ai vostri progetti. Siamo.
E voi ancora
pensate che siamo dei semplici fogli?
Fogli si ma di
carta.
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