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Nove cinquettii | 2018
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da TEC FAC, pag 75, Capolona 2018

Parafrasando un detto popolare mi succede ogni morte di Papa.

E però stamani si. Mi son dovuto fermare lungo i tornanti dello Spicchio per piangere come un vitello quando viene separato dalla madre. L’operazione ha richiesto meno di un minuto e alcune decine di lacrime dal sapore dolciastro dovuto alla crema protezione trenta che da tempo mi spargo in faccia. Se non sbaglio; e non sbaglio visto che le conto; è l’ottava volta che mi succede.

La settima è stata quando mamma se n’è andata mentre la prima risale a quando il Vescovo mi voleva piantare un chiodo sulla fronte trapassando la fascia cresimale. Non mi capita spesso di farlo. In casa passo per essere insensibile come un vedente in un mondo di ciechi. Ma tant’è.

Prima di arrivare al civico via Dante n. 16 mi son fatto il giro delle sette chiese. Son passato a salutare le persone che mi son restate in testa durante l’anno passato in viaggio. In ordine sparso: la signora che spazza l’ingresso della casa lungo le rampe a scendere prima di San Martino, la giornalaia, il vinaio, il benzinaio, le bariste, i due o tre fornai di altrettanti luoghi diversi, il gommaio, lo sfasciacarrozze, il bancomat e pochi altri più.

E dire che ci stavo anche bene. Ma chi me l’ha fatto fare di scrivere la domanda di mobilità con richiesta di avvicinamento familiare? Anzi, tornando a bomba, oso la parola benissimo. La-dirigente-i-colleghi-il-personale (tutto attaccato): splendidi. Unica pecca l’edificio. Trattasi di prefabbricato in cemento armato precompresso della fine degli ottanta col tetto a copertura piana finita a catrame ed impersonali pareti esterne. Forse con pecche strutturali. Un blocco di triste cemento grigio.  Un delirio architettonico.

Ci sono solo tre cose interessanti e tutte son successive alla costruzione: un cortile quadrato  decorato con erba di campo e arbusti locali; una serra in alluminio e policarbonato per gli improbabili orti dei ragazzini e un ciliegio varietà maggiaiola dove mi son arrampicato non più tardi di un mese fa.

Avevo già deciso stamani di lasciare qualcosa al luogo. Pensavo ad un oggetto di terracotta o pietra ma sarebbe occorso molto tempo per prepararne di appena decenti. Tempo che non ho visto che domani è tutto sommato l’ultimo giorno. Allora ho fatto un disegno su cartone riciclato fondo grigiastro. Di getto senza linee di costruzione direttamente con inchiostro e acquerello e matita e grafite. C’ho messo un par d’ore e non di più. Compreso l’asciugatura dei colori stesi col pennello.

Da sinistra a destra e dall’alto in basso si riconosce: il fiume con le sponde alberate, gli impianti sportivi all’aperto con tanto di pista per la corsa e il resto, un frutteto di ciliegi primaticci, un grande parcheggio alberato, la palestra in forma di tempietto romanico, la piazza d’ingresso lunga come il fronte, l’edificio con il fronte pubblico verso la città e quello privato verso il cortile circolare alberato ed il fiume. Pareti ventilate in pietra e tetto giardino, frangisole e lucernari alla bisogna. Green quanto basta.

La scuola immaginata.

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