La maestra | 2010
I ragazzi siedono scomposti sopra
alle vecchie panche di legno grigio.
Le panche fanno un tutt’uno con i
banchi scortecciati. Ogni banco due bambini. Due file di otto banchi tutti
occupati. Il conto è presto fatto: sedici. Sedici alunni; dieci maschi e sei
femmine: la prima e la seconda classe della scuola elementare di un piccolo
paese dell’Italia centrale intorno alla metà degli anni sessanta. Sono le otto
e trenta di un giorno di fine inverno e la primavera bussa alle porte. Le
rondini svolazzano nel cielo. Un raggio di sole entra dalle imposte socchiuse
La maestra entra in classe e tutti si
alzano.
“Buongiorno maestra” … fanno i ragazzi. “Buongiorno
bambini” … fa la maestra mentre si avvia alla cattedra sul fondo della
stanza. L’insegnante si leva il paltò e lo appende al chiodo vicino alla
lavagna. Appoggia la capace borsa di pelle nera sul tavolo. La apre e ne estrae
il registro con la copertina azzurra e la bacchetta di bambù mentre esclama: “Bene…
facciamo l’appello …Argenti… presente!… Bacci… presente!… Cardi… presente!”
E così via fino al numero 16 che
figura in fondo al registro non per ordine alfabetico ma perché si è trasferito
da poco nel paese. Il sedici proviene dalla cittadina capoluogo del comune. Il
sedici ha sei anni e pochi mesi e frequenta la prima elementare. Il sedici è al
secondo giorno nella sua nuova scuola e si sente a disagio con i nuovi compagni
e soprattutto con la nuova maestra. Il sedici, abituato diversamente, deve
ancora capire come possa funzionare una classe composta di due classi: una
prima e una seconda.
Il sedici attende con ansia il primo
compito corretto dalla sua nuova insegnante.
Il giorno avanti si era cimentato in
un dettato svolto secondo regole nuove che non conosceva e quindi si aspettava
un brutto voto. Il suo nuovo compagno di banco gli aveva subito raccontato del
carattere burbero e iroso della maestra e il sedici si era alquanto
preoccupato. Il solo pensiero dell’imminente correzione lo aveva sconvolto al
punto che non aveva fatto neanche colazione. Adesso si sentiva in difetto di
zuccheri e non vedeva l’ora che arrivassero le dieci e mezzo per lanciarsi all’assalto
delle due fette di pane e salame che la mamma gli aveva messo nella cartella.
Intanto la maestra finisce di scrivere i suoi appunti sul registro e comincia a
dare i compiti della mattina mentre si appresta a correggere gli elaborati del
giorno precedente. Alla prima viene assegnato il disegno da copiare dal libro
di testo mentre la seconda si becca un complicato problema di aritmetica. I
ragazzi si concentrano sui compiti mentre la maestra inforca gli occhiali e
s’impegna nella correzione dei compiti. Il tempo scorre veloce fino all’ora
della merenda di metà mattina che è divorata dal nostro eroe. E alle undici
giunge l’ora del dramma.
E’ l’ora della correzione pubblica.
La maestra attacca: “Bene ragazzi…
adesso v’illustro gli errori dei dettati… cominciamo dal vostro nuovo compagno
che viene dalla città… iniziamo dal Gennari. Anzi: Gennari … alla cattedra!”
Il sedici si alza impacciato, si avvia barcollando verso il fondo dell’aula e
si posiziona alla sinistra della maestra. L’adulta si munisce della matita
rossa e blu di ordinanza e rimarca i segni rossi del quaderno mentre spiega: “Vedi
qui… e qui… e qui. L’«a» con la «acca» non va messa in questo punto… non va
bene. E poi qui…. Vedi? Il nome di persona abbisogna della lettera maiuscola. E
ancora qui… e qui. Ma insomma… dove sei stato fino ad oggi? A scuola oppure a
badare i maiali… guarda quanti errori. Guarda qui… la virgola no… non va … ma
insomma!
Il sedici intanto comincia a sudare;
grosse gocce di sudore gli rigano la fronte e farfuglia, o meglio cerca di
farfugliare, delle scuse: “Ma signora maestra … io credevo… io pensavo…
io…”.
La maestra lo interrompe: “Non ci
sono se… non ci sono ma. Qui è tutto sbagliato! Quattro meno! A posto! Avanti
il prossimo!
La maestra Renata ha appena finito la
correzione del dettato del Gennari.
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