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12/11/20

Antefatti e architettura

 


Antefatti e architettura | 1996


… (omissis)


Il luogo del progetto è a Firenze in Piazza dell’unità italiana.


La piazza si scopre uscendo dalla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella e imboccando via dè Panzani. Si tratta, come gran parte dei luoghi della città, di un grande spiazzo, ricco di memorie storiche stratificate ai margini della Firenze romana, di forma trapezoidale irregolare tangente alla stessa via dé Panzani con il lato est della chiesa di Santa Maria Novella e  delimitato sui restanti tre lati da edifici di varie epoche e dimensioni: Palazzo dé Cerretani, Hotel Majestic e Hotel Baglioni. Dalla facciata principale dell’edificio in progetto si dipartono due strette strade; via S. Antonino e via del Melarancio; che conducono verso il Mercato centrale, le Cappelle Medicee e la chiesa di San Lorenzo. Circa al centro della piazza , spostato verso via dé Panzani, si erge uno sgraziato obelisco ottocentesco  in pietra mentre le auto la invadono su tutti i lati.


Le prime notizie del luogo risalgono al tredicesimo secolo allorquando  il 20 Dicembre 1244 il podestà Bernardino di Rolando Rosso, udito  il parere del consiglio e su domanda del frate Pietro da Verona, cede  la piazza stessa affinché  “... ci possa  predicare secondo la sua volontà.”


Così la piazza, veramente uno spiazzo di terreno incolto , nei pressi del convento di Santa Maria Novella ove lo stesso frate era ospite,   ai margini della città  e nelle vicinanze degli orti dei vari ordini mendicanti, assume il ruolo di importante luogo urbano. Nel corso della sua storia  vi si terranno prediche e riunioni, mercati  e celebrazioni. 


Qui si riunisce il popolo per assistere alle prediche del frate contro i Patarini che lacerano la Chiesa fiorentina.


E’ questo il luogo scelto dal cardinale Latino Malabranca , nel 1279, come sede di riunione e concordia per pacificare le parti politiche dei Guelfi e dei Ghibellini. Per questa solenne cerimonia la piazza , su cui ancora si apre l’ingresso della chiesa di Santa Maria Novella,  è ricoperta da una tenda di drappi colorati. Ai lati, alti pergami di legno accolgono vescovi e prelati, podestà e capitani, consiglieri e priori delle arti. L’alto prelato invita tutte le parti alla concordia e , come racconta in Villani, “... fece baciare in bocca i sindachi ordinati per li Guelfi e per li Ghibellini, pace facendo con grande allegrezza per tutti i cittadini “.


Di li a poco, però, lo stesso cardinale Malabranca pose la prima pietra della nuova, grande, chiesa domenicana di Santa Maria Novella progettata dai due frati architetti Sisto da Firenze e Ristoro da Campi. Essi rivolsero a mezzogiorno la facciata che prima orientava a levante sulla piazza in questione. Così dinanzi alla nuova chiesa, sul finire del duecento sorse la nuova grandissima piazza mentre lo spiazzo prese il nome di Piazza vecchia.


Da allora non vi si tennero ne prediche ne pacificazioni ma si utilizzo l’invaso, sino alle soglie del seicento, come luogo di mercati ; degli ortaggi e della paglia prima, del fieno e in seguito  del carbone.


Nel frattempo, intorno agli ultimi decenni del cinquecento, sul lato a settentrione si edificò Palazzo Cerretani ; attuale sede della direzione  compartimentale delle ferrovie dello stato. Inizialmente di proprietà dei Lagoberti l’edificio, dal 1650, fu acquistato dal senatore Giovanni de Cerretani che ordinò la facciata aprendo la loggia a metà della stessa e facendo decorare, con stucchi e pitture, il salone d’onore.


Verso la metà del settecento, all’angolo  con via del Melarancio ; l’origine del nome pare derivare dai frutti , deliziosi e profumati provenienti dalla Persia,  piantumati nel giardino, annesso al palazzo di proprietà della famiglia dei Gaddi, fiancheggiato dal tracciato della strada; si costruì il Teatro della Piazza vecchia o degli Accademici che, successivamente allo spostamento della capitale da Firenze a Roma sul finire dell’ottocento si trasformò in privata abitazione.


Il palazzo che ospita l’attuale Hotel Baglioni prende forma intorno alla seconda metà dell’ottocento  come palazzo Corega  in sostituzione di antiche abitazioni.

I cinque anni in cui la città fu ordinata capitale lasciarono, sul luogo, come unico segnale l’obelisco in pietra che battezzò la piazza con l’attuale denominazione di piazza dell’unità italiana.


Il vecchio Hotel Majestic nasce invece nel 1926 probabilmente ristrutturando , accorpando, ampliando e dotando di nuove facciate alcuni edifici di tre o quattro piani. Le scarse documentazioni esistenti ci raccontano di un dignitoso edificio di cinque piani, in stile ottocentesco, affacciato sulla piazza come il fondale di un palcoscenico con la parte a destra leggermente piegata, rispetto al filo facciata,  ad orientarsi su via del Melarancio  in modo da creare  l’effetto chiusura  di un prospetto  altrimenti sfuggente. La facciata tripartita, la parte basamentale a intonaco bugnato, le cornice marcapiani, le mostre alle finestre e i balconi ai piani nobili a segnare gli ingressi evidenziano e rimarcano la simmetria della facciata  e la fanno appartenere alla piazza ed alla città. Così la piazza, di forma irregolare  ma sostanzialmente chiusa su tutti i lati, contribuisce a creare lo scenario urbano.


Successivamente, intorno agli anni trenta del nostro secolo,  con la costruzione della Stazione ferroviaria di Michelucci e  con il completamento dell’allargamento stradale di  via Valfonda si giunge all’attuale sistema degli spazi in cui la predominanza viene assunta dal vuoto intorno alla stazione stessa mentre la piazza si riduce ad un grande slargo con al centro l’obelisco.

Quindi, come raccontano  Paoletti e Carniani nelle cronache del periodo,  la notte fra il tre e il quattro novembre  “ Ignari di quanto sarebbe di li a poco accaduto, la maggior parte dei fiorentini se ne va a letto, lasciandosi cullare dal ticchettio dell’acqua scrosciante, e si addormenta.” Alle due e trenta del mattino del quattro, superato l’argine, acqua irrompe alla Nave a Rovezzano. E’ l’inizio della tragica alluvione del millenovecentosessantasei.


Nel frattempo il cambio di proprietà innesca il meccanismo della sostituzione e sul finire degli anni sessanta si progetta e si costruisce, su disegno degli architetti Bartoli e Sanità,  l’attuale edificio. 


La costruzione si sviluppa intorno ad una corte centrale rettangolare, occupata al piano terra ed al primo dal salone principale degli uffici della banca, sulla cui copertura prospettano le facciate interne  dell’albergo. Il lato est del fabbricato su via S. Antonino ingloba un edificio settecentesco del quale si conserva la  facciata originaria. Con l’eccetto di una piccola porzione sul lato di via del Melarancio, nella quale sono  posizionati l’ingresso e la ricezione dell’hotel, il piano terreno ed il primo dell’edificio sono interamente occupati dagli uffici e dal salone al pubblico della Banca popolare di Novara, proprietaria dell’intera costruzione . A partire dal secondo e per quattro piani si sviluppano gli ambienti dell’albergo che comprende una sessantina  di stanze , tra singole e doppie, oltre ai servizi. Il ristorante si posiziona al primo piano con affaccio sulla corte interna mentre i piani interrati sono destinati al parcheggio, con accesso dalla piazza, al caveau della banca ed ai locali tecnici.

La scelta architettonica di rottura con la tradizione dei  palazzi fiorentini è ben evidente nella facciata principale dove scompaiono quelle sottili ed eleganti soluzioni che collaborano alla creazione di uno spazio finito e concluso. La base dell’edificio è scavata , così come l’angolo su via S. Antonino,  a creare un falso portico aggettante sul filo stradale. Tutta la composizione è incentrata sulla  verticalità con le fasce in pietra  , i sottili pilastri in cemento aggettanti, e le aperture a feritoia. Non sono riconoscibili gli ingressi principali e , in generale, il progetto non appartiene al luogo non rispettandone i principi insediativi, il filo stradale e il dialogo con l’intorno. 


Tenendo a mente questo complesso e intrecciato quadro di riferimento storico, i lavori qui esposti ricercano, con soluzioni diverse, la risposta alla necessità di ricucitura del tessuto urbano. Si rifanno alle fondamenta della città cercando , attraverso la lettura storico critica, cercano di fisicizzare lo spirito del luogo stesso.  Ambiscono a coglierne lo spirito più profondo e si muovono su diversi piani di intervento collegati da un intrigato  percorso di fili arrugginiti e luccicanti, emozioni e logica, disegno e manualità. Percorrono la difficile strada di progettare per la città  cercando quindi l’appropriazione sensitiva ed emozionale oltre che logica  del sito  e rileggono , in chiave contemporanea, tutte quelle emergenze fisiche ed emotive - colori - odori - silenzi e materiali - proprie del  contesto. Il momento fondamentale dell’architettura, come scrive Norberg-Schulz,  è quindi  quello di comprendere la  “vocazione del luogo”   e il suo spirito più nascosto, ricercarne il sedime e impostare il nuovo con appropriate soluzioni dimensionali e materiche, di rapporto tra le parti ed il tutto, di adesione al progetto per la città e non contro la città.  Infatti , come sostiene Adolfo Natalini  “ i luoghi della città storica hanno uno spessore fortissimo. Sono stratificazioni di memorie orientate, sono nodi di relazioni, sono (o dovrebbero essere) scenari di vita civile. I luoghi della città storica sono luoghi complessi: a volte ce ne sfugge il senso per la nostra scarsa adesione alla città o per gli innumerevoli disturbi che ne rendono difficile la lettura.  Il genius loci ( o più semplicemente il contesto)  richiede la sensibilità del rabdomante ( o più semplicemente, un analisi approfondita in direzioni diverse) . Non basta leggere la città, bisogna  ‘sentire’ la città con l’intenzione di recuperarne il senso.”


Il punto di riferimento  principale è stata l’architettura della città storica europea , i suoi modelli ne hanno rappresentato l’esercizio didattico.  Il tema è stato affrontato con rigore  ed aderenza alla reale situazione del costruire. Si sono abbandonati i faraonici progetti degli anni settanta confidando sulla necessità  didattica del progetto e sulle migliori  regole vitruviane unite a quelle dei trattatisti rinascimentali. Le analisi critiche ed emotive sulla città , la comprensione, anche emozionale, del luogo, le lezioni di architettura di Durand, le opere di Muzio , gli scritti e gli edifici di  Kahn, l’uso sapiente dei materiali di Scarpa e di altri grandi architetti ci sono state di guida e conforto. L’ostinato esercizio didattico del disegno e della manualità ci ha orientato nella tortuosa strada del ‘fare architettura’. Il movimento, obbligato ma imprevedibile, del cavallo nel gioco degli scacchi ci ha permesso di avventurarsi nell’intrigato percorso progettuale. Dall’impianto distributivo e funzionale alle prime ipotesi volumetriche;  dal confronto delle soluzioni di facciata all’ uso dei materiali e delle tecniche costruttive; dallo studio strutturale alle vedute; dalle soluzioni tipologiche alle sezioni; dal disegno ai modelli  in un continuo  gioco di rimandi : dal dettaglio all’insieme, dall’edificio  al suo intorno, dall’architettura alla città. Questo esercizio ci ha , con gran sudore, permesso di scegliere la strada diritta  o tortuosa oppure , in alcuni casi, di ripercorrerla a ritroso, fino a  trovare  come diceva Borges “ la via dei sentieri che si biforcano” , riannodarne i fili  e trovare il progetto in quel luogo e per quel luogo con un approccio ogni volta esclusivo e aderente alla città.  “ Michelangiolo trovava la statua nel blocco di marmo. La scultura come arte del togliere il superfluo. Forse - come sostiene Adolfo Natalini -  l’architettura è già nei luoghi: dobbiamo solo ritrovarla.”


I progetti di seguito riportati cercano di ritrovare l’architettura; si ancorano al passato e cercano i segni di un nuovo futuro.


In generale si ricollegano alla grande tradizione del palazzo fiorentino che è servito di modello alla costruzione della città fino a tutto l’ottocento e ai primi decenni di questo secolo. L’uso del cortile o corte interna, in molti casi ad uso pubblico, lo studio delle specifiche tipologie e delle distribuzioni interne, la conoscenza puntuale del luogo e l’attenta scelta dei materiali sono stati gli elementi comuni della ricerca.


Credendo che l’architettura è l’arte dei scoperta dei luoghi ambiremmo a che questi lavori venissero letti  e compresi con il necessario spirito critico ed emotivo e ci piace concludere con le parole di Louis Kahn, un grande architetto. “ La prima volta che sono stato a Pisa, mi sono diretto verso la piazza. Nell’avvicinarmi, vedendo in distanza uno scorcio del campanile, ne fui così appagato che mi fermai di colpo ed entrai in un negozio a comprare una brutta giacca inglese. Non osando entrare nella piazza deviai per altre strade girandoci attorno, ma senza mai arrivarci. Il giorno dopo andai dritto al campanile, ne toccai il marmo, e quello del duomo e del battistero.


L’indomani entrai coraggiosamente negli edifici.”


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