Interviste improbabili: 3 domande a Carlo
Scarpa | 2020
Per darmi un po’ … così …
di coraggio ho voluto consultare il vecchio Vocabolario della Crusca per vedere
alla parola arredamento cosa si
diceva. E … anche il Dizionario
etimologico del Battisti. Per la parola arredo
- arredamento … La Crusca dice alla parola arredamento: “Provvedere del necessario” …
Carlo Scarpa, Arredare, Iuav,
Venezia 18.03.1964
Lo vedo appena
svoltato l'angolo. Preciso dove aveva detto si sarebbe trovato; seduto al
tavolino appena fuori il locale con vista sul canale. Il minuscolo piano
circolare di formica verdina è occupato da tre piattini di cicchetti, due ombre
e un taccuino cartonato colore rosso sormontato da una stilografica nera. Il
pomeriggio del primo giorno di primavera vira verso il tramonto e pennella il
cielo con spruzzi giallo - rossi sfumati all’arancione. La scena è quella
giusta. Saluto. Sorrido. Siedo. Tre domande. Tre città. Tre storie.
D Firenze.
R C’ho lavorato
in più riprese per almeno una ventina d’anni. Quasi sempre in coppia con un carissimo
amico che non ha poi avuto al fortuna critica che si meritava. Stiamo finendo
la sistemazione dell’atrio di un albergo tra le vie San Gallo e delle Mantellate.
La cena, come al solito, è consumata alla trattoria Tito. Durante il pasto
finiamo a parlare di fegatelli e del modo di cuocerli. Secondo me, che son
foresto, la morte sua è arrosto girato con framezzo di pane raffermo e foglia
d’alloro. Per “Ed”, casentinese di nascita, il vero fegatello di maiale è cotto
sulla brace a fuoco vivo. Mentre ci stiamo accapigliando sulle sottigliezze
della rete avvolta su uno o due giri un’improvvisa folata di vento accompagna
l’ingresso di cinque loschi figuri. In realtà, scoprirò poi, son ragazzi di
trent’anni e cercano me. Son vestiti e si qualificano come architetti che hanno
elaborato alcune teorie in gran voga sulle riviste di quel periodo. Uno di
loro, quello con gli occhiali di tartaruga e il basco, racconta che hanno
appena ricevuto invito a partecipare a una grande esposizione al MoMA di NYC
dal titolo “Nuovi paesaggi domestici”.
L’altro che lo fiancheggia, con i baffi e la macchina fotografica a tracolla, senza
proferir parola appoggia sul tavolo un fiasco di Nipozzano e sette bicchieri. Brindiamo
all’architettura.
D Verona.
R È un posto che
ha del magico per almeno tre o quattro ragioni. L’Arena, Romeo e Giulietta
anche se sono inventati, piazza delle Erbe, Cangrande della Scala e buon ultimo
Castelvecchio. Questo pezzo di città l’ho percorso e disegnato in lungo e in
largo per oltre un ventennio: edifici,
mura storiche, ponte, cortili e giardino. Se n’è uscito uno spazio
espositivo che ancora oggi; almeno questo taluni affermano; risulta moderno, contemporaneo
e felicemente easy. Una volta,
intorno alla fine dei novanta, mi son visto “…
sfrecciare una piccola sagoma gialla ... (che in) … folle corsa scansa, per miracolo, tutte quelle testine sorrette da
eleganti strutture di acciaio che stanno su per miracolo”. Fino al condottiero
che in gioventù scorrazzava per le vie della città e adesso riposa in alto sotto
la loggia. Bianco lui e bianco il destriero. Tutti e due “ … sospesi nell’aere. Pronti a spiccare il volo verso la gloria”.
D Venezia.
R Facile. È la
città che amo. Dove ho studiato,
insegnato e lavorato. Il luogo del cuore è un piccolo negozio di
macchine da scrivere sotto i portici di piazza San Marco. Adriano, l’illuminato
committente, mi lasciò carta bianca e briglia sciolta. I lavori terminarono nel
cinquantotto e d’allora lo spazio ha subito svariati attacchi dal tempo e dagli
uomini. Comunque se ci passi è ancora aperto.
D Mi prendo la licenza
per una quarta: San Vito …
R … Alt. Per
questo solo una battuta: c’ho progettato una grande tomba di famiglia che recinge
il piccolo cimitero locale. È stato il mio ultimo lavoro e mi ha impegnato fino
alla morte. E oltre.
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