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16/07/20

Interviste improbabili: 3 domande a Carlo Scarpa



Interviste improbabili: 3 domande a Carlo Scarpa | 2020

Per darmi un po’ … così … di coraggio ho voluto consultare il vecchio Vocabolario della Crusca per vedere alla parola arredamento cosa si diceva. E  … anche il Dizionario etimologico del Battisti. Per la parola arredo - arredamento … La Crusca dice alla parola arredamento: “Provvedere del necessario” …
Carlo Scarpa, Arredare, Iuav, Venezia 18.03.1964

Lo vedo appena svoltato l'angolo. Preciso dove aveva detto si sarebbe trovato; seduto al tavolino appena fuori il locale con vista sul canale. Il minuscolo piano circolare di formica verdina è occupato da tre piattini di cicchetti, due ombre e un taccuino cartonato colore rosso sormontato da una stilografica nera. Il pomeriggio del primo giorno di primavera vira verso il tramonto e pennella il cielo con spruzzi giallo - rossi sfumati all’arancione. La scena è quella giusta. Saluto. Sorrido. Siedo. Tre domande. Tre città. Tre storie.
D Firenze.
R C’ho lavorato in più riprese per almeno una ventina d’anni. Quasi sempre in coppia con un carissimo amico che non ha poi avuto al fortuna critica che si meritava. Stiamo finendo la sistemazione dell’atrio di un albergo tra le vie San Gallo e delle Mantellate. La cena, come al solito, è consumata alla trattoria Tito. Durante il pasto finiamo a parlare di fegatelli e del modo di cuocerli. Secondo me, che son foresto, la morte sua è arrosto girato con framezzo di pane raffermo e foglia d’alloro. Per “Ed”, casentinese di nascita, il vero fegatello di maiale è cotto sulla brace a fuoco vivo. Mentre ci stiamo accapigliando sulle sottigliezze della rete avvolta su uno o due giri un’improvvisa folata di vento accompagna l’ingresso di cinque loschi figuri. In realtà, scoprirò poi, son ragazzi di trent’anni e cercano me. Son vestiti e si qualificano come architetti che hanno elaborato alcune teorie in gran voga sulle riviste di quel periodo. Uno di loro, quello con gli occhiali di tartaruga e il basco, racconta che hanno appena ricevuto invito a partecipare a una grande esposizione al MoMA di NYC dal titolo “Nuovi paesaggi domestici”. L’altro che lo fiancheggia, con i baffi e la macchina fotografica a tracolla, senza proferir parola appoggia sul tavolo un fiasco di Nipozzano e sette bicchieri. Brindiamo all’architettura.
D Verona.
R È un posto che ha del magico per almeno tre o quattro ragioni. L’Arena, Romeo e Giulietta anche se sono inventati, piazza delle Erbe, Cangrande della Scala e buon ultimo Castelvecchio. Questo pezzo di città l’ho percorso e disegnato in lungo e in largo per oltre un ventennio: edifici,  mura storiche, ponte, cortili e giardino. Se n’è uscito uno spazio espositivo che ancora oggi; almeno questo taluni affermano; risulta moderno, contemporaneo e felicemente easy. Una volta, intorno alla fine dei novanta, mi son visto “… sfrecciare una piccola sagoma gialla ... (che in) … folle corsa scansa, per miracolo, tutte quelle testine sorrette da eleganti strutture di acciaio che stanno su per miracolo”. Fino al condottiero che in gioventù scorrazzava per le vie della città e adesso riposa in alto sotto la loggia. Bianco lui e bianco il destriero. Tutti e due “ … sospesi nell’aere. Pronti a spiccare il volo verso la gloria”.
D Venezia.
R Facile. È la città che amo. Dove ho studiato,  insegnato e lavorato. Il luogo del cuore è un piccolo negozio di macchine da scrivere sotto i portici di piazza San Marco. Adriano, l’illuminato committente, mi lasciò carta bianca e briglia sciolta. I lavori terminarono nel cinquantotto e d’allora lo spazio ha subito svariati attacchi dal tempo e dagli uomini. Comunque se ci passi è ancora aperto.
D Mi prendo la licenza per una quarta: San Vito …
R … Alt. Per questo solo una battuta: c’ho progettato una grande tomba di famiglia che recinge il piccolo cimitero locale. È stato il mio ultimo lavoro e mi ha impegnato fino alla morte. E oltre.

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