Lettori fissi

18/09/20

SI è Siena

 


SI è Siena | 2005

 

Siena di tre cose è piena.

 

‘Sti pensieri si affastellano in testa al viaggiatore che percorre, intorno alle cinque dopo mangiato, la Esettantasei che unisce i due mari dello stivale. E’ una serata fredda. Forse la più fredda di questo mese dedicato ai regali, alle riflessioni e ai pensieri. E allora un regalo, una riflessione e un pensiero.

“Chissà se il telefonino della tre che ho preso alla Silvia sarà gradito”.

“Chissà se sarà una bischerata presentarsi insieme a tre semplici bottiglie di vino rosso non griffato  con l’etichetta disegnata apposta e incartate con la repubblica del mese scorso”.

“Chissà se mi ricordo la strada”.

 

La strada è facile dicono loro.

 

“Esci alla prima per la città. Non prendere per il mare e neanche per la città del giglio. Trovi un vialone e vai tutto dritto. Tu non svoltare mai fino ad una rotonda grande. Una rotondona. Mezzo giro e ancora dritto e poi ti ricordi certo perchè ci sei già stato altre volte”. È facile. E infatti mi perdo. Nonostante la tecnologia digitale e il telefonino satellitare. Mi perdo. Chiedo informazioni telefoniche per (vediamo se indovinate) tre volte e finalmente ci sono. Baci e abbracci e poi un poco di seghe mentali che ci si fanno sempre ogni volta. E’un po’ rito. Come gli ebrei che si facevano lavare i piedi dal  padrone di casa prima di cena. Noi ci fa un po’ di robe della mente. E poi via verso le mura costruite quando il paese era forte e faceva un mazzo tanto anche agli abitanti del fiume di Dante

 

Durante il viaggio mi metto zitto e rifletto che Siena di tre cose è piena.

 

Tre come il numero perfetto. Tre come la trinità cristiana. Tre come la triade cinese. Tre come numero primo anche se è il secondo. E tre viene ancora dopo l’uno nella serie di Fibonacci. Tre come i fratelli Marx. Tre come gli  Emerson Lake & Palmer. Tre come gli Experience meglio conosciuti come il gruppo di Hendrix. Tre come la Formula tre legata a Battisti. Tre come Aldo Giovanni e Giacomo. Tre come il trio Medusa. Tre come il mio numero preferito da piccino. Poi ho cambiato in quattro come i Beatles e adesso vado per il cinque come i primi Stones.

Ma le riflessioni finiscono nel parcheggio sotto terra davanti all’università di Adolfo. Siamo dentro la cinta. Una strada in salita. Poi una piazzolina con davanti un vecchio edificio spettacolare. Ancora strade in salita. Tortuose come il carattere degli abitatori della città. L’ultima via è tutta diritta. Si spara a  fittone verso la chiesa a strisce bianco e verde. In piazza c’è un misero alberello di natale. Ignobile come la tradizione dell’albero. Mica siamo del nord.

 

Noi.

 

Noi siamo nel mezzo del mare nostro e se proprio dobbiamo ragionare di nascita eccetera. Buttiamoci perdindirindina sul presepio. Fortunatamente si scansa l’albero e ci si fionda a pesce dentro l’atrio del Pellegrinaio dove ci sono delle dipinture su fresco che da sole valgono la visita. Siamo in Santa Maria della Scala. Nell’atrio ci sono poche persone infreddolite.

Una di queste ci accoglie con: “… prego … signori … biglietti prego”. Io rimango spiazzato. Avevo notizie che stavamo per fare una visita, come si dice, a gratis ma faccio buon viso a cattivo gioco e metto mano al denaro. Poi per fortuna tutto rientra. Il tipo mica era il bigliettaio ma anzi un nostro compagno di viaggio. Un sessantenne con gli anni portati bene e battezzato col cognome di un difensore dell’Internazionale dei primi dell’ottanta. Anzi poi mi raccontano che di anni ne ha ottanta e passa. Accipicchiolina.

 

Ma ora basta.

 

E l’ora della visita all’esposizione. Il titolo racconta del nascere in quei territori e non mi pare il caso di aggiungere altro perché questa novella racconta altro. Magari due robe le metto in fila. Tipo l’allestimento che, non per piaggeria, mi pare buono tendente in su. Indovinato il colore delle pareti. Ottima la grafica con le scritte giganti in cima ai muri di ogni sezione. Mi ha incuriosito la sala dei biberon e terrorizzato quella dei forcipi. La visita è finita gli amici se ne vanno. Se ne vanno a cena in un posto li vicino. Un posto che ha a che fare con i preti e con l’ultimo boccone.

 

Buoni il posto, il mangiare e la compagnia. Yes.

 

La pagina sta per finire e io di  solito scrivo sempre novelle di una faccia o poco più. La maestra di lettere alle medie mi chiamava Pipino il breve perché al momento del tema in classe duravo una fatica bestia a svoltare (con le parole si intende) il primo foglio protocollo. E visto che la pagina è in fondo è l’ora di chiudere il pezzo per la stampa. Prima però un ricordo (mio) dei primi anni settanta.

Ricordo che le prime volte che mi capitava di andare al mare con gli amici si faceva la gara delle targhe. E mi colpì molto un adesivo sopra ad una centoventisette Bluette.

 

Era di forma ellittica.

Tutto bianco con una scritta rossa al centro che faceva pressappoco così: “Sièsiena”. Ecco allora Siena che di tre cose è piena.

 

Amici 3.         

 

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