Lettori fissi

01/07/21

Fermata

Fermata | 2021 Son stata costruita dal fabbro di Ponte agli Stolti. Che a quel tempo: la fine dei settanta, vinse l’appalto per realizzarne centocinquanta come me più altrettante gemelle. L’artigiano non aveva troppa pratica di appalti pubblici ma era rimasto senza lavoro. Aveva due operai e un apprendista da pagare tutti i mesi ed era un tipo preciso e padre di famiglia. Ergo assunse il lavoro col ribasso del sessanta e zero quattro per cento. Praticamente alle spese o poco più. Appena comincio l’opera si rese conto di un altro errore. Questo forse anche peggio del primo. Con le macchine e la forza lavoro che possedeva non sarebbe mai riuscito a stare nei tempi di consegna. Allora si dovette raccomandare all’amico del paese accosto che aderì, devo dire malvolentieri, per lo stesso prezzo dell’appalto principale con il solo sovraprezzo di un maiale lavorato che il nostro incauto appaltatore aveva appena messo sotto sale. Questo per dire che l’operazione nacque sotto i peggiori auspici. Alla fine comunque il costruttore consegnò. In qualche modo e con qualche difetto ma onorò il contratto compreso il dieci per cento richiesto in più come riserva “… non si sa mai ci fossero cedimenti improvvisi o altre manchevolezze”. Questo aveva stabilito il mega direttore grand ufficiale generale e quanto altro all’atto della firma. Trecentotrenta quindi e allo stesso prezzo. Ma così è la vita. Io che son “Fermata” per chi viene dalla Stazione Smn, traguardo di rimpetto la mia gemella definita “Salita” per chi si reca in centro, son una delle difettate. A tutta prima appena fatta non si vedeva la magagna che è venuta fuori piano piano nel corso dei mesi a seguire. Il piccolo cretto in alto, all’attacco con la lamiera gialla porta numero, si apre impercettibilmente ogni giorno. Adesso dopo tre anni e passa che son piazzata il segnale della fermata denuncia la sua piegatura tendente al basso. E ancora nessun ispettore della manutenzione si è accorto. Boh. Magari una volta o l’altra finisco per terra. Non oggi però. Stamani ero, dove son sempre per altro, ferma impalata in attesa dell’arrivo del mezzo quando un paio di giovani poco oltre i venti si avvicinano, mi toccano e palpano come veri intenditori di manufatti metallici. Poi il primo attacca a ragionare di un risotto alla salsiccia da proporre stasera ai commensali prima della finale. L’altro, concentrato a lisciarmi tutta, dal basso verso l’alto, pare preoccuparsi più di un cartellone dove vergare a mano una frase strana che ha a che fare con il nome del paese da cui provengo e che è scritto stampatello in corpo sei nell’adesivo attaccato alla base. Nel frattempo ne sono arrivati altri due. Anche questi provengono dall’ingresso poco di fronte: via Pagnini n. 1, rialzato destro. Anch’essi allungano le mani per tastarmi tutta. Ma che c’avranno mai? A me fa anche piacere che nonostante le stagioni mi sento ancora piacente e di sicuro tornerei come nuova se solo quei disgraziati dei controllori mi segnalassero al pittore dell’officina. Poi quello vestito con la maglia della nazionale mi dice sottovoce. Rivolto al disco numerato col sei. “Stasera cocca se si vince e fai la brava ti si porta in giro per i viali e ti si usa come bandiera. Chissà come dev’essere sventolar a mò di bandiera la palina della fermata”. E via con battute siffatte che solo loro trovavano divertenti. Io no di certo. “Ma stai zitto”. Irrompe il quarto, quello che appare più posato. “Pensa invece a preparare il risotto che hai promesso agli ospiti” -mentre i quattro orientano la capoccia verso la cima del paletto e si producono nel più ebete dei sorrisi continua- in fin dei conti quello che veramente conta in questi frangenti è il proverbio che noi onoriamo spesso e volentieri”. Tutti all’unisono. “Il riso abbonda nella bocca degli Stolti”.

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