Lettori fissi

14/01/21

Orme

 

Orme | 2020

Volo. 

Volo perché è il mio mestiere; sia per lavoro che passatempo.  Lo faccio con modalità predefinita come voi che respirate senza pensare di doverlo fare. Non so come e neanche perché ma appena sono operativo devo alzarmi per l’aere e schizzar via. Veloce come il vento.  Mi riconoscete dal rumore caratteristico. Se abitassi un fumetto  l’artista mi disegnerebbe vicino una nuvoletta con dentro “… Zzz … Zzz … Zzz …”.

 

Invece vivo il mondo reale e stamani ho ricevuto un incarico.

 

Me l’ha scritto in faccia e inciso in memoria il mio istruttore: “Mettici il tempo che ci vuole ma trovale”.  Poi mi ha liberato. Per un poco ho vagato sopra alla città godendo della vista dei vostri manufatti e del mirabile rapporto che, soprattutto nei tempi andati, siete riusciti a stabilire tra architettura, natura e ambiente: alberi e piazze, fontane e palazzi, parchi e cattedrali, annessi e connessi.

 

Insomma il paesaggio dell’italico stivale.

 

E per l’appunto stamani sto perlustrandone un pezzo. Più in precisione sono nella parte alta del tacco poco sotto lo sperone. Appena fuori dell’abitato mi son diretto verso il levar del sole. Il mare a poco più di un tiro di schioppo. Rallento sensibilmente per individuare le tozze sagome del Poligrafico.

 

“Click …” rumoreggia il led mentre il colore della speranza mi invade completamente.

 

Il complesso è gigantesco. Le informazioni, caricate in precedenza, raccontano  di una superficie di settanta  ettari , forse anche più, a destinazione produttiva con una ventina di fabbricati e servizi oltre ad una grande area adiacente che misura oltre trenta ettari; adesso incolta e con edifici diroccati;  un tempo adibita a cartiera e durante la guerra, a centro chimico militare per la produzione di gas mortali.

 

Un bel posticino per davvero.

 

Un luogo dove è in atto una grande rivoluzione mentale prima che urbanistica. L’area ove insiste il progetto del mio maestro e dei suoi accoliti. I giochi sono ormai fatti nel senso che idee , disegni e testi sono in gran parte  finiti e difficilmente modificabili . Oddio a dire il vero stanotte l’ho sentito confabulare sul tavolo da disegno. Stava riordinando le ultime idee  - “… lui sostiene che le ultime son le meglio …” – e non s’è accorto di me che lo spiavo con discrezione assoluta. E poi a dirla tutta mi ha conferito, in sottordine, un altro incarico estremamente semplice.

 

“Per piacere mentre stai in volo fai una simulazione virtuale del progetto”.

 

Questo adesso sto facendo. Passaggio lento, acquisizione di file video e sovrapposizione animata del parco. “… Zzz … Zzz … Zzz …” Poi ci caccio uomini e donne, animali e mezzi di trasporto. E come se fossi un regista  del tempo che fu mi faccio esplodere in testa la frase: “Ciak .. si gira”. E la scena si anima. Tutti in movimento compreso gli agenti atmosferici e il resto. Lo spettacolo non ha uguali. È come una pellicola in tre dimensioni proiettata sulla paglia dei campi con in più il fatto che, alla bisogna, ci si può veramente infilar dentro e modificarla. Mi ci balocco per una buona mezzora e poi il “Bip” del tempo quasi scaduto mi avverte dell’ora del rientro. Quindi stacco gli strumenti, serbo la registrazione e via.

 

Tolgo il silenziatore e metto il turbo: “Zoom”.

 

In un lampo lampante sono sul tavolo del laboratorio. Quello in ciliegio, novanta per trecento, col piano scorniciato a becco di civetta. Sono in pausa e in ricarica batteria. Il tecnico mi ha estratto il pezzo di memoria delle ultime ventiquattro ore. Il capo le scorre in modalità “avanti veloce per quattro” fino al primo passaggio volante sui luoghi incriminati. Dopo di ché rallenta i fotogrammi fino ai canonici “24 Fps” in modo da godersi la simulazione animata con gli ologrammi degli umani e dei volatili compreso il Falco grillaio padrone indiscusso di queste terre. Alla fine del filmato spegne il proiettore e si gira verso di me. Ha la faccia sorridente del bonaccione portatore di buone notizie. Scorre verso di me sulla sedia ergonomica dotata di cinque rotelline, joystick ultimo modello, freno a disco e Beretta 25 col colpo in canna. Intanto muta espressione e indossa quella burbera e inalberata della brutte domande. Raddoppia il volume corporeo, grugnisce e si trasforma in qualcosa di mostruosamente cattivo con la pelle verde e tutto quello che potete immaginare.

 

Si avvicina fin quasi a toccarmi l’ala e mi gela l’olio motore con la frase che di seguito riporto.

 

“Caro il mio R2D2 Flying adjascoltami bene e rispondi con precisione. Ricordi il primo ordine? Lascia  perdere il progetto, video, realtà virtuale, ologramma e pennuti: fesserie. Concentrati sul comando iniziale e dimmi del Tratturo. M’interessa solo di quello”.

Adesso c’ho il pallino in mano. Ci vuole una risposta intelligente che mi salvi le eliche e il resto.

 

“Beh. Il tratturo attende  dell’armento le orme”.

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