Orme | 2020
Volo.
Volo perché è il mio mestiere; sia
per lavoro che passatempo. Lo faccio con
modalità predefinita come voi che respirate senza pensare di doverlo fare. Non
so come e neanche perché ma appena sono operativo devo alzarmi per l’aere e
schizzar via. Veloce come il vento. Mi
riconoscete dal rumore caratteristico. Se abitassi un fumetto l’artista mi disegnerebbe vicino una
nuvoletta con dentro “… Zzz … Zzz … Zzz …”.
Invece vivo il mondo reale e stamani
ho ricevuto un incarico.
Me l’ha scritto in faccia e inciso in
memoria il mio istruttore: “Mettici il
tempo che ci vuole ma trovale”. Poi
mi ha liberato. Per un poco ho vagato sopra alla città godendo della vista dei
vostri manufatti e del mirabile rapporto che, soprattutto nei tempi andati,
siete riusciti a stabilire tra architettura, natura e ambiente: alberi e piazze,
fontane e palazzi, parchi e cattedrali, annessi e connessi.
Insomma il paesaggio dell’italico stivale.
E per l’appunto stamani sto
perlustrandone un pezzo. Più in precisione sono nella parte alta del tacco poco
sotto lo sperone. Appena fuori dell’abitato mi son diretto verso il levar del
sole. Il mare a poco più di un tiro di schioppo. Rallento sensibilmente per
individuare le tozze sagome del Poligrafico.
“Click …”
rumoreggia il led mentre il colore della speranza mi invade completamente.
Il complesso è gigantesco. Le
informazioni, caricate in precedenza, raccontano di una superficie di settanta ettari , forse anche più, a destinazione
produttiva con una ventina di fabbricati e servizi oltre ad una grande area
adiacente che misura oltre trenta ettari; adesso incolta e con edifici
diroccati; un tempo adibita a cartiera e
durante la guerra, a centro chimico militare per la produzione di gas mortali.
Un bel posticino per davvero.
Un luogo dove è in atto una grande
rivoluzione mentale prima che urbanistica. L’area ove insiste il progetto del
mio maestro e dei suoi accoliti. I giochi sono ormai fatti nel senso che idee ,
disegni e testi sono in gran parte
finiti e difficilmente modificabili . Oddio a dire il vero stanotte l’ho
sentito confabulare sul tavolo da disegno. Stava riordinando le ultime
idee - “… lui sostiene che le ultime son le meglio …” – e non s’è accorto
di me che lo spiavo con discrezione assoluta. E poi a dirla tutta mi ha
conferito, in sottordine, un altro incarico estremamente semplice.
“Per piacere mentre stai in volo fai una simulazione virtuale del
progetto”.
Questo adesso sto facendo. Passaggio
lento, acquisizione di file video e sovrapposizione animata del parco. “… Zzz … Zzz … Zzz …” Poi ci caccio
uomini e donne, animali e mezzi di trasporto. E come se fossi un regista del tempo che fu mi faccio esplodere in testa
la frase: “Ciak .. si gira”. E la
scena si anima. Tutti in movimento compreso gli agenti atmosferici e il resto.
Lo spettacolo non ha uguali. È come una pellicola in tre dimensioni proiettata
sulla paglia dei campi con in più il fatto che, alla bisogna, ci si può veramente
infilar dentro e modificarla. Mi ci balocco per una buona mezzora e poi il “Bip” del tempo quasi scaduto mi avverte
dell’ora del rientro. Quindi stacco gli strumenti, serbo la registrazione e
via.
Tolgo il silenziatore e metto il
turbo: “Zoom”.
In un lampo lampante sono sul tavolo
del laboratorio. Quello in ciliegio, novanta per trecento, col piano
scorniciato a becco di civetta. Sono in pausa e in ricarica batteria. Il
tecnico mi ha estratto il pezzo di memoria delle ultime ventiquattro ore. Il
capo le scorre in modalità “avanti veloce
per quattro” fino al primo passaggio volante sui luoghi incriminati. Dopo
di ché rallenta i fotogrammi fino ai canonici “24 Fps” in modo da godersi la simulazione animata con gli
ologrammi degli umani e dei volatili compreso il Falco grillaio padrone indiscusso di queste terre. Alla fine del
filmato spegne il proiettore e si gira verso di me. Ha la faccia sorridente del
bonaccione portatore di buone notizie. Scorre verso di me sulla sedia
ergonomica dotata di cinque rotelline, joystick ultimo modello, freno a disco e
Beretta 25 col colpo in canna. Intanto muta espressione e indossa quella
burbera e inalberata della brutte domande. Raddoppia il volume corporeo,
grugnisce e si trasforma in qualcosa di mostruosamente cattivo con la pelle
verde e tutto quello che potete immaginare.
Si avvicina fin quasi a toccarmi
l’ala e mi gela l’olio motore con la frase che di seguito riporto.
“Caro il mio R2D2 Flying adj … ascoltami
bene e rispondi con precisione. Ricordi il primo ordine? Lascia perdere il progetto, video, realtà virtuale,
ologramma e pennuti: fesserie. Concentrati sul comando iniziale e dimmi del
Tratturo. M’interessa solo di quello”.
Adesso c’ho il pallino in mano. Ci
vuole una risposta intelligente che mi salvi le eliche e il resto.
“Beh. Il tratturo attende
dell’armento le orme”.
Nessun commento:
Posta un commento