Lettori fissi

21/05/20

L'erba alle bestie



L’erba alle bestie | 2005

Arrivano a frotte di primo mattino.

Sciamano da sottoterra come formiche. Parcheggiano la carrozza nel sottosuolo ed escono da quei due piccoli edifici in pietra messi sul limite della piazza e tangenti alla strada. Si recano al lavoro nelle botteghe del centro.

Poco prima del levar del sole sono arrivati invece gli erbivendoli.

Son venuti dalla campagna con i loro carretti trainati da cinquanta e più cavalli. Si sono posizionati fuori del mercato coperto lì di fronte. Si son messi sotto alle tettoie e hanno incominciato lo scarico e l’accomodamento delle merci. In questi giorni di fine settembre l’insalata è speciale. E ancora si trovano i pomodori. Quelli grossi e tondi da mangiare conditi sul piatto. E poi zucchine e carote; sedani e cipolle; patate novelle e pedanciani.

Un trionfo di verdura per le vostre tavole.

E poi; proprio come veri bottegai; arrivano i mercanti del mercatino. Ne avevo sentito parlare qualche tempo fa da Nello che mi si era posato sulla spalla. Mi raccontava che: “… pare… si dice … si vocifera che … il mercatino delle pulci di piazza de’ Ciompi debba essere spostato in altra luogo”.

Evidentemente Nello il fringuello aveva ragione.

Ecco qui i mercanti delle pulci. Arrivano alla spicciolata e aprono i bandoni di legno delle loro casette. Sono in trentatre come i Trentini che entravano a Trento trotterellando. Trentatre come le botteghe. Ognuno apre lo sporto e comincia ad allestire il suo spazio. Chi accomoda le cassette con i libri usati e chi mette fuori il tavolo da restaurare; chi spolvera le ceramiche e chi lucida gli ottoni. Rigattieri. Venditori di roba piccola. Mercanti delle pulci. E magari in qualche capannuccia ce ne sono di vive.

Le pulci intendo.

E buon ultimi gli scrivani che abitano il nuovo edificio laggiù in fondo vicino alla scuola. Tutti trafelati con le loro borse di cuoio salgono in fretta le scale e si piazzano nei loro cubicoli a far conti e a scriver lettere oppure a mandar piccioni virtuali ad altre persone che fanno il loro stesso mestiere ma dall’altra parte del mondo. Arrivano nel mentre la campana della chiesa in fondo a via della Mattonaia batte nove rintocchi. Intanto i commessi della libreria tirano su le tende e si apprestano alla vendita dell’ultima novità editoriale mentre l’oste della vicina osteria prepara le colazioni e comincia pensare a preparare il desinare.

Sono le nove e la piazza si comincia ad animare.

Il sole settembrino comincia a scaldar la mente, lo spirito e anche il corpo. Anche il mio che è tutto di bronzo come le sculture che facevo un tempo. Lorenzo Ghiberti artista mirabile. Questo è inciso nel basamento di pietra che mi solleva e mi consente di veder le cose dall’alto. Da quassù, saranno cinque metri e oltre, si vede un’altra città. La prospettiva schiaccia le persone e gli animali e le cose. Ci si sente distaccati dal normale scorrere degli eventi.

Ci si sente spettatori della piazza.

Mentre la sotto voi vivete noi si guarda. Dico noi pensando alle altre presenze; di bronzo e di marmo, di pietra e di ferro sparse per la città. La notte ci si parla aiutati dal vento e dagli uccelli. Ci si racconta di quando si era di carne e ossa. E poi certe volte, troppo di rado devo dire, si scende dal piedistallo e ci incontra e magari si ragiona del più e del meno.

E più in la le prime massaie si apprestano ai banchi delle verdura.

Inizia la trattativa sul chilo di mele piuttosto che su tre etti di fagiolini. E a proposito di verdura se i lor  signori gradiscono avrei piacere di raccontare una battuta di alcuni secoli or sono. La scenetta si svolgeva in casa nostra durante i banchetti. La battuta è del nonno. L’introduzione era sempre e immancabilmente della mamma che faceva:  “… che la gradite … ser Bonaccorto …. un pochina di insalata …?” E lui; noto carnivoro; sempre e immancabilmente rispondeva: “… l’erba …? L’erba alle bestie … io mangio la ciccia.”

E noi ragazzi che si rideva a bocca aperta.

E ora tutto questo gran parlare mi ha fatto venire un certo languorino. Anzi meglio una fame pantagruelica. Ma di roba fresca. La terrina di coccio insieme al sale e agli altri condimenti è riposta nello scomparto segreto sotto la base.

Ora scendo e mi vado a comprar le verdure per fare una bella panzanella.

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