Veduta nel paesaggio, 2012. Ph Sandro Antichi |
La
centrale termoelettrica di santa Barbara, 1954-58 | 2012
L'Italia del secondo dopoguerra ne ha un
disperato bisogno. Soprattutto di quella elettrica per le case, gli opifici e le
città. A tale scopo, nei primi anni cinquanta, alcune organizzazioni promossero
accurate ricerche sui ricchi giacimenti di lignite di Castelnuovo dei Sabbioni
nel Valdarno aretino. Questi giacimenti erano conosciuti e
sfruttati parzialmente fin da tempi passati anche per ricavarne energia
elettrica per mezzo della vecchia centrale dei primi del novecento. Le
prospezioni geologiche sulla capacità mineraria dei terreni e gli studi
tecnologici sui moderni metodi di coltivazione dei giacimenti orientarono l'investimento
verso la costruzione di una centrale termoelettrica di grande potenza; in
origine 250 MW; alimentata dalla lignite estratta dalle limitrofe miniere a
cielo aperto.
La
Società Elettrica Selt-Valdarno e la
Società Romana di
Elettricità individuarono il sito collocandolo in
una vasta area pianeggiante prossima all'abitato di Meleto Valdarno e al villaggio minatori di
Santa Barbara. L'ubicazione fu scelta incrociando diversi parametri tra i
quali: la vicinanza con la miniera e quindi
la facilità di
approvvigionamento del
combustibile, l'ottimo sistema di
comunicazioni sia stradali che ferroviarie e la buona interconnessione con la
rete elettrica nazionale di trasporto dell'alta
tensione. Per il necessario approvvigionamento idrico venne
appositamente realizzato l'invaso di San
Cipriano capace di ben tre milioni di metri cubi.
La
commessa, il coordinamento generale, il progetto esecutivo e la direzione dei
lavori dell'intero impianto fu affidata, nel 1954, a S.A. Brown, Boveri & C. di Baden (CH) a
cui si unirono poi la Babcock & Wilcox di Oberhausen (DDR) e la Tecnomasio
Italiano Brown Boveri di Milano. Per il
progetto delle opere civili fu scelto lo studio di Riccardo Morandi; un
ingegnere di poco più di cinquant'anni nel pieno della maturità professionale.
"Dal
1950, anno che dà inizio al periodo più
fecondo della sua attività, adottò diversi sistemi costruttivi: per i viadotti autostradali, la travata isostatica fu reputata la più
idonea a coprire lunghi tratti, spesso in curva e con scarsa disponibilità di spazio in altezza. Il ponte di Gornalunga,
presso Enna, rappresenta l'esempio di
maggiore luce libera, mentre il viadotto sull'autostrada del Sole, in prossimità di Bologna, lungo
complessivamente più di un chilometro,
si caratterizza per i lunghi sostegni
verticali disposti in fasci, che conferiscono all'opera un effetto
chiaroscurale di notevole interesse."(1)
In
quegli anni realizza o sta lavorando a diverse commesse tra. le quali: la
centrale termoelettrica di Civitavecchia e a quella di Fiumicino nei pressi di
Roma, l'autorimessa delle corriere e il
ponte Amerigo Vespucci di Firenze. E insomma un professionista di successo e un poeta del cemento armato che
negli anni a venire avrà svariati e importanti riconoscimenti
in Italia e all'estero ottenendo
la libera docenza in alcune università
oltre al privilegio di lavorare con Oscar Niemeyer(2) uno degli
architetti fondatori dell'architettura contemporanea.
Tra
la fine del '54 i primi del '55 Morandi
lavora al progetto della Centrale: al fabbricato principale collegato alla
caldaia, ai corpi di fabbrica minori, alle ciminiere alte 100 metri e alla due
torri di refrigerazione. l due corpi in cemento armato sono enormi. Le torri a
ventilazione naturale; di pianta circolare e di forma iperbolica misurano alla
base 65 metri e sviluppano un'altezza di 80. L'interno è magico. Lo spessore
delle pareti segna 15 centimetri. "L'acqua da raffreddare, proveniente
dalla centrale, viene distribuita in un sistema di canalette di legno a circa
10m. di altezza"(3) . Il liquido
finisce nella vasca di raccolta alla base dell'edificio e guarda in alto la
grande apertura per il vapore.
All'edificio principale alto 25 metri, destinato a sala macchine e diviso in tre
settori paralleli, si agganciano i vari corpi necessari al funzionamento della
struttura.
Tutto
l'opificio è un enorme e molto complesso macchinario dove la forma, come si
diceva un tempo, segue la funzione e diventa segnale territoriale in cui
"l'architettura-segno"(4)
modifica il paesaggio.
Nessun commento:
Posta un commento