Ho quarant’anni ma non li dimostro | 2006
Fra un paio d’anni ne ho quaranta ma non li dimostro. Sono stata disegnata da un paio di ingegneri che evidentemente avevano bene in mente la lezione del moderno quando si sono messi al tavolo. Buoni tecnici con in testa un edificio specialistico da costruire lungo una strada importante appena fuori delle mura che hanno fatto la storia della città.
Hoquarantannimanonlidimostro.
Ma che vuole dire storia? Se leggo il vocabolario della lingua italiana compilato da Nicola Zingarelli per i tipi di Nicola Zanichelli editore in Bologna (1968) trovo la definizione di seguito riportata. Stòri a, f. Istoria - ”Narrazione degli avvenimenti pubblici con il giudizio del loro valore e dell’opera degli uomini e con la critica delle testimonianze o fonti”. Sono nata al tempo del vocabolario. Sono storia.
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Sono stata costruita in pieno boom dell’italico stivale. Quando era tutto un fiorire di pilastri e travi; solette e balconi, muri e tetti e facciate. Costruzioni nuove. Nuove e lucenti. Luccicanti e colorate e anche vetrate. Palazzi e fabbriche tirate su velocemente e, in massima parte, senza costrutto. Robe fatte per durare sul momento. Mica come quelle costruite come “… quando le cattedrali erano bianche …”. Tutt’altro.
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Io
per parte mia ho la fortuna di un bello impianto e di una gioiosa destinazione
d’uso. Dentro di me ci hanno fatto
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Son fatta di metallo e di pietra. Le facce che presento alla città sono grandemente vetrate e trasparenti. Chi percorre le mie viscere trova scale sospese e tocca pareti di legno. Una barca di persone ci si è incontrata per almeno una generazione. E tante altre ci han lavorato dentro. Ricordo che una volta, saranno stati i primi del settanta, un ragazzetto di campagna ci venne a chiedere lumi per un fantomatico marchio di uno sconosciuto podere. Voleva produrre un vino a denominazione controllata ma non ne aveva le caratteristiche imprenditoriali. Mi dispiacque molto che non lo potetti accontentare.
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Mi sento un po’ figlia, o almeno nipote di campagna, di illustri padri e precedenti architetture. Di MVDR e ELLECI e anche PJ che han tirato su, in altre parti del globo, edifici vetrati e lucenti con piani liberi e tutto l’ambaradan del moderno. Mi sento allora un poco cittadina del mondo. Un poco global(e) e un poco di campagna.
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Anche se non lo voglio dire troppo in giro gli anni mi pesano. Mi pesano sulle spalle e sulle coperture piane. Sulle facciate di vetro e sulle strutture di ferro. Non nego che avrei bisogno di restauri precisi e puntuali come quelli che operate sugli edifici che chiamate storici e artistici. Anzi sarebbe l’ora.
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E adesso mi preme raccontarvi di una storia che ho sentito mormorare nei miei corridoi alcuni mesi or sono. Due modesti impiegati si raccontavano a vicenda, con frasi spezzate e quasi bisbigliate, dei miei destini. Quasi avessero timore che potessi ascoltarli e non sapendo che tutti gli aggeggi tecnologici che mi hanno infilato dentro mi parlano continuamente. Telefoni e microfoni e computer e telecamere e gli impianti tutti sono collegati al mio corpo. Anzi meglio sono le mie viscere e mi tengono in vita. E mi raccontano che a breve subirò grandi cambiamenti che prevedono aggiunte di volumi e nuove destinazioni in gran parte abitative.
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E se posso esprimere una modesta opinione. E posso. Per Dio se posso visto che si parla di me. Vorrei essere conservata e restaurata. Vorrei continuare ad essere utilizzata per attività speciali. Vorrei continuare a ricever gente da “mane a sera” e non disdegnerei un poco di musica. Ultimamente, per esempio, ascolto la grande musica dei coglitori di cotone e le voci delle sue grandi donne. E poi mi interesso d’arte. Di quella del passato che tanta ne avete dentro le mura e anche di quella contemporanea.
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Magari nella piazzetta davanti e nel parco che mi corona ci potreste suonar concerti. Magari nelle mie stanze ci potreste imbastire delle sale dedicate all’arte. Potrei diventare un grande contenitore delle arti tutte. Arte musica e spettacolo.
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E
permettetemi di presentarmi. Sono
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