Lettori fissi

04/09/20

Deambulando

 


Deambulando | 2020

 

Mi son alzato alle sei.

 

Anticipando la sveglia a carica puntata sulle zero uno. Come sempre da almeno una cinquantina d’anni anche se son a riposo volontario da una trentina. Si lo so che adesso si chiama pensione ma rammento ancora quando, ero ragazzo allora, se ne ragionava come di un periodo transitorio di pochi anni.

 

Per via che di regola prima dei settanta si scriveva il testamento.

 

Gli anni dopo la guerra raccontavano della generazione che aveva combattuto e perso e adesso ricostruiva il paese. Giovani trentenni con genitori cinquantenni che parevano loro nonni. I sessantenni di allora sono paragonabili agli ottantenni d’oggi. In poco più di cinquant’anni l’età media ha fatto uno zompo notevole.

 

Un salto di quindici barra vent’anni e a volte anche di più.

 

Fatto sta che quando mi è arrivata la pensione contavo i cinquantacinque ed ero nel pieno delle forze. Fisico - psichiche e quell’altre che, per decenza, la mia generazione rammenta di rado. Comunque tanto per dire dopo che ho smesso di lavorare  ho avuto tre amanti e due in contemporanea. Son diventato anche nonno di tre solari bambine che abitano, aimè, lontano una cifra. Le vedo, come le loro mamme, solo un paio di volta l’anno per le feste comandate. Le sento invece tutte le sere con l’applicazione WA del nuovo smartphone che mi hanno regalato lo scorso Natale.

 

Ho passato gli ultimi trent’anni baloccandomi nel campo sopra il paese.

 

Tutte le mattine, che piova o nevichi e anche col sole a picco, prima delle otto, sto in pista a trastullarmi con insalata e ravanelli, patate e mele, olive e pomodori. Secondo la stagione. Poi verso le nove arriva la Piera con la colazione, per lo più pane, salumi e a volte verdure, oltre al consueto quarto di rosso.

 

Piera; la compagna di una vita.

Ci siamo veduti e piaciuti in pochi minuti. Io lavoravo alla fornace di mattoni laggiù a San Giovanni  e lei abitava al Ponte alle forche. Rammento la prima volta come fosse ora.

 

“Al passaggio a livello prima del Circolo ci si fronteggia da parti opposte. Io vado di fretta che stamani ho la levata del forno delle tegole. Presumo invece lei no visto i movimenti sincopati del suo piede sinistro che muove come se fosse in pista per la gara di boogie woogie. Mi fissa sorniona vestita con la spolverina nera delle commesse del Pratesi che hanno il turno alle sette e mezzo. Niente da fare l’eleganza è nel portamento mica nei vestiti. E lei lo è.

 

Intanto l’intorno è ingombro di suoni e rumori: girandola, campana e motori.

 

La sbarra è sempre giù e non accenna a salire. Del treno neanche l’ombra. La ragazza batte sempre il tempo in sincopata. Tranquilla dei suoi dieci minuti di anticipo. Viceversa i miei venti accennano ad aumentare. Sono al lavoro da neanche due mesi e mi assale il timore di un licenziamento per il ritardo accumulato. Era l’anno della Costituzione ma i diritti dei lavoratori erano ancora da venire. E ciò significa che chi aveva il lavoro cercava di tenerselo ben stretto.

 

Alle sette e ventitre, con il treno appena partito dalla stazione, prendo la decisione.

 

Inforco la bici e mi lancio sulle verghe. Lo sferragliare della locomotiva annuncia l’arrivo del convoglio. Il macchinista aziona fischi e suoni d’ emergenza. Il casellante salta in piedi e strepita a più non posso. Sospetto che stia salutando me e i miei parenti tutti. Anche i più lontani. Sono a metà del percorso tra le due sbarre bianco rosse quando la ruota della bici si incastra nel binario. Maledizione. Devo scegliere: la bici o io.

 

Scelgo io.

 

Con un balzo arrivo oltre e li ci trovo la ragazza dal piedino ballerino. Incazzata come una iena. Alzo le braccia per difendermi dalle sue leciti rimostranze ma la scopro lanciata in corsa verso il conducente del treno. Che ne frattempo è riuscito a inchiodare prima di fare un frontale con la mia bicicletta. I due iniziano una poco civile discussione mentre mi s’accende una lampadina e s’apre il cuore.

 

Realizzo che mi ama. Ci sposiamo dopo nove mesi”.

 

Lei se n’è andata l’autunno scorso e da allora non sono più lo stesso. Tanto per dire ho dovuto imparare le faccende di casa e un minimo di informazione su cibi e come cucinarli. Lavare è stato facile con la lavatrice ultimo modello e i detersivi monodose. Di stirare non mi interessava prima e tanto meno adesso. Un paio di volte alla settimana viene una ragazza; se si pole chiamare ragazza una signora di cinquanta e più; per le pulizie.

 

Per il resto mi arrangio anche se ogni giorno avrei voglia di andare a trovarla.

 

Poi il giorno dell’Immacolata cado malamente per le strette scale. Si rompono piede, tallone e diversi ossetti collegati di cui non ricordo il nome. Quella serie di fratture scomposte mi costringono in ospedale fino dopo la Befana. Dopo una mesata di riabilitazione nelle palestre della struttura sanitaria mi lasciano libero di tornare a casa.

 

Ritorno a Loro nella casa in pietra di via Roma.

 

Quella davanti all’abitazione di Venturino di cui mi onoro di esser stato buon amico. Ogni tanto lo accompagnavo a risalir il Ciuffenna alla ricerca di tronchi e sassi di fiume; la materia prima dei suoi lavori. Lui portava un grande blocco per disegno ed uno zaino per trasportare il bottino mentre io lo seguivo col saccapane stracolmo di generi  di prima necessità.

 

Poi un giorno venne in casa e mise la Piera in posa.

 

Il suo ritratto di tre quarti fa bella posa di se ogni volta che entro o esco. Stamani c’ho parlato confessandogli dubbi e paturnie. Infine mi son armato di tutto punto per il viaggio e via a piedi per la discesa. Col passo sghimbescio del  formichiere in caccia di prede son scivolato per l’erta fidando della diabolica macchina che mi agevola il camino.

 

“Il deambulatore.

 

Il carrello di ultima generazione è un vero portento i cui punti di forza sono: disegno e finitura, leggerezza e facilità d’uso, adattabilità e dotazioni, ruote indipendenti ammortizzate e freni al manubrio, etico e ecologico considerato che funziona a spinta senza ausilio di motori o altro. Buon ultimo il contametri.

 

Un aggeggio del futuro per una persona del passato”.

 

Assorto in questi pensieri sono arrivato alla fermata del pullman per  Terranuova. Con Piera ci si spostava sulla Panda 4x4 ma da quando mi son rotto non mi han confermato la patente. Ergo mi tocca arrangiarmi col mezzo pubblico che non usavo dalla fine del secolo. Vado al nuovo Centro per la riabilitazione che si trova presso la Casa della salute.

 

Proprio la settimana scorso ho visto la fine di un servizio che ne parlava.

 

È stata da poco aperta una nuova ala su due piani con palestre e depositi. Le immagini davano conto di locali estremamente funzionali e attrezzati di tutto punto. Si vedeva una stanza di ricezione, posizionata tra le due sale, lunga tutto lo spessore trasversale del nuovo edificio che si sviluppa nel retro della struttura principale. Al termine la videocamera indugiava su un gruppo d’invitati; se non ho inteso male gli architetti; che magnificavano lo splendido ingresso in forma d’aula passante a tutt’altezza. Un passaggio che unisce il resede sul verso e allo stesso tempo consente un ingresso indipendente. E poi giù a randa la descrizione tecnica: … facciata continua tutto vetro, … generosi  pacchetti murari, … casa clima, … portico tutt’altezza, … fotovoltaico amorfo, … scritta d’alluminio retro illuminata … facciata ventilata in terracotta, … tetto anche.

 

Devo dire la verità: ciò capito poco.

 

Ma ora bando alle ciance che è l’ora. Sono sceso alla fermata alle 8:45 ed ho appuntamento col fisioterapista alle 9:00. Ergo se da tartaruga mi faccio lepre magari ce la faccio. Saranno duecento metri fino all’ingresso. Ho azzerato il contatore scendendo dal bus. Ai centosettanta arrivo nel piazzale davanti. Giro a sinistra. Stimo ai centottanta, o giù di li, la prossima cantonata. La campana della chiesa della Misericordia e anche quella di Mario (ndr. Santa Maria Nuova) rintoccano fino a nove. Son preciso e puntuale.

 

Non vedo l’ora di svoltar l’angolo.

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