Lettori fissi

15/05/20

Il viandante



Il viandante | 2007

Ricordo bene quando Giovanni me lo disse.

Si era vicino alla strada dei negozi della moda. Anzi meglio. Si era nei pressi di un bidone della mondezza in uno stradino parallelo a via Condotti a Roma. Il nome del vicolo non lo ricordo ma il cassonetto era tutto grigio con il coperchio arancione. Quella della raccolta “all inclusive”. Quello dove cacciate tutto. Alla faccia della raccolta differenziata di gran moda. Alle cinque di mattina quel contenitore è la nostra bottega privata: cartoni di latte avanzato, ossi di bistecca rosicchiati, ortaggi appassiti e frutta battuta. Si signori … la nostra gastronomia apre la mattina presto.

E poi è tutto gratis.

Ma torniamo a Giovanni che mi racconta di questo paese su al nord dove ha bevuto “… un acqua che più buona non ce né”. Io lo prendo sempre in giro e lo canzono spesso visto che nel nostro ambiente è conosciuto come il più grande raccontatore di balle della Capitale. Sarà che è sempre alticcio o forse che ultimamente ha le paturnie e si è messo a fare il mistico. Tipo che ogni volta che ti incontra fa degli strani segni con la mano destra e poi ti sputa addosso il vino che ha in bocca. Come se ti volesse battezzare. Giovanni il Battista lo si chiama. Comunque mi racconta di ‘sto paese e di una fontina con un mascherone che sputa ‘sta acqua buona anzi eccezionale. Veramente. Del nome dell’abitato ricorda solo le ultime tre lettere: …… ICA e poi del fatto che il paese ha a che fare con l’acqua come un bambino che finisce dentro una pozza. E anche che pare sia molto vicino a Bergamo. E mentre lui racconta quel poco che si ricorda mi vengono in testa certi vecchi ricordi e magari è il posto che penso che sia.

Nella mia altra vita ma ci sono stato.

Anzi ci ho abitato per cinque lunghi anni quando lavoravo alla Fabbrica. Ingegnere capo reparto tecnico della ricerca; questa era la mia mansione. Fino al giorno della finale dei Mondiali di Spagna: millenovecentottantadue, 7 luglio, domenica, 25 anni fa. Poi il lunedì ho detto “Basta”. Ho lanciato il cappello per aria e mi son messo a vivere per strada. A fare il barbone direte voi. A fare il viandante rettifico io. Campo per strada senza fissa dimora; la  mia casa è senza pareti ed ha per soffitto il cielo. Ogni tanto mi arrangio con piccoli lavoretti nelle campagne che attraverso. E poi viaggio molto e con tutti i mezzi. Bèh … in verità molto alla pedona. Ed è a piedi che mi muovo; il giorno quattordici del mese di agosto; verso la fonte della buona acqua che si trova in un paese che conosco bene. Ci metto una mesata buona e un po’ di più che tanto non ho fretta. Viaggio leggero con zaino verde militare, il cappello da cow boy ed il bastone di faggio.
Vi risparmio il racconto del mese di viaggio e arrivo al dunque.

Al giorno di arrivo. Al ventuno di settembre quando finisce l’estate. Ieri mi sono fermato nella città dell’Atalanta e son passato dal diurno della stazione delle corriere. Ho ancora una certa dignità e in tasca alcune monete avanzate dall’ultimo lavoro. Ho la segreta speranza di incontrare la Giovanna; la mia fidanzata dei tempi della Fabbrica. E se la trovo la voglio salutare a testa alta. Mi sbarbo la faccia e faccio una doccia. Una bella spolverata ai vestiti e mi guardo allo specchio della sala di aspetto. Sono pronto. Viaggio con l’ultima corriera del pomeriggio e arrivo in piazza Medaglie d’Oro verso le sette di sera. Non ho strumenti per contare il tempo ma udito buono. Scendo dal pullman  al settimo rintocco del campanile della chiesa.

Son tornato.

Adesso mi metto alla ricerca della fonte della buona acqua che mica mi ricordo dove fosse. Anzi non ho mai saputo che ci fosse.

La piazza non mi pare cambiata dall’ultima volta.

C’è sempre il bar con i tavolini fuori e i pensionati a giocare a briscola. E c’è sempre in palio il solito spritz. Le massaie escono in fretta dal portone della casa del Signore per preparar la cena che qui si mangia presto. Alle venti tutti a tavola e poi ci si mette davanti alla scatola delle immagini che ti racconta i fatti del giorno successi in un paese qui vicino. Ti racconta del delitto dell’estate. Della giovane uccisa in casa da chissà chi.
A dire il vero però in piazza ci sono alcune novità.

Sul lato sinistro della chiesa via Marconi è diventata un viale alberato con panche e marciapiedi in pietra. La rotonda in mezzo si è come spostata di alcuni metri. E nel mezzo dello spartitraffico c’è una vasca con getti d’acqua.  E dove prima c’era la rotonda adesso c’è un albero di bronzo. La piazza si è come rialzata di alcuni centimetri e adesso è al livello dei marciapiedi. E poi è tutta pavimentata in pietra quasi che volesse ricordare, alle poche automobili che ci passano, che questo è il posto della gente a piedi. Che le macchine in piazza sono una necessità ma non la regola e quando si transita si chiede permesso. Il sacrato poi si è come allungato ed ha assunto una precisa forma geometrica e le dimensioni di una piazzetta interamente pedonale. Ciondolo per i paraggi e mi accorgo che non riconosco nessuno e nessuno mi riconosce. Evidentemente venticinque anni non sono passati invano.

Sono un perfetto sconosciuto.

La Fabbrica è di certo dietro la curva della scuola anche se, stranamente, non vedo svettare la ciminiera.  E siccome quella parte la conosco bene e sono sicuro che non ci sono fontine, fontane e vasche mi avvio verso il fianco destro della chiesa lungo la salita di via Piave. Ricordavo una stradina stretta da due muri alti e invece trovo un’altra cosa.

Trovo un edificio che, come dire, attraversa la strada.

Tutto in pietra grigia faccia a vista. Muri, pilastri e anche copertura. Una muraglia grezza e molto elegante quasi senza aperture. Ce ne sono solo alcune in alto a sinistra. Ci sono pilastri impazziti nel mezzo vicino al passaggio sopra la strada. E poi ci sono tre strani volumi in aggetto sopra ad una via che si infila sotto terra. I tre volumi sono in acciaio arrugginito con piccole feritoie rettangolari su più lati e una grande apertura che guarda verso nord. A terra c’è un vialetto alberato che mi invita al passeggio. Accetto l’invito e salgo la rampa a destra. Mentre cammino mi affaccio nel vuoto della rampa che finisce dentro quello che immagino sia un parcheggio interrato. Svolto l’angolo e mi trovo davanti una gradinata affollata di giovani che discutono animatamente di un film che andranno a vedere in serata. Il grande stendardo appeso alla capriata della copertura mi racconta della pellicola in visione e mi ricorda i miei anni sessanta. Quando pareva venuto  il momento della “fantasia al potere”. Il tempo della mia gioventù. Quando il giovane avvocato nei panni del grande Jack si accoda dietro a due motociclisti venditori di droga e poi muore sopra al sellino del centauro con il casco a stelle e strisce. Lascio il gruppo e continuo il periplo dell’edificio. Ancora un angolo da svoltare. Ancora muri di pietra con finestre alte. Mi accompagna un filare d’alberi sotto un muro. Poi improvvisamente trovo una grande parete tutta vetrata e una tettoia in metallo. E’ certo l’ingresso. La grande scritta sui vetri dice: auditorium. Non vedo fontane e attraverso la strada all’altezza di una piazzetta che porta al centro un alberone. Sotto ci sono tavolini e sedie e persone a sedere.

Un bar.

Continuo il mio passeggio e svolto di nuovo. Un’altra tettoia e una scritta: centro civico Non ho nessun interesse e manco voglia di guardar dentro e quindi mi avvicino alla piazza che si è aperta improvvisamente sul fianco. Cammino sopra ad una larga striscia di pietra bianca. A sinistra due muraglioni di pietra grigia e di fronte la figura in bronzo di un povero cristo con un bastone in mano. La figura che, vagamente assomiglia a Giovanni, sta sopra un piedistallo di pietra in posizione di viaggio e io mi riposo sedendo un panca sotto alberi che vengono dal sottoterra. Il pavimento della piazza è in pietra grigia con ricorsi e linee impazzite di pietra bianca. Sullo sfondo una grande vasca con zampilli. Sento che sono vicino alla meta. Gironzolo per lo spiazzo e poi scendo uno scalone. Riconosco la strada che ho di fronte: via Marconi. E mentre rifletto che la Fabbrica, evidentemente, ha fatto posto alla piazza e alle case e alla gente la vedo.

La fontina voglio dire.

Quella di cui parlava Giovanni. Quella con “… un acqua che più buona non ce né”. E c’è anche il mascherone. E una scritta in rilievo sulla pietra: “Siste viador, bibe” La mia formazione classica traduce in automatico: ”Fermati viandante e bevi”.

Sono un viandante e allora seguo il consiglio.

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