Lettori fissi

20/02/20

Ritardi



Ritardi | 2004

L’assassino torna sempre nel luogo del delitto.

Questo in sintesi è il pensiero del guidatore dell’auto che fila veloce sulla strada che costeggia la valle. E’ vicino al luogo. Ci torna dopo diciotto mesi esatti dall’ultima volta. Da quando i padroni di casa hanno messo mano ai lavori non è più tornato nel piccolo paese dominato dall’imponente sagoma del castello. Il progettista ricorda a mente la planimetria della casa che ha disegnato ma non conosce le scelte e i dettagli operati dagli esecutori.

Ha fatto fioretto di rivedere la casa solo al momento del suo battesimo.

Le note del sassofono del grande Duca si miscelano alla calda voce nera della magnifica Ella mentre si immagina i gesti compiuti dagli abitatori delle stanze in questo momento. I padroni di casa probabilmente accedono dall’ingresso supplementare al piano mansarda che è in diretto contatto con il giardino. Aperta la porta si trova a sinistra un locale igienico e a destra il ripostiglio-dispensa passante che da accesso alla lavanderia. Il disimpegno conduce direttamente alla scala per scendere al secondo.

Ma se voglio posso girare intorno a due muri.

Quello di sinistra segnala la cucina e quello di destra il posto per mangiare. In cucina si trova tutto l’occorrente per preparare il mangiare compreso la grande stufa a legna e il frigo gigante. Il tavolo in legno di quercia a destra sopporta agevolmente, in posizione di riposo, dodici persone a tavola. Se poi lo voglio ampliare pochi gesti consentono di portare a venti la capienza del desco. Il grande caminetto aperto su quattro lati serve per preparare il cibo ma anche per riscaldare le lunghe serate invernali. Due lati delle stanze principali sono vetrati e guardano di sotto sul vuoto del soggiorno. Il pavimento è di coccio pesto e il soffitto è dipinto di bianco come le pareti. La luce entra dalle piccole finestre di legno dipinto in grigio topo e dai grandi lucernari in copertura.

Intanto il veicolo è giunto al parcheggio vicino alle case nuove.

Il professionista spenge il motore, scende e si avvia sulla strada in pendenza. Magari in questo stesso momento il padrone di casa scende le scale fino al secondo piano. Io siccome sono un ospite suono il campanello sotto l’arcone. La grande vetrata individua un vero ingresso pieno di piante da casa. Una sorta di giardino d’inverno che da accesso al guardaroba e al locale igienico. Saluto e entro. Mi levo la giacca e percorro lo stretto corridoio con il pavimento di pietra bigia come quello dell’ingresso.

Ecco sono in casa.

A destra il grande soggiorno con i divani, la tecnologia e tutto quanto compreso il caminetto a tutta parete dove posso entrare sotto. Sul canto del fuoco il nonno è intento a raccontar novelle ai nipotini. Ma io che sono l’ospite e voglio scoprire la casa continuo il mio giro. Giro intorno ai muri del blocco scale e trovo il posto per i giochi dei grandi. Un grande tavolo che serve anche per le feste che sovente la casa bandisce. Gli scaffali sono addossati alle pareti laterali. Una parete scorrevole nasconde e accede allo studio biblioteca. Qui ci sono i libri; una barca di libri di tutti i generi; e le connessioni per la rete.

Qui sono in contatto con il villaggio globale.

Mi giro e traguardo la parete di fondo; quella con tre finestre; che è dipinta di rosso fuoco mentre le altre; tutte le altre; sono di un bel giallo ocra spento. Pavimento di legno di quercia e soffitti restaurati.  La cucina e il posto per mangiare le vedo dopo quando si mangia. Adesso continuo la mia visita e scendo le scale verso il primo piano accompagnato dal padrone di casa. La prima parete che trovo in fondo alla rampa, omologa a quella rossa del piano di sopra, è tinteggiata di un bel blu cobalto mentre le restanti sono di un tenue verde acqua. A destra la camera degli ospiti. A sinistra un locale di passo: una sorta di anticamera filtrata da uno scaffale con due porte scorrevoli che all’occorrenza diventa ulteriore stanza di riposo quando il divano diventa letto. Qui ritrovo la connessione alla rete internet. Continuo il mio percorso e trovo un altro locale igienico.

Poi il ripostiglio per le scarpe e per le borse.

Centocinquanta per adesso ma il numero  pare destinato a crescere nel corso del tempo. Che si voglia arrivare a battere il record delle cinquemila della Imelda delle Filippine? Ma io non ho questi pensieri e apro la porta della parte più privata della casa. La camera dei padroni. Sulla sinistra un grande scaffale che magari potrebbe contenere l’ampliamento della collezione di pelle da piedi ma per adesso porta un grande schermo tivù. Il letto è sul fondo della stanza. Due porte accedono ai rispettivi guardaroba uomo - donna.

Quello della padrona è finestrato; l’altro no.

Al bagno padronale si accede direttamente dalla camera. C’è il posto per il trucco e la cura del corpo, due lavandini, water e bidet come richiesto. Una vasca – doccia idromassaggio gigante si è fatta spazio occupando la nicchia in fondo. Esco dalla stanza e riprendo le scale a scendere. Mi sa che ho da vedere l’ultimo piano che in realtà sarebbe il piano di appoggio a terra dell’edificio. Strana casa che entra in alto e scende verso il basso. Ma ora pesto al terreno e sbatto la faccia nella parete delle tre porte tinteggiata di un bel verde menta mentre le restanti sono di un azzurro smorto. A sinistra la cantina con il pavimento di pietra grezza; come era e dove era; mi accoglie insieme alle damigiane e alle bottiglie disposte in bell’ordine sugli appositi scaffali fatti con morali e assi di recupero. Vorrei vedere l’altra stanza ma il padrone mi invita a posticipare perché adesso è occupata dalla famiglia tedesca. Risaliamo allora le scale fino in cima dove salutiamo velocemente la massaia intenta alla preparazione della cena. Crostini neri e salumi nostrali; ribollita e cipolla fresca; fritto misto e insalata di campo. Le patate fritte sono per i ragazzi. Una cena grassa e saporita come quelle di una volta. Vino rosso delle vicine colline e acqua di fonte. Il dolce lo portano gli altri invitati.

Io ho pensato al vinsanto e ai cantucci con le mandorle.

Ma adesso usciamo in giardino dove, su uno spiazzo inclinato, fa bella mostra di sé una vecchia “diesse”; lauto dell’ispettore che non riesce mai a imprigionare l’uomo dalla tuta nera e dalla macchina veloce. Marrone scuro metallizzato e cromature rimesse a nuovo. Bellissima. Una piccola rampa a scendere ci conduce verso la pergola. Sotto c’è il tavolo apparecchiato per la festa e vicino il fico dei verdini. Il pollaio è stato recuperato a serra e legnaia mentre la stanza sulla strada è attrezzata per i piccoli lavori domestici. Ripara una finestra; dipingi quella stanza; salda la cancellata.

Una stanza per gli hobby insomma.

Il sole settembrino è già calato e la sera è alle porte. A momenti dovrebbe arrivare la famiglia del progettista e gli altri ospiti. Proviamo a finire il giro e vedere se i tedeschi sono usciti. Ci avviamo lungo la strada pubblica fuori della casa. Adesso siamo di fronte al vecchio ingresso dell’edificio. Una porta al centro e due sporti laterali. Si entra da quello di destra con la chiave d’emergenza. I tedeschi sono usciti. Il tavolino  rotondo a destra con sopra uno spinotto denuncia altre connessioni globali e l’altra fissazione della padrona. Il monolocale è spartano: assoni di quercia per terra e mobili essenziali. Il bagno è sotto le scale e la cucina è nascosta dietro al pannello scorrevole. Usciamo dalla porta sulle scale e torniamo di sopra fino in cima.

Fino alla mansarda.

Ci accompagnano gli scalini di pietra scalpellata e gli intonaci arancio dei muri delle scale. Un segno forte che denuncia le scelte fondamentali del progetto. L’arrivo al secondo piano è salutato dal trillare del campanello della porta di ingresso. Mi sa che sono arrivati gli altri ospiti. In ritardo ma sono arrivati. La festa ha inizio.

Si bagna la casa.

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