Ritardi | 2004
L’assassino torna
sempre nel luogo del delitto.
Questo in
sintesi è il pensiero del guidatore dell’auto che fila veloce sulla strada che
costeggia la valle. E’ vicino al luogo. Ci torna dopo diciotto mesi esatti
dall’ultima volta. Da quando i padroni di casa hanno messo mano ai lavori non è
più tornato nel piccolo paese dominato dall’imponente sagoma del castello. Il
progettista ricorda a mente la planimetria della casa che ha disegnato ma non
conosce le scelte e i dettagli operati dagli esecutori.
Ha fatto
fioretto di rivedere la casa solo al momento del suo battesimo.
Le note del
sassofono del grande Duca si miscelano alla calda voce nera della magnifica
Ella mentre si immagina i gesti compiuti dagli abitatori delle stanze in questo
momento. I padroni di casa probabilmente accedono dall’ingresso supplementare
al piano mansarda che è in diretto contatto con il giardino. Aperta la porta si
trova a sinistra un locale igienico e a destra il ripostiglio-dispensa passante
che da accesso alla lavanderia. Il disimpegno conduce direttamente alla scala
per scendere al secondo.
Ma se voglio posso
girare intorno a due muri.
Quello di
sinistra segnala la cucina e quello di destra il posto per mangiare. In cucina
si trova tutto l’occorrente per preparare il mangiare compreso la grande stufa
a legna e il frigo gigante. Il tavolo in legno di quercia a destra sopporta
agevolmente, in posizione di riposo, dodici persone a tavola. Se poi lo voglio
ampliare pochi gesti consentono di portare a venti la capienza del desco. Il
grande caminetto aperto su quattro lati serve per preparare il cibo ma anche
per riscaldare le lunghe serate invernali. Due lati delle stanze principali
sono vetrati e guardano di sotto sul vuoto del soggiorno. Il pavimento è di
coccio pesto e il soffitto è dipinto di bianco come le pareti. La luce entra
dalle piccole finestre di legno dipinto in grigio topo e dai grandi lucernari
in copertura.
Intanto il
veicolo è giunto al parcheggio vicino alle case nuove.
Il
professionista spenge il motore, scende e si avvia sulla strada in pendenza.
Magari in questo stesso momento il padrone di casa scende le scale fino al
secondo piano. Io siccome sono un ospite suono il campanello sotto l’arcone. La
grande vetrata individua un vero ingresso pieno di piante da casa. Una sorta di
giardino d’inverno che da accesso al guardaroba e al locale igienico. Saluto e
entro. Mi levo la giacca e percorro lo stretto corridoio con il pavimento di
pietra bigia come quello dell’ingresso.
Ecco sono in
casa.
A destra il
grande soggiorno con i divani, la tecnologia e tutto quanto compreso il
caminetto a tutta parete dove posso entrare sotto. Sul canto del fuoco il nonno
è intento a raccontar novelle ai nipotini. Ma io che sono l’ospite e voglio
scoprire la casa continuo il mio giro. Giro intorno ai muri del blocco scale e
trovo il posto per i giochi dei grandi. Un grande tavolo che serve anche per le
feste che sovente la casa bandisce. Gli scaffali sono addossati alle pareti
laterali. Una parete scorrevole nasconde e accede allo studio biblioteca. Qui
ci sono i libri; una barca di libri di tutti i generi; e le connessioni per la
rete.
Qui sono in contatto
con il villaggio globale.
Mi giro e
traguardo la parete di fondo; quella con tre finestre; che è dipinta di rosso fuoco
mentre le altre; tutte le altre; sono di un bel giallo ocra spento. Pavimento
di legno di quercia e soffitti restaurati.
La cucina e il posto per mangiare le vedo dopo quando si mangia. Adesso
continuo la mia visita e scendo le scale verso il primo piano accompagnato dal
padrone di casa. La prima parete che trovo in fondo alla rampa, omologa a
quella rossa del piano di sopra, è tinteggiata di un bel blu cobalto mentre le
restanti sono di un tenue verde acqua. A destra la camera degli ospiti. A sinistra
un locale di passo: una sorta di anticamera filtrata da uno scaffale con due
porte scorrevoli che all’occorrenza diventa ulteriore stanza di riposo quando
il divano diventa letto. Qui ritrovo la connessione alla rete internet.
Continuo il mio percorso e trovo un altro locale igienico.
Poi il
ripostiglio per le scarpe e per le borse.
Centocinquanta
per adesso ma il numero pare destinato a
crescere nel corso del tempo. Che si voglia arrivare a battere il record delle
cinquemila della Imelda delle Filippine? Ma io non ho questi pensieri e apro la
porta della parte più privata della casa. La camera dei padroni. Sulla sinistra
un grande scaffale che magari potrebbe contenere l’ampliamento della collezione
di pelle da piedi ma per adesso porta un grande schermo tivù. Il letto è sul
fondo della stanza. Due porte accedono ai rispettivi guardaroba uomo - donna.
Quello della padrona
è finestrato; l’altro no.
Al bagno
padronale si accede direttamente dalla camera. C’è il posto per il trucco e la
cura del corpo, due lavandini, water e bidet come richiesto. Una vasca – doccia
idromassaggio gigante si è fatta spazio occupando la nicchia in fondo. Esco
dalla stanza e riprendo le scale a scendere. Mi sa che ho da vedere l’ultimo
piano che in realtà sarebbe il piano di appoggio a terra dell’edificio. Strana
casa che entra in alto e scende verso il basso. Ma ora pesto al terreno e
sbatto la faccia nella parete delle tre porte tinteggiata di un bel verde menta
mentre le restanti sono di un azzurro smorto. A sinistra la cantina con il
pavimento di pietra grezza; come era e dove era; mi accoglie insieme alle
damigiane e alle bottiglie disposte in bell’ordine sugli appositi scaffali
fatti con morali e assi di recupero. Vorrei vedere l’altra stanza ma il padrone
mi invita a posticipare perché adesso è occupata dalla famiglia tedesca.
Risaliamo allora le scale fino in cima dove salutiamo velocemente la massaia
intenta alla preparazione della cena. Crostini neri e salumi nostrali;
ribollita e cipolla fresca; fritto misto e insalata di campo. Le patate fritte
sono per i ragazzi. Una cena grassa e saporita come quelle di una volta. Vino
rosso delle vicine colline e acqua di fonte. Il dolce lo portano gli altri
invitati.
Io ho pensato al
vinsanto e ai cantucci con le mandorle.
Ma adesso
usciamo in giardino dove, su uno spiazzo inclinato, fa bella mostra di sé una
vecchia “diesse”; lauto dell’ispettore che non riesce mai a imprigionare l’uomo
dalla tuta nera e dalla macchina veloce. Marrone scuro metallizzato e cromature
rimesse a nuovo. Bellissima. Una piccola rampa a scendere ci conduce verso la
pergola. Sotto c’è il tavolo apparecchiato per la festa e vicino il fico dei
verdini. Il pollaio è stato recuperato a serra e legnaia mentre la stanza sulla
strada è attrezzata per i piccoli lavori domestici. Ripara una finestra;
dipingi quella stanza; salda la cancellata.
Una stanza per
gli hobby insomma.
Il sole
settembrino è già calato e la sera è alle porte. A momenti dovrebbe arrivare la
famiglia del progettista e gli altri ospiti. Proviamo a finire il giro e vedere
se i tedeschi sono usciti. Ci avviamo lungo la strada pubblica fuori della
casa. Adesso siamo di fronte al vecchio ingresso dell’edificio. Una porta al
centro e due sporti laterali. Si entra da quello di destra con la chiave
d’emergenza. I tedeschi sono usciti. Il tavolino rotondo a destra con sopra uno spinotto
denuncia altre connessioni globali e l’altra fissazione della padrona. Il
monolocale è spartano: assoni di quercia per terra e mobili essenziali. Il
bagno è sotto le scale e la cucina è nascosta dietro al pannello scorrevole.
Usciamo dalla porta sulle scale e torniamo di sopra fino in cima.
Fino alla
mansarda.
Ci accompagnano
gli scalini di pietra scalpellata e gli intonaci arancio dei muri delle scale.
Un segno forte che denuncia le scelte fondamentali del progetto. L’arrivo al
secondo piano è salutato dal trillare del campanello della porta di ingresso.
Mi sa che sono arrivati gli altri ospiti. In ritardo ma sono arrivati. La festa
ha inizio.
Si bagna la
casa.
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