Lettori fissi

09/07/20

Pezzo di legno





Pezzo di legno | 2011

Storia di un burattino
“Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.”
Carlo Lorenzini, cap. 1°, 1877


La conoscenza è il contrario dell’ignoranza.

E per un pischello dei primi anni sessanta la bottega del nonno è il sapere dell’antico mestiere. Li ci passa le lunghe giornate estive in compagnia del fratello. Nel laboratorio del legno ci va a giocare e a scartare i regoli delle persiane e anche e soprattutto a far confondere il parente. L’officina è la sua prima scuola e il banco è il suo primo tavolo da disegno.

Il manufatto è vecchio e malandato come il suo padrone.

Il piano da lavoro è assai pesante e robusto. È lungo due metri e mezzo, largo sessantacinque e spesso una decina di centimetri. È fatto tutto di legno massiccio con quattro grandi gambe inclinate collegate da traversi in guisa di tiranti di collegamento. Per lavorar sul piano il ragazzo deve salire sopra allo sgabello.

Li sopra si diverte a girare il vitone di una delle due morse.

Quando il titolare dell’attività s’inalbera di brutto il figliolo si sposta dall’altra parte e traffica con gli attrezzi riposti nella scanalatura di sinistra. Quando poi il Bruno anziano va a montare le persiane quello giovane prende le consegne della bottega. Diventa “padron del baccellaio” e sale sopra al ripiano a baloccarsi con la raspa o a infilar perni di legno dentro a uno dei quattro fori quadrati che forano la lastra di quercia. Il bancone e la bottega si trovano nel “Colcitrone”; il quartiere più popolare, povero e antico della città.

Da quel pezzo di legno comincia l’esperienza del nostro disegnatore di mobili e case e cose. Sopra a quel panchetto  impara i vari sistemi di fissaggio e di finitura e anche i molteplici tipi di legname. Quest’insegnamenti li travasa nella professione quando comincia il mestiere d’architetto.

Il funzionamento dei giunti, l’unione dei materiali e la fissa del dettaglio l’ha di sicuro imparata allora. L’altro giorno ho avuto la ventura di visitare alcune case disegnate dal ragazzo con la barba. Son passati una quarantina e passa d’anni ma la voglia di esperimentare è rimasta la stessa.

Della prima; una costruzione di sana pianta contemporanea; mi è rimasto in mente il porticato a tutto volume del fronte. E di questo il soffitto. Sarà lungo una ventina di metri per duecentocinquanta centimetri. La struttura è di cemento armato a vista. Il rivestimento è di legno intarsiato secondo un motivo geometrico che discende dalla geometria del triangolo. Dal basso apprezzo l’eleganza del connubio tra le due essenze: frassino per il fondo e olmo sbiancato per le seghettature che si rincorrono senza soluzione di continuità a formare il decoro. Del dentro ricordo un paio di muri ornati dall’amico Roberto; artista di poche parole e molti fatti; e tre tavoli proporzionati sul rettangolo aureo. Trattatasi di pezzi replicati da un unico modello che ha il suo punto di forza negli intarsi del piano. Faggio per le strutture portanti e almeno cinque essenze di legno per le tarsie.

Le altre due abitazioni son piuttosto dei palazzi storici dove il progetto dell’architettura si è concentrato sul restauro e su alcune invenzioni sugli spazi, sull’uso dei materiali di finitura e sulla scelta ragionata di mobili e oggetti di buon disegno. Anche qui rammento alcune pareti ingentilite dalle opere dell’artista. E poi diversa mobilia, soprattutto contenitori e tavoli, costruita appositamente. E di quest’ultimi provo a raccontarne un paio. Quelli; a modesto parere; venuti meglio.

Il primo sta dentro una stanza quadrata voltata da una crociera.  Il piano è di cristallo circolare del diametro di centosessanta o giù di li. Le tre zampe che lo sorreggono son la trovata del designer di razza. Tre morali di noce nazionale sono connessi tra loro secondo una forma spaziale che ricorda un “cavallo di Frisia”. In realtà ogni travicello è composto nove listelli incollati e giuntati con perni incastrati.

Il secondo è al centro della cucina che è congegnata sul modello della casa colonica. Il locale è molto semplice. Una grande parete vetrata occupa un lato. A destra il blocco per cucinare in laminato e acciaio, a sinistra l’interpretazione contemporanea della madia in frassino scuro e nel mezzo il tavolo rettangolare. Anche questo, come molte realizzazioni, discende dalla geometria del quadrato. Anzi del cubo. Ne sono occorsi sedici per i quattro sostegni più novantasei per il piano. Tutto legno massello di acero montato a disegnare una specie di grande scacchiera.

Qui i riferimenti si fanno ancora più sottili, colti e contemporanei.

Non so a voi ma a me ricorda l’immagine di un campo di olivi con tanto di buoi e contadino a badarli. Al centro della fotografia ci sono diversi ragazzi che giocano sopra a certi mobili di laminato disposti alla rinfusa sopra all’erba.

Son sicuro che l’anno dello scatto è il settanta.

Non ricordo invece il disegnatore e neanche il nome o l’azienda produttrice. Sono altrettanto sicuro che il Benci lo saprebbe.


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