Pezzo di legno | 2011
Storia
di un burattino
“Non era un legno di lusso, ma un semplice
pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei
caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.”
Carlo Lorenzini, cap. 1°, 1877
La
conoscenza è il contrario dell’ignoranza.
E per un
pischello dei primi anni sessanta la bottega del nonno è il sapere dell’antico
mestiere. Li ci passa le lunghe giornate estive in compagnia del fratello. Nel
laboratorio del legno ci va a giocare e a scartare i regoli delle persiane e
anche e soprattutto a far confondere il parente. L’officina è la sua prima
scuola e il banco è il suo primo tavolo da disegno.
Il
manufatto è vecchio e malandato come il suo padrone.
Il piano da
lavoro è assai pesante e robusto. È lungo due metri e mezzo, largo
sessantacinque e spesso una decina di centimetri. È fatto tutto di legno
massiccio con quattro grandi gambe inclinate collegate da traversi in guisa di
tiranti di collegamento. Per lavorar sul piano il ragazzo deve salire sopra
allo sgabello.
Li sopra si
diverte a girare il vitone di una delle due morse.
Quando il
titolare dell’attività s’inalbera di brutto il figliolo si sposta dall’altra
parte e traffica con gli attrezzi riposti nella scanalatura di sinistra. Quando
poi il Bruno anziano va a montare le persiane quello giovane prende le consegne
della bottega. Diventa “padron del baccellaio” e sale sopra al ripiano a
baloccarsi con la raspa o a infilar perni di legno dentro a uno dei quattro
fori quadrati che forano la lastra di quercia. Il bancone e la bottega si
trovano nel “Colcitrone”; il quartiere più popolare, povero e antico della
città.
Da quel
pezzo di legno comincia l’esperienza del nostro disegnatore di mobili e case e
cose. Sopra a quel panchetto impara i
vari sistemi di fissaggio e di finitura e anche i molteplici tipi di legname.
Quest’insegnamenti li travasa nella professione quando comincia il mestiere
d’architetto.
Il
funzionamento dei giunti, l’unione dei materiali e la fissa del dettaglio l’ha
di sicuro imparata allora. L’altro giorno ho avuto la ventura di visitare alcune
case disegnate dal ragazzo con la barba. Son passati una quarantina e passa
d’anni ma la voglia di esperimentare è rimasta la stessa.
Della
prima; una costruzione di sana pianta contemporanea; mi è rimasto in mente il
porticato a tutto volume del fronte. E di questo il soffitto. Sarà lungo una
ventina di metri per duecentocinquanta centimetri. La struttura è di cemento
armato a vista. Il rivestimento è di legno intarsiato secondo un motivo
geometrico che discende dalla geometria del triangolo. Dal basso apprezzo
l’eleganza del connubio tra le due essenze: frassino per il fondo e olmo
sbiancato per le seghettature che si rincorrono senza soluzione di continuità a
formare il decoro. Del dentro ricordo un paio di muri ornati dall’amico
Roberto; artista di poche parole e molti fatti; e tre tavoli proporzionati sul
rettangolo aureo. Trattatasi di pezzi replicati da un unico modello che ha il
suo punto di forza negli intarsi del piano. Faggio per le strutture portanti e
almeno cinque essenze di legno per le tarsie.
Le altre
due abitazioni son piuttosto dei palazzi storici dove il progetto
dell’architettura si è concentrato sul restauro e su alcune invenzioni sugli
spazi, sull’uso dei materiali di finitura e sulla scelta ragionata di mobili e
oggetti di buon disegno. Anche qui rammento alcune pareti ingentilite dalle
opere dell’artista. E poi diversa mobilia, soprattutto contenitori e tavoli,
costruita appositamente. E di quest’ultimi provo a raccontarne un paio. Quelli;
a modesto parere; venuti meglio.
Il primo
sta dentro una stanza quadrata voltata da una crociera. Il piano è di cristallo circolare del
diametro di centosessanta o giù di li. Le tre zampe che lo sorreggono son la
trovata del designer di razza. Tre morali di noce nazionale sono connessi tra
loro secondo una forma spaziale che ricorda un “cavallo di Frisia”. In realtà
ogni travicello è composto nove listelli incollati e giuntati con perni
incastrati.
Il secondo
è al centro della cucina che è congegnata sul modello della casa colonica. Il
locale è molto semplice. Una grande parete vetrata occupa un lato. A destra il
blocco per cucinare in laminato e acciaio, a sinistra l’interpretazione
contemporanea della madia in frassino scuro e nel mezzo il tavolo rettangolare.
Anche questo, come molte realizzazioni, discende dalla geometria del quadrato.
Anzi del cubo. Ne sono occorsi sedici per i quattro sostegni più novantasei per
il piano. Tutto legno massello di acero montato a disegnare una specie di
grande scacchiera.
Qui i
riferimenti si fanno ancora più sottili, colti e contemporanei.
Non so a
voi ma a me ricorda l’immagine di un campo di olivi con tanto di buoi e
contadino a badarli. Al centro della fotografia ci sono diversi ragazzi che
giocano sopra a certi mobili di laminato disposti alla rinfusa sopra all’erba.
Son sicuro
che l’anno dello scatto è il settanta.
Non ricordo
invece il disegnatore e neanche il nome o l’azienda produttrice. Sono
altrettanto sicuro che il Benci lo saprebbe.
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