Lettori fissi

09/04/20

Il cartografo




Il cartografo | 2003-04

Tornava a casa. Finalmente.

Era partito con la prima ondata nel primo dopoguerra. Per mesi la mamma gli aveva raccontato; stregata dal biondo soldato della libertà che gli aveva promesso casa e affetto; del fantastico paese che avrebbero vissuto. Delle sue sterminate pianure e dei suoi deserti. Dei suoi antichi abitanti nomadi e dei suoi animali saltatori. Della sua nuova vita. Sapeva con sicurezza; per aver sbirciato un foglietto spiegazzato nascosto in colombaia; che il babbo non sarebbe più tornato. I suoi poveri resti raccolti in una cassa di legno nelle sperdute regioni di un altro paese. La campagna russa era stata una disfatta per l’esercito dalla bandiera dei tre colori. La sciagurata politica del regime l’aveva obbligato alla partenza e alla guerra contro i rossi. L’inesistente macchina bellica aveva disfatto il suo battaglione. I russi e il generale inverno avevano fatto il resto.

Era morto.

Di lui rimaneva solo la medaglia al valore “… per atto eroico …” che la mamma ogni tanto sbirciava di nascosto. La casa lassù sulla collina apparteneva al padrone. Il pollaio e suoi abitanti non erano più. La mucca l’avevano finita quei simpatici amici tedeschi di passaggio. I parenti? Morti o dispersi o occupati, come loro, alla sopravvivenza quotidiana. Non avevano altro. Bisognava partire. Le poche cose raccattate in fretta stavano dentro la valigia di cartone e nella sacca di tela blu. Nella nuova terra li aspettava il Biondo.

Partirono.
Il viaggio fino alla città del mare fu un’odissea di sette giorni. In treno per piccoli tratti. Alla pedona per altri fino a che un’anima buona; nelle sembianze di un commerciante di borsa nera; non li salì sul cassone del malandato camion per il porto. Colline e pianure, paesi e città, gente cattiva e gente gentile. Tutto nuovo per un ragazzo di anni tredici mai uscito dalla valle lungo il fiume dove era nato. E poi il mare. E poi la nave. E poi il viaggio in piroscafo. Tutto nuovo. Tutto una scoperta. Fino al paese dei canguri. Fino all’altra parte della terra.

Fino alla fine del mondo.

Fino all’Australia. Ma Job, il soldato della libertà, non era in loro attesa. Al porto nessuno li aspettava. Job, come scoprirono alcuni anni dopo, era un felice padre di quattro biondi marmocchi. Teneva moglie bionda e famiglia numerosa e coltivava una sterminata fattoria. Si arrangiarono alla meglio nei primi giorni fino a che la mamma non trovò lavoro come lavandaia e lui si impiegò come manovale in un cantiere edile. Intanto la sera studiava.

Studiava la nuova lingua e leggeva.

Leggeva tutto quello che gli capitava in mano. Giornali e riviste, libri e dizionari. Lo affascinavano soprattutto le mappe. Le carte del nuovo paese e degli altri continenti; delle campagne e delle città; dei monti e dei fiumi. Scoprì i colori e il disegno a mano. Disegnava continuamente e di tutto. Poi scoprì il disegno tecnico e la topografia e vi si applicò fino in fondo. Strumenti di disegno e di misura: riga e squadra; compasso e regolo matematico; paline e fettuccia; squadro e tacheometro. Terminò gli studi e si impiegò presso l’Istituto Geografico.

Iniziò a disegnare carte e mappe.

Prima con rilievi strumentali da terra. Poi interpretando le foto eseguite dall’alto. Foto fatte dall’aeroplano. La macchina volante segue un corridoio predeterminato sopra ad un predeterminato territorio. La macchina fotografica esegue predeterminati scatti in successione. Si fissano dei punti di riferimento certi a terra. Si sviluppa la pellicola e si fissano le immagini. Pantografi e strumenti manuali; occhio buono e mente sveglia; capacità interpretative e tecnica grafica.

Questo è il suo mestiere.

Diventa bravo. Il migliore. Lo promuovono fino al vertice. Diventa direttore generale dell’Istituto. Realizza il sogno. Incontra e sposa una bruna emigrante arrivata nel mondo nuovo alcuni anni dopo la prima ondata. Emilia Belli, toscana verace, porta con sé gli odori e i sapori della sua terra. Insieme ricordano l’infanzia e si appassionano alla storia dei loro luoghi. Per diletto inizia a farsi spedire, in maniera periodica, carte e cartoline; viste e vedute; libri e riviste, foto aeree e aerofotogrammetrie della sua valle. Ne diventa inconsapevolmente un distaccato e profondo conoscitore.

Ne segue le trasformazioni urbane per cinquant’anni.

“La conca dell’Arno con le sue colline che piegano incuneate tra le gobbe del Pratomagno e quelle dei monti del Chianti è uno dei tanti lembi di Toscana pregni di storia e di patrimoni artistici prestigiosi. Intensamente popolata e ricca di antichi abitati conserva numerose vestigia architettoniche e strutture urbanistiche esemplari che palesano i segni di gloriose civiltà.”  (1)

Questo è il suo luogo.

Quando è partito c’erano tre paesi lungo il fiume; alcune strade e ponti collegavano i vertici del triangolo formato dai tre insediamenti e tagliato dal fiume. Fuori la campagna; dentro il triangolo anche. Guardiamolo insieme. (2)
Terranuova battezzata dal Poggio in destra del fiume. Un rettangolo cinto di mura e torri con la piazza quadrata al centro nelle vicinanze del Ciuffenna. Il fortino costruito nel trecento dai Fiorentini è un cumulo di macerie lasciate dalle truppe Tedesche in precipitosa ritirata. La ricostruzione della via principale è appena iniziata. Fuori della cinta poche case e poco altro. Economia rurale e un’antica fiera del bestiame la quarta settimana settembrina.
Montevarchi lungo la strada che conduce verso Arezzo quando incrocia quella che proviene da Siena. Ellittica sede di un antico mercatale. L’ellisse si allunga verso l’esterno lungo la ferrovia e lungo la via principale. Opifici ottocenteschi e un palazzo del podestà in mattoni stirano le direttrici del, già iniziato, ampliamento urbano. La città dei cappelli, dei polli e dei vivai.
San Giovanni che ha dato i natali al fratello dello Scheggia. Il rettangolo di Arnolfo con la piazza passante e il municipio al centro è ormai allungato fuori delle mura costruite dalla città del giglio. Il paese, stretto tra il poggio della Ciulla e l’Arno, si allunga verso Firenze con la grande fonderia e verso Arezzo lungo la ferrovia. La città delle lotte operaie e dell’industria pesante.

Fuori dei paesi la campagna. Dentro anche.

Lotte intestine e campanilismo sui modelli medioevali. Si narra di una partita di calcio tra la squadra bianco/celeste e quella rosso/blu finita a pugni e calci. Si racconta, e qui la vicenda si fa dramma, di un arbitro finito in fonderia.

Ma adesso il nostro protagonista torna a casa.

I figlioli sono oramai sistemati in città dai nomi stranieri e sono loro stessi stranieri. Torna a casa prima che sia troppo tardi. Torna per restare. La compagna della vita se n’è andata anni prima. La salma lo ha preceduto di pochi giorni e lo aspetta, per l’ultimo saluto, nel cimitero dirimpetto alla casa lassù sulla collina.

Volo intercontinentale fino a Roma. Volo privato fino alla Valle lungo il fiume.

Osserva i territori. Come sempre. Con occhi avvezzi a cogliere le caratteristiche dei luoghi dall’alto. Si immagina carte che non potrà delineare. Casali in cima ai poggi; boschetti di lecci; campi di grano; vigne; sentieri e paesi.

La sua terra. (3)

Nella sua testa le immagini diventano foto aeree. Le foto si fissano sul piano e diventano linee. Ferrovie e strade; curve di livello e segni convenzionali; montagne e città. Finalmente è sopra la valle. Chiede cortesemente al pilota vari passaggi lenti. Si vuole gustare il momento. Si vuole disegnare la sua personale carta mentale.

Dall’alto tutto risulta impersonale.

Gli piace questo modo di vedere le cose. Il fiume scorre lento. Di Montevarchi riconosce la sagoma ellittica del centro. Terranuova è laggiù vicino al Ciuffenna. E poi San Giovanni. Il paese che ha dato le ultime cinque cifre al suo codice fiscale: D901X.

Il triangolo tra i tre insediamenti è quasi intermente urbanizzato.

Solo al centro compare una chiazza di terreno libero. Un enorme, tozzo e compattto, edificio marrone e bianco si erge solitario lungo il fiume. E’ il nuovo ospedale unico. Costruito in una zona soggetta a frequenti alluvioni. Il posto adatto per questa gente accidiosa e dedita alla cultura dei campanili. Tagliato dai confini comunali così che si nasce in un comune e si muore nell’altro. La posizione è certo frutto di sapienti giochi politici. Ma ormai il danno è fatto. Si augura solo che il luogo diventi una sorta di centro di servizi comuni per quella che nei prossimi anni diventerà sicuramente un’unica città. Ma adesso basta con i pensieri critici. Le informazioni sono registrate nella testa. La carta è disegnata. Ora si va ad Arezzo.

Una grande esposizione lo attende.

Il genio di Leonardo (da Vinci) si mette in mostra. Mostra le carte dei territori toscani dal 1455 alla fine del quattrocento.  Mostra gli strumenti di misura e di indagine. Carte con inchiostri colorati su spessa carta pergamena. Niente a che fare con le impersonali carte digitali di questo inizio di secolo. Niente a che fare con bit e file; con dischetti e cidiroom. La mostra è grandiosa. Il nostro eroe, accompagnato dalla bionda nipote Jennifer, la visita d’un fiato. E poi ritorna sulle carte. E poi studia i sentieri e i fiumi e le città. E poi esce nell’atrio di ingresso e si avvicina al quaderno delle firme.

E poi scrive: “Arezzo, 21-07-2003, Giovanni Marchi, cartografo, torna a casa”.

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