Lettori fissi

05/03/20

Ampelmann, 2



Ampelmann, 2 | 2014

… Continua

110714
Caro Diario stamani tradisco la poltroncina celeste elettrico e il suo contorno. Le sono infedele per opportunità e soprattutto per pigrizia. Questa mattina scrivo in camera disteso prono sul letto davanti alla finestra. C’è il sole almeno in apparenza. Ho aperto gli occhi un paio di minuti prima della cinque e fino ad ora, sei e trentadue, ho ciabattato per la stanza leggendo delle ultime vicende della KS anatomopatologa 12 e un po’ dormicchiando. Poi ho acceso la radio sul canale 28; radio jazz; e aperto il quaderno blu navy. Il grande Louis Armstrong; il trombettista dalle guance enormi e dal sorriso che conquista; mi convince ad abbrancare il telecomando e alzare il livello del volume da 18 a ventotto. In culo ai vicini di stanza e fidando della mitica tecnologia teutonica per l’isolamento acustico degli edifici.
Il pezzo lo conosco bene; parla di un mondo meraviglioso 13. Alzo il volume fino a 38. Godimento totale. L’isolamento funziona alla grande. Mi manca solo l’espresso del bar sotto casa o meglio quello della moka da uno. Forse se ci fosse una bionda da uccidere … ma tant’è. Chi si contenta gode.
Scrivo veloce con la grafia a zampa di gallina che mi contraddistingue. Che sia in corsivo o in stampatello so per certo che dopo, quando passerò in bella, avrò le solite difficoltà di comprensione di sempre. Per fortuna ho a disposizione un vocabolario limitato a 999 termini, o poco più, e spesso improvviso.
Per dar conto della visita al parco di Tempelhof resta da dire che quel luogo ex militare è diventato un mito. Ha funzionato fino a pochi anni fa e poi è stato abbandonato. La stazione terminale con tutti i servizi sono stati destinati a sede di spazi espositivi e ci vengono organizzati eventi e mostre importanti come quello che si svolge in questi giorni. L’esibizione di questi giorni è il Fashion design Berlin week o più volgarmente la settimana della moda. Il resto è molto libero. Sull’asfalto della pista principale, lunga 2250 metri, sono state stampate icone grafiche; figure, lettere e numeri; di un bel rosa shocking. Sulle laterali ci son persone in bike, skate, roller e oggi c’è persino un pazzo con dei pattini a vela. L’effetto, visto a raso, è quanto mento singolare: pare scivolare sull’erba per via di un qualche trucco di magia. In realtà tutto il posto è assolutamente non strutturato. L’architetto del paesaggio si è limitato a lasciare tutto come l’ha trovato. Solo in alcune pennellate di organizzazione, soprattutto grafica, necessarie all’orientamento in questo posto enorme si riconosce la mano del tecnico. Lui è stato abile e i Berlinesi son felici.
Alla fine della pista degli aeroplani ci incontriamo con la sorella di DK che in realtà risponde al nome di Cristiane Turman e noi ci ostiniamo a chiamare come l’eroina del movie Kill Bill. La signora, direi una sessantina portati di lusso, è gioiosa e solare e soprattutto è il nostro architetto referente per le uscite prettamente tecniche. Insieme con lei c’è un giovanotto della metà dei di lei anni. È vestito sui toni del nero compreso la giacca fresco di lana. Ha la pelle pallida delle persone che passano molto tempo in spazi chiusi e ricorda certi cantanti di gruppi dark anni ottanta. In una parola potrebbe essere un emo. Ci viene presentato in realtà come il direttore di una qualche associazione di architetti che si occupa del recupero e riuso dei pannelli prefabbricati in c.a. con cui venivano costruiti gli alveari popolari della Germania orientale. In quei quartieri la gente non ci vuole più abitare e d’altra parte il loro spostamento genererebbe grandi problemi. Quindi la ricerca dell’associazione Plattevereinigung si è concentrata sullo studio dello smontaggio e assemblaggio dei pannelli costruendoci delle specie di scatole a due piani variamente sagomate. Come se fossero certi mobili che si trasportano inscatolati e si montano a casa. 
Infatti, uno dei partner principali del progetto è per l’appunto Ikea. La prima impressione, a quanto ricordo, è perplessità e anche la seconda.
Il pomeriggio ce lo siamo giocato a spasso per un quartiere della Berlino est; per la precisione nei dintorni della Warschauer Strasse; fra isolati cortili e tatuati spacciatori che la fanno da padroni. Kerima Bouali è la nostra guida del momento che crede molto nella sua missione socio- cultural – ambientalista. I suoi dati, e la sua fisionomia, tradiscono le sue origini di sicuro non ariane. Se la dovessi definire con sole tre parole, direi che è una Bella Ricercatrice Universitaria.
La cena della sera è stata servita sulle rive della Spree. Ricordo che il posto era molto bello, elegante e caro assaettato. Della serata salvo due cose: il merluzzo dell’atlantico, leggermente sciocco, e le finestre sul fiume con i parapetti tanto bassi da poter toccare l’acqua e le anatre che ci nuotano sopra. Ho anche fatto un disegno che rivisto stamani è proprio brutto.

120714
Aeroporto. La sveglia col riff di MW che ho nel telefono ha schitarrato alle 3e15 per esser prontamente pronti e preparati alla partenza delle 4. A quell’ora è ancora buio pesto e per le strade ci son poche auto e altrettante poche persone. La giornata di ieri è scivolata via lenta e uggiosa tra la visita di un laboratorio che produce gessi e statue in pietra e una sosta in birreria. Poi nel pomeriggio ho saltato la visita a certi vetusti palazzi che ospitano altrettante antiche opere d’arte. Ma ho trovato un amico in carne ed ossa e un altro virtuale a colori. E con queste poche note avrei finito gli appunti presi nella sala d’attesa delle partenze dell’aeroporto in attesa del volo di rientro per l’Italia EZY4583 delle 06.00 con arrivo a Pisa alle ore 07.55.
Ma mi pare sconveniente finire con un corsivo copiato dal programma di viaggio. Quindi aggiungo, adesso in bella, dettagli del giorno avanti.
Verso le 11 abbiamo appuntamento presso la Fabbrica del castello di Spandau a curiosare dentro i laboratori che producono le sculture da attaccare alle nuove facciate del ricostruito Castello degli imperatori. L’enorme impianto; la nostra guida l’ha definito il cantiere più grande d’Europa, affaccerà sulla Schloßplatz e sarà caratterizzato dall’assoluta fedeltà dell’apparato decorativo su tre delle quattro facciate. Con costanza teutonica tutto il pacchetto, di cui si è cominciato a discutere nel 2003, sarà finito e agibile entro il 2019. E se lo scrivono loro possiamo crederci.
Il pranzo lo consumiamo nel giardino di una birreria artigianale che sta nelle vicinanze. Alla fine del desinare arriva un signore che a dire la verità ho già visto girarci intorno almeno un paio di altre volte. È un personaggio alto con la pancetta del bevitore di birra che nelle altre occasioni è sempre stato zitto limitandosi a sorridere o parlottare con i nostri ospiti. Adesso saluta con calore DK alias A(U)T e ordina uno stivale di scura. Ne beve una lunga sorsata e attacca. È un racconto in lingua madre che s’interrompe ogni tanto per consentire a MM una traduzione sintetica e comprensibile a noi Mediterranei. Di tutto il discorso; durata diciotto minuti e rotti cronometrati; ricordo alcuni fatti che riporto fedelmente a seguire. Il signore è un ingegnere direttore di lavori e non progettista. Ha cominciato come operario semplice e poi si è evoluto in ghiselle studiando presso la scuola edile di cui è adesso Presidente onorario. Dopo è stato in giro per il mondo a costruire di tutto: dai tunnel alle dighe, dalle casette ai palazzi e finanche ai grattacieli. Una vita professionale intensa con alti e bassi e molte soddisfazioni che compensano gli insuccessi. E per dirla come l’ho scritta e fatta tradurre: “Se nasco un’altra volta, voglio fare lo stesso” che significa “Wenn ich nochnall auf die welt kommen, dann will ich nochmal bauinggnieur  werden”, firmato RB 14.
Il pomeriggio libero l’ho passato insieme a un nuovo amico, nome in codice CDC, in giro a cercare sandali per i suoi piedi martoriati da enormi vesciche e da diversi calli. Li ha costretti per alcuni giorni entro scomode scarpe da ufficio mentre loro (ndr. i piedi) erano impegnati in prove di circa dieci chilometri al dì e oltre. E le due estremità si son vendicate. A un certo punto del pomeriggio; quando gran parte del gruppo si stava organizzando per la visita all’Isola dei musei con le sue meraviglie del passato; il DC se n’esce in stretto dialetto con:
“Ehi uagliune fermatèv ppe piacerè. Nun ce a' facciò cchiu' cu cheste scarpè. Teng e' vescìch e e' callì. Aggia cercàr nu' paiò e' sandalì. Chi me accompagnà?”.15 C’erano venti piedi sopra al marciapiede della stazione di Zoologischer Garten e quattro si son allontanati in cerca di calzari. Due sono di misura quarantasei e certe volte fanno colazione col babà. Vi risparmio l’indovinello delle altre.
Mentre ci allontaniamo dal gruppo degli altri, il solito simpatico dice: “Allora ci si vede dalla Nefertiti. Ciao a dopo”. La ricerca delle calzature ci porta dentro un centro commerciale enorme. Una specie di galleria di tre piani, di cui uno sottoterra, lunga quanto l’isolato e altrettanto larga con i negozi che affacciano a pettine sulla strada coperta e le salite all’incrocio con gli ingressi. Brutta, frenetica e soprattutto caotica. Se poi a tutto aggiungiamo una buona dose di assoluta mancanza di orientamento del vostro eroe, il gioco è fatto. Dopo un peregrinare in diverse botteghe di scarpe riusciamo infine a trovare il numero che serve al compratore. Ma non piace il modello. Allora saliamo al superiore e finalmente si trova un posto che vende solo sandali e infradito. Qui di sicuro saremo accontentati. Mentre C si prova i modelli scelti sugli scaffali a me viene un bisogno impellente dovuto ai diuretici che prendo la mattina in quantità industriale. Il bisogno aumenta di urgenza e mi porta a scappare nel sotterraneo alla ricerca dei vespasiani. “Tu intanto scegli … – attacco mentre esco - … tanto faccio in un lampo e torno subito. Aspettami qui”. Il sotterraneo è ancora più labirintico e i pittogrammi che indicano i servizi igienici sono nascosti dalle insegne commerciali. La ricerca porta via diversi minuti e cambi di direzione.
Poi alla fine di un pertugio fatto a gomito lo vedo. L’agognato stanzino: uomo, donna, disabile e perfino cambio neonato. C’è però un problema. Ci sono due tornelli. E tutto funziona solo con moneta da 50 centesimi in entrata e biglietto in uscita. Non ho monete della misura richiesta e non ci sono macchinette cambia soldi e manco la signora delle pulizie. Rimango un pochino in attesa mentre cammino a saltelli per limitare i danni. E poi vedo una ragazza uscire passando sotto il girevole. Mi si accende la lampadina di Archimede e aspetto con impazienza l’assenza di avventori. Appena lo stanzino è vuoto entro e faccio quanto dovevo. All’uscita ci saranno almeno sette persone tra quelle dentro e quelle fuori dai tornelli. E mi pare che tutti stiano aspettando me che non ho of course il biglietto. Anzi mi pare che la signora col cappellino stia facendo dei cenni alla sorvegliante dei bagni pubblici che nel frattempo è tornata. Allora, pur con la faccia giallorossa di vergogna, mi abbasso di scatto e, come una biscia di stagno, scivolo sotto al tornello e via. Non senza avvertire una serie di frasi ingiuriose, che non sto qui a riportare ma che in sostanza inveiscono contro i soliti mangia spaghetti del piffero.
L’uscita in galleria mi confonde ancora di più. Giro in tondo a casaccio fino a che non mi convinco di essermi perso. Pare impossibile ma mi son smarrito, certo solo per pochi minuti, in un centro commerciale della Germania riunificata e fin’ora non lo sapeva nessuno. Mi son perduto come uno di DES 16. La scena, depurata dalla frase mi son smarrito, la racconto poco dopo al Carmine che incontro dietro l’angolo vicino al negozio delle scarpe. Per festeggiare i suoi nuovi sandali e la mia pisciata si cerca un chiosco. La ragazzina ungherese del primo che troviamo non ha espresso e manco spremute. Ha però una miriade di bottiglie colorate che usa per correggere acqua naturale e allunga con tanti cubetti di ghiaccio. La gente intorno fa la ressa per essere servita e questo ci convince. Come le trattorie di un tempo lungo le strade trafficate della penisola. Quelle che nascevano come funghi per servire gli autisti e adesso son tutte pizzerie, sale giochi o bar lap dance. Il detto delle famiglie italiane in quegli anni era: dove ci sono tanti camion si mangia bene. E noi con loro. Al nostro turno ci facciamo portare due colossali caraffe di un beverone dove l’ingrediente principale è uno sciroppo di marca sconosciuta. E sconosciuto è il sapore ingurgitato. Per riparare progettiamo un grande aperitivo per la sera con tanto di salt peanuts e beveraggi altamente alcolici. Poi si paga e si va in strada verso l’Isola della Musa.
Ma sono passati almeno settantacinque minuti da quando ci siamo lasciato con gli altri. La lancetta dell’orologio sfiora le 5 e 20 pm e i musei chiudono alle sei. E allora ci sorge spontanea una battuta in simultanea: “Sai che c’è … se la Nefertiti ci vuole vedere …. Viene lei” –inizio io. “Noi si va a trovare JN, Giovanni Novello per gli amici, e il suo palazzo tutto di vetro” –termina lui. Al primo semaforo ritrovo l’omino rosso (fermo) e verde (cammina) che mi perseguita da quando sono in città. All’inizio mi sembrava brutto e sgraziato. Poi la nostra mentore ci ha raccontato la sua vita, le sue vicissitudini, la sua età: cinquant’anni o poco di più, e d’improvviso la sua simpatia mi ha conquistato. MM lo chiama l’omino del semaforino 17 e anch’io lo ricordo ormai con quest’appellativo.
Al secondo semaforo non trovo l’omino rosso ma incontro direttamente uno dei tanti store Ampelmann. Questi negozi son qualcosa di più di spazi commerciali. Piuttosto raccontano un mito. Il nostro è d’angolo tra due strade commerciali molto trafficate. L’interno è pieno zeppo di omini, verdi o rossi, riprodotti sopra a innumerevoli oggetti eccentrici, bizzarri, stravaganti, insoliti, astrusi, bislacchi e via. C’è anche, nel mezzo della stanza, un piccolo bar che offre caffè, latte e dolcetti.
La barista è uno spasso. Bionda e statuaria come la Venere di Milo di Botero. Camicetta bianca di pizzo e gonna rosso fuoco. Con due poppe come due meloni. Una vera sex bomb. E mentre porge la tazzina di carta ride sempre. Il mio compagno, fidando che la ragazza parli solo la lingua di Goethe e al più biascichi un italiano maccheronico, se n’esce in casertano stretto con una frase che non saprei replicare. E che sul momento manco comprendo per niente. Comunque l’allocuzione ha che fare con la quantità di latte che potrebbe fuoriuscire dalle mammelle della nostra Ostessa. Anzi a voler essere esatti la stessa veniva proprio definita come la figura animale da cui si munge il succo. La prossima volta che incontro CDC gli domando l’esatta battuta in dialetto con traduzione a fianco.
Ma adesso è l’ora di andare a visitare il palazzo di vetro per il quale eravamo capitati in Friedrichstadt Passagen, Galleries La Fayette, Quartier 207. Prima però, seguendo l’antica tradizione del turista italico, svaligiamo lo store di ninnoli e nannoli marcati omino del semaforino che per uno strano scherzo del destino battezza il titolo di questa mia.


PS Mi piace ricordare i compagni di viaggio e gli ospiti in loco (ndr. Compreso quelli che non ho potuto incontrare perché non sono andato a trovare) che, per omissione affatto non intenzionale, non ho riportato nel testo. Li scrivo in fila, in ordine assolutamente non alfabetico, secondo la sorte e con le sole iniziali. BM VA GB RH MR CF HJ BP KB ED TS SH KJP KR BR TA MR LMVR BL GM MM BC KR AF DCC GW IA SJ BJ BA FN LC CM AKM CC UOM.

Le note
1          Valentina, Olivetti, Ivrea 1968. Macchina da scrivere trasportabile. Disegnata da Ettore Sottsass junior.
2          Il 3/4 di pollice in più rispetto ai normali televisori in dotazione al resto del mondo ci ricorda che qui stiamo in Bundesrepublik Deutschland dove tutto è più …
3          Arco, Flos, Milano 1962. Lampada da terra a luce diretta. Disegnata da Achille e Pier Giacomo Castiglioni.
4          Altes Museum (1823-28), Neue Wache (1816-18). Berlino. Disegnati da Karl Friedrich Schinkel.
5          La musica è finita, Ornella Vanoni, Sanremo 1967. Testo Franco Califano  e Nicola Salerno, Musica Umberto Bindi.
6          (NdR). Si chiama ristorante … Gennari. Smetti con questi panegirici. Il posto dove si mangia è il ristorante.
7          Domotica. Dall’unione del latino domus (casa) con robotica. Per approfondimenti e acquisti contattare AV, Colle Val d’Elsa.
8          Tettonica. Termine usato in architettura per significare la struttura di un edificio cioè il complesso degli elementi e degli aspetti costruttivi, strutturali, statici. 
9          Debis-Haus, Berlino. Disegnata da Renzo Piano, 1992-2000. Su Potsdamer Platz sono stati costruiti nella stessa epoca edifici di: Hans Kollhoff e Helmut Jahn.
10        Passo umano. Ognuno ha la sua falcata. La mia è 58|60 cm. Su questa misura si basa il calcolo. Il racconto CdC, cimitero di campagna 2011, ne parla diffusamente.
11        MVDR, novella 1998. Accompagna il progetto della Fondazione Mies Van Der Rohe a Barcellona disegnata con Sandro Gallucci.
12        Kay Scarpetta, personaggio creato dalla scrittrice di thriller Patricia Cornwell nel  1990. Il volume citato è Nebbia rossa, 2012
13        What a Wonderful World | Che mondo meraviglioso.  Louis Armstrong, 1967. (trad.) Vedo alberi verdi, anche rose rosse, le vedo sbocciare per me e per te. E dico a me stesso, "che mondo meraviglioso". Vedo cieli blu e bianche nuvole. Il luminoso giorno benedetto, la scura notte sacra. E dico a me stesso, "che mondo meraviglioso". I colori dell'arcobaleno, così belli nel cielo, sono anche nelle facce della gente che passa. Vedo amici stringersi la mano chiedendo "come va?" Stanno davvero dicendo: "Ti amo" Sento bambini che piangono, li vedo crescere. Impareranno molto più di quanto io saprò mai. E dico a me stesso, "che mondo meraviglioso". Sì, dico a me stesso, "che mondo meraviglioso". Sì, dico a me stesso, "che mondo meraviglioso".
14        (NdR). Rainer Boche. Un grande.
15        (trad). " Ehi ragazzi fermatevi per piacere. Non ce la faccio più con queste scarpe. Ho le vesciche e i calli. Devo cercare un paio di sandali. Chi mi accompagna? ".
16        Disperato erotico stomp, Lucio Dalla, 1996. (Estr.) Girando ancora un poco ho incontrato uno che si era perduto. Gli ho detto che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino. Mi guarda con la faccia un po’ stravolta e mi dice "sono di Berlino". Berlino, ci son stato con Bonetti, era un po’ triste e molto grande però mi sono rotto, torno a casa e mi rimetterò in mutande. 
17        Ampelmann. Omino del semaforo. Disegnato da Karl Peglau, 1961. Rielaborato da Markus Heckhausen, 1996.

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