Sassi | 2003
L’appuntamento
era per le seietrenta precise al parcheggio del Bianconi, il bar all’uscita est
della città del vetro. C’era da andare in fabbrica di prima mattina. C’era da
soffiare. Si facevano i vetri. Il nostro eroe era un tipo ansioso e razzolò nel
letto tutta la notte. Un fastidioso male di pancia lo costrinse ad anticipare
la sveglia, puntata per le cinque, di una buona mezzora. Alle quattroetrenta è
ancora buio anche se siamo in giugno. Pian piano giù dal letto che la Silvia si
sveglia; in bagno per i riti della mattina compreso la lettura delle solite
venti pagine dell’ultimo Camilleri. La storia è intrigante come al solito;
tratta di sbarchi e bambini trattati come pezzi di ricambio. Grande.
Adesso
in cucina a preparare la macchinetta del caffè. Ancora il fastidioso dolore di
pancia. Ancora in bagno. Il tempo necessario per arrivare alla fine del
romanzo. Basta.
Sono
le cinque. Il sole fa capolino dalle colline della città della giostra e
dipinge l’aria di un bel giallo-rosso-arancione. Inizia un’altra giornata di
fine primavera. Il caffè è pronto. Via che si parte.
Gli
ottanta e passa chilometri servono al nostro per ripassare, per l’ennesima
volta, il compitino che si era dato. Aveva già disegnato altri oggetti in
passato; legno, cotto, ceramica. Tutto roba soda. Mai però qualcosa che lascia
attraversare la luce. Mai vetri. “Cristalli…
sono cristalli… non vetri…” si apostrofò nel mentre giungeva nelle
vicinanze del casello e si dava; al solito; dell’incapace. Ma ecco l’uscita. Il
bar è aperto e la colazione è assicurata. E’ pronto. I compagni di avventura
stanno arrivando.
Per
prima lei, la Stefania promotrice del lavoro. Sveglia, simpatica e solare come
al solito. In tenuta da lavoro e con la macchina delle foto in stand-by. Poi i due artisti. I due maestri. I due
soffiatori. Ricordano vagamente due grande attori americani degli anni
cinquanta quando si andava al cinema alla sala parrocchiale la domenica sera.
Simpaticissimi. Si commentano i risultati delle ultime elezioni locali e si
scoprono comuni interessi. Si parte per l’opificio.
Il
dentro della fabbrica è come se lo immaginava. La piazza è contornata dai forni
e le maestranze sono già all’opera. Caldo e afa; vapore e sudore. Si comincia.
“Vorrei un serpente… anzi una
biscia… e dei sassi vuoti dentro…” inizia il nostro
svoltando i disegni che si è portato.
“Ci penso io… tu stammi vicino …
che ti accomodo…” lo interrompe maestro soffiatore; il più
piccolo dei due che chiameremo
Francesco. Antonio, il più grosso, prende la canna e la inzuppa nel forno
grande dove bolle la sabbia. “Questo te
lo faccio pieno; con le squami e tutto… te lo passo in questa polvere gialla
che poi diventa ambra… tu stammi vicino… ci penso io…” continua l’artista.
La canna viene roteata come la mazza del giocoliere. La pasta si allunga e
prende forma. Viene stesa e modellata. La testa si alza. La bocca si apre. La
biscia è fatta. “Adesso passala nella
tempera…” riprende il maestro rivolto al collega mentre comincia a pensare
al facimento del sasso. “Ma te… che sasso
vuoi…?” se ne esce, dopo la pensata, rivolgendosi al nostro eroe.
Il
nostro è indeciso. Molto indeciso. Come al solito. Come sempre. “Vorrei un sasso cavo… che sta dentro la
mano chiusa a pugno…” prova a dire il disegnatore.
“Ho capito… te lo faccio come
quelli dell’Arno… ma finito come quelli della cava…” termina
il soffiatore.
Canna.
Sabbia
plastica.
Passo
di mano.
Soffio.
Acqua
e … (roba segreta).
Passaggio
nel liquido.
Il
magma scoppia in superficie.
Il
sasso prende forma.
Ripetere.
Ancora. Ancora. Ancora.
“Adesso penso che basti… che ne
dici…?” fa l‘artista rivolto al pensatore che ne frattempo
si era assentato mentalmente e rifletteva, tra sé, delle possibilità espressive
di questo nuovo materiale che stava, or ora scoprendo. “Bello… è come lo immaginavo…” risponde il nostro.
“Ora ti fò una serpe acquaiola…
vuota dentro…trasparente e squamata fuori… che dentro ci puoi mettere il rosso
delle tue parti…” fa il maestro rivolto al nostro.
Detto.
Fatto.
E’
l’ora della fresca. La tempera è fatta. Gli oggetti imballati. Il lavoro è
finito. E’ora di tornare.
Il
viaggio è piacevole. Il nostro eroe non vede l’ora di passare da casa a sentire
il giudizio dei suoi critici preferiti: Giulia e Guido; anni venti in due.
Arriva.
Scarica la macchina e chiama i figli. “Ragazzi…
venite giù… che vi faccio vedere i vetri che ho fatto…” fa il nostro mentre
apre la porta. I critici sono occupati nei passatempi preferiti durante le
vacanze scolastiche: lei disegna e lui aggeggia con i mostri.
Eccoli.
La biscia piena passa quasi inosservata ma gli altri vetri ricevono la seguente
stroncatura.
Giulia: “In questo serpente vuoto … ci metto la
cocacola…!”
Guido:
“Ma babbo… che roba brutta che hai
fatto…questi son solo sassi…!”
L’aspirante artista: “Sassi… solo sassi… e allora…?”
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