Lettori fissi

01/01/20

Sassi



Sassi | 2003

L’appuntamento era per le seietrenta precise al parcheggio del Bianconi, il bar all’uscita est della città del vetro. C’era da andare in fabbrica di prima mattina. C’era da soffiare. Si facevano i vetri. Il nostro eroe era un tipo ansioso e razzolò nel letto tutta la notte. Un fastidioso male di pancia lo costrinse ad anticipare la sveglia, puntata per le cinque, di una buona mezzora. Alle quattroetrenta è ancora buio anche se siamo in giugno. Pian piano giù dal letto che la Silvia si sveglia; in bagno per i riti della mattina compreso la lettura delle solite venti pagine dell’ultimo Camilleri. La storia è intrigante come al solito; tratta di sbarchi e bambini trattati come pezzi di ricambio. Grande.

Adesso in cucina a preparare la macchinetta del caffè. Ancora il fastidioso dolore di pancia. Ancora in bagno. Il tempo necessario per arrivare alla fine del romanzo. Basta.

Sono le cinque. Il sole fa capolino dalle colline della città della giostra e dipinge l’aria di un bel giallo-rosso-arancione. Inizia un’altra giornata di fine primavera. Il caffè è pronto. Via che si parte.

Gli ottanta e passa chilometri servono al nostro per ripassare, per l’ennesima volta, il compitino che si era dato. Aveva già disegnato altri oggetti in passato; legno, cotto, ceramica. Tutto roba soda. Mai però qualcosa che lascia attraversare la luce. Mai vetri. “Cristalli… sono cristalli… non vetri…” si apostrofò nel mentre giungeva nelle vicinanze del casello e si dava; al solito; dell’incapace. Ma ecco l’uscita. Il bar è aperto e la colazione è assicurata. E’ pronto. I compagni di avventura stanno arrivando.

Per prima lei, la Stefania promotrice del lavoro. Sveglia, simpatica e solare come al solito. In tenuta da lavoro e con la macchina delle foto in stand-by.  Poi i due artisti. I due maestri. I due soffiatori. Ricordano vagamente due grande attori americani degli anni cinquanta quando si andava al cinema alla sala parrocchiale la domenica sera. Simpaticissimi. Si commentano i risultati delle ultime elezioni locali e si scoprono comuni interessi. Si parte per l’opificio.

Il dentro della fabbrica è come se lo immaginava. La piazza è contornata dai forni e le maestranze sono già all’opera. Caldo e afa; vapore e sudore. Si comincia.

“Vorrei un serpente… anzi una biscia… e dei sassi vuoti dentro…” inizia il nostro svoltando i disegni che si è portato.

“Ci penso io… tu stammi vicino … che ti accomodo…” lo interrompe maestro soffiatore; il più piccolo dei due  che chiameremo Francesco. Antonio, il più grosso, prende la canna e la inzuppa nel forno grande dove bolle la sabbia. “Questo te lo faccio pieno; con le squami e tutto… te lo passo in questa polvere gialla che poi diventa ambra… tu stammi vicino… ci penso io…” continua l’artista. La canna viene roteata come la mazza del giocoliere. La pasta si allunga e prende forma. Viene stesa e modellata. La testa si alza. La bocca si apre. La biscia è fatta. “Adesso passala nella tempera…” riprende il maestro rivolto al collega mentre comincia a pensare al facimento del sasso. “Ma te… che sasso vuoi…?” se ne esce, dopo la pensata, rivolgendosi al nostro eroe.

Il nostro è indeciso. Molto indeciso. Come al solito. Come sempre. “Vorrei un sasso cavo… che sta dentro la mano chiusa a pugno…” prova a dire il disegnatore.

“Ho capito… te lo faccio come quelli dell’Arno… ma finito come quelli della cava…” termina il soffiatore.

Canna.
Sabbia plastica.
Passo di mano.
Soffio.
Acqua e … (roba segreta).
Passaggio nel liquido.
Il magma scoppia in superficie.
Il sasso prende forma.
Ripetere. Ancora. Ancora. Ancora.

“Adesso penso che basti… che ne dici…?” fa l‘artista rivolto al pensatore che ne frattempo si era assentato mentalmente e rifletteva, tra sé, delle possibilità espressive di questo nuovo materiale che stava, or ora scoprendo. “Bello… è come lo immaginavo…” risponde il nostro.

“Ora ti fò una serpe acquaiola… vuota dentro…trasparente e squamata fuori… che dentro ci puoi mettere il rosso delle tue parti…” fa il maestro rivolto al nostro.

Detto. Fatto.
E’ l’ora della fresca. La tempera è fatta. Gli oggetti imballati. Il lavoro è finito. E’ora di tornare.

Il viaggio è piacevole. Il nostro eroe non vede l’ora di passare da casa a sentire il giudizio dei suoi critici preferiti: Giulia e Guido; anni venti in due.

Arriva. Scarica la macchina e chiama i figli. “Ragazzi… venite giù… che vi faccio vedere i vetri che ho fatto…” fa il nostro mentre apre la porta. I critici sono occupati nei passatempi preferiti durante le vacanze scolastiche: lei disegna e lui aggeggia con i mostri.

Eccoli. La biscia piena passa quasi inosservata ma gli altri vetri ricevono la seguente stroncatura.

Giulia: “In questo serpente vuoto … ci metto la cocacola…!”
Guido: “Ma babbo… che roba brutta che hai fatto…questi son solo sassi…!”
L’aspirante artista:  “Sassi… solo sassi… e allora…?”          

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